Viaggiare leggendo è uno dei refrain estivi più consolidati, benché messi alla prova dalle pigrizie tecnologicamente indotte degli ultimi dieci-quindici anni. Eppure, col ritorno alla vita dopo la triste stagione pandemica, si percepisce come le persone lo desiderino, esattamente come desiderano vedere i posti, viverli e incontrarci altra gente. Nel corso delle prime presentazioni di Da luoghi lontani (Arkadia Editore) in giro per l’Italia, ho avuto modo di sentirlo con chiarezza.
Da Senigallia a Firenze, da Vercelli a Torino, da Barga a Urbino, ho percepito nitidamente come spostarsi e toccare (perché mi riferisco proprio al libro cartaceo, oggetto gradevolissimo come forma e consistenza, ancor prima che per i contenuti) fossero proprio le cose che più ci mancavano.
È uscito un interessante libro sul cinema di Beppi Improta, dal titolo decisamente accattivante “Due o tre cose che so”di cinema. Si tratta di un volume corposo di 420 pagine e 100 fotografie e raccoglie riflessioni, impressioni, note critiche e curiosità sui film degli ultimi anni e non solo. Attualmente il libro è disponibile solo presso Gedi Gruppo editoriale ma tra poco più di una settimana verrà distribuito anche da IBS, Amazon e Feltrinelli. A seguire la bella foto della copertina.
Il 28 aprile ho fatto il mio primo incontro coi lettori da quasi un anno in quel di Grosseto, presso la Sala “Sandro Pertini”, nell’ambito della rassegna “Autori oltre il tempo rovinoso” a cura di Pasqualino Casaburi. In quest’occasione abbiamo parlato di tutta la mia produzione letteraria, da Internet. Cronache della fine (Galaad Edizioni) a Viale dei silenzi (Arkadia Editore) e Berretti Erasmus(Fusta Editore), fino a introdurre Da luoghi lontani (Arkadia Editore), che il 20 luglio tornerò a presentare sempre a Grosseto e con Pasqualino Casaburi, in un appuntamento all’aperto presso le mura urbane, insieme ai miei coautori Carlo Cuppini e Sandra Salvato.
Quello che più conta, però, è stata la comunione di spiriti che ho respirato, con lettori che condividevano con me non solo l’interesse per la letteratura, ma anche i valori civili che hanno animato la resistenza alle discriminazioni di questa fase storica.
Ecco un video dell’incontro:
Poi, la sera, passeggiando per Grosseto dopo un’ottima cena nel bellissimo ristorante vegano “Essenza” di Valentina Marchetti, ho respirato – complice la scarsa quantità di persone in giro – un’atmosfera di altri tempi, che mi ha intuitivamente riportato agli anni Cinquanta, quando mia madre viveva proprio in questa città. E sensazioni consonanti ho provato nei due giorni seguenti a Follonica, dove ho trascorso molte ore su una spiaggia semideserta, con alle spalle il vecchio edificio di una colonia marina d’antan e, a sinistra e a destra, una distesa di sabbia bordata di azzurro e vele scure, oltre che di bassi edifici in stile quasi-coloniale. Anche loro rimandavano a un’Italia andata, sempre quella della giovinezza di mia madre. Anni e percezioni ambientali resi magistralmente nel libro di Pier Paolo PasoliniLa lunga strada di sabbia (Guanda), che ho letto di recente.
In questa stagione ancora difficile, ma di rinnovamento e liberazione, mi è capitato di fare una riflessione cruciale riguardo al lavoro letterario. Una cosa che avevo notato a sprazzi anche in passato, ma che adesso mi si ripropone nella sua essenza nuda e netta. Nella scrittura, l’elemento dell’autenticità dell’espressione è fondamentale, sì; tuttavia, anche il lavoro di promozione e “movimentazione” culturale è essenziale, e non solo in una (del tutto legittima) prospettiva commerciale, ma nell’ottica della condivisione.
In questi giorni pre- e post-pasquali ho lavorato soprattutto alla preparazione della promozione dell’appena uscito Da luoghi lontani (Arkadia Editore) insieme ai colleghi e amici Carlo Cuppini e Sandra Salvato (nella foto) e alla casa editrice – presto vi daremo notizie.
Il fatto è che ho scritto meno, almeno su carta, non certo nella testa, dove ho lasciato mulinare, accordarsi e organizzarsi idee che mi torneranno utilissime al momento di rimettere mano alla penna – che, come sapete, per me è sempre l’ultimo atto (ci arrivo quando sento il tutto pressoché pronto dentro).
Stiamo preparando un ricco calendario di presentazioni e reading in numerose città italiane per parlarvi della nostra nuova uscita, Da luoghi lontani (Arkadia Editore), la raccolta di racconti che ho scritto insieme a Carlo Cuppinie a Sandra Salvato, in arrivo il 14 aprile 2022.
Un itinerario che, a partire dai primi di maggio, vi e ci accompagnerà in un viaggio tra luoghi del mondo reale, della mente e dello spirito, alla ricerca di un filo conduttore che attraversa spazio e tempo.
A presto per i primi aggiornamenti!
Libro disponibile in tutte le librerie italiane (distribuzione Messaggerie) e sui principali portali di commercio librario online (acquistabile anche dal resto d’Europa tramite ibs.it)
In questi giorni, nei quali – mi si passi l’espressione un po’ grezza – ho chiuso tanti cerchi interiori, è nata in me una riflessione sul valore del silenzio: una dimensione che, in questi due anni e mezzo di sofferenza, deliri, polemiche e attacchi, è stata sommersa da una ridda di voci, urla e aggressività.
Il problema di fondo del silenzio è che costa. E un problema aggiuntivo è che è difficile da interpretare; difficile da tradurre. Andiamo per ordine. Senza dubbio costa, dicevo. Sì, perché la tentazione di non perdere il treno di un dibattito, di una notizia (vera o manipolata che sia), di una polemica o altro – the fear of missing out, come direbbero in America -, ci ammorba pressoché costantemente. E allora anche l’atto più elementare e automatico, respirare, diventa un riflesso non solo involontario, com’è naturale che sia, ma in-cosciente, ovvero non consapevole. Così, al respiro viene inevitabilmente ad associarsi la dualità, la contrapposizione e quindi l’affanno, l’ansia, l’incapacità di dire di no a questo gioco perverso, e la conseguente chiusura del cuore, del plesso solare, sede della spontaneità della vocazione più profonda – della genuinità del Sé.
Giovanni Pascoli, nella poesia L’aquilone, scriveva: “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, / anzi d’antico”, riferendosi all’arrivo della primavera. Una miglior istantanea del rinnovamento dell’aria di questo inizio di stagione non si potrebbe immaginare. In questi giorni – pur sapendo che sta per arrivare una nuova sferzata di freddo – l’ho sperimentato. Anzi, proprio in questa commistione di novità e “ancestralità” dell’energia primaverile ho colto una delle dimostrazioni del fatto (comprovato dalla fisica quantistica) che il tempo, in definitiva, non esiste, dunque è perfettamente normale sentir vibrare nell’aria frequenze correlate a emozioni appartenenti a epoche lontane. Non mi riferisco solo all’infanzia (aspetto approfondito nei racconti della mia prossima pubblicazione condivisa con Carlo Cuppini e Sandra Salvato, Da luoghi lontani, in uscita per Arkadia Editore il 14 aprile), ma ai sogni, alle emozioni e alle realtà percettive di altre epoche.
Personalmente, la primavera mi evoca giornate assolate pomeridiane in salsa medievale, un po’ come in certi episodi del Decameron o dei Racconti di Canterbury di Pier Paolo Pasolini. Oppure certi scenari liberi e percorsi dal vento delle praterie di Rohan nel Signore degli Anelli di Tolkien.
Altra riflessione, figlia di quella del mio ultimo post. Mi sono concentrato in particolare sul concetto di “assenza” (in latino, absentia, ovvero la condizione di ab-esse, “essere lontano da”). Credo che questa presa di distanze, questo “distacco” dalle cose, sia necessario proprio per entrare spiritualmente e fattivamente in un contatto produttivo con esse.
Il paradosso è che più si è a contatto con le cose e le persone, più si alimenta la separazione, la dualità (e il contrasto, l’attrito che potenzialmente ne deriva). La concentrazione sul respiro, e soprattutto sull’attimo centrale di dilatazione che si apre al suo interno, porta invece a prendere quota, a vedere tutto dall’alto. E allora, in un singolare ribaltamento di prospettiva, si entra più profondamente in contatto con l’essenza delle cose e delle persone: le si com-prende meglio.
I miei percorsi meditativi mi hanno portato a considerare un aspetto sul quale non avevo mai soffermato l’attenzione. C’è un punto, in ogni singolo respiro, in cui la stessa attività respiratoria si ferma (o si sofferma), e con essa il pensieroe la percezione del tempo. Quello è il punto in cui si colgono il silenzio e il vuoto perfetti, e il cuore riprende campo e irradia beneficamente l’holos spirito-mente-corpo. Insieme, si comprende l’illusorietà del tempo (confermata dalle più recenti scoperte della fisica quantistica) e ci si affaccia sull’Eterno.
In quel punto (che in realtà, olograficamente, è in ogni punto del cosmo, e quindi anche di noi) si annida il nucleo del nome stesso di Dio, che nella tradizione ebraica si chiama YHWH (spesso traslitterato come “Yahweh”), ovvero “Io sono”. Come a dire, non solo il “divino in noi” (il Sé) è la radice dell’identità, ma lo stesso nome di Dio, formato dalle due metà “YH” e “WH” – assimilabili al suono dell’inspirare e a quello dell’espirare – è un respiro completo. Il cuore di questo nome, però, è proprio l’attimo centrale in cui il respiro è fermo, l’istante senza-pensiero-e-senza-tempo a cui non corrisponde alcuna lettera, ma solo un immaginario trait d’union di “assenza”.
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