Liberazione interiore in movimento

LIBERAZIONE INTERIORE IN MOVIMENTO

Rientrando a Firenze dal viaggio tra Danzica e Praga, per gli incontri con gli studenti di Italianistica dell’ateneo polacco e con la Società Dante Alighieri di Praga (di seguito, alcune mie foto), mi trovo a fare alcune considerazioni su quanto ho compreso mentre ero all’estero, su quello che sta succedendo in Italia (e non solo) e sul senso del mio lavoro, soprattutto in questa fase.

Liberazione interiore 1
La classe del corso post-laurea di Italianistica dellaProf.ssa Dorota Karwacka-Pastor all’Università di Danzica presso cui ho tenuto il secondo dei miei due incontri, un laboratorio di scrittura incentrato sui miei libri (e non solo) tenutosi il 21 aprile

Prima cosa: entrare in contatto con persone così entusiaste dello studio della lingua e della letteratura italiana, presentare il mio lavoro di scrittore e traduttore letterario con la sensazione di creare un autentico ponte di comprensione e reciproco stimolo all’approfondimento e alla condivisione, è un’esperienza del tutto gratificante, che non capita così spesso. Ciò mi rende ancor più consapevole di quanto ho sempre pensato: lo scrittore – e anche il traduttore – è un tramite, che ci “mette del suo”, senza dubbio, ma prima di tutto “lascia passare” attraverso sé contenuti e sollecitazioni scaturenti dal profondo e carichi di una speciale elettricità, fatta di atmosfere, stati di coscienza, emozioni, concetti, curiosità linguistica, psicologica, filosofica, storica e politica. Tutto questo, se rimanesse murato dentro la sua testa, oltre a saturarla e a intossicarlo, sarebbe del tutto inutile. Va invece, per sua stessa natura, appunto condiviso. In tal senso, questo viaggio mi ha ancor più confermato nella mia vocazione.

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In principio era il Verbo

IN PRINCIPIO ERA IL VERBO

“In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che
esiste.
in lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre,
ma le tenebre non l’hanno accolta. (…)”

(Dal Prologo del Vangelo di Giovanni)

Oggi, commentando questo capolavoro, che per me è l’inarrivato vertice letterario, filosofico e spirituale della cultura occidentale (e non solo), Don Marco, mio parroco e grande amico, ha detto una cosa che è la quintessenza di tutte le mie meditazioni dell’ultimo periodo, e che sostanzia il Natale che sto vivendo, andando al cuore del concetto stesso di Rivelazione:

“Dio è la presenza che riempie di sé tutto lo spazio”.

In principio era il Verbo
Foto mia scattata sul ponte di Via Pisana sul torrente Greve, nel quartiere di Ponte a Greve, a Firenze
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Verbo e azione

VERBO E AZIONE

Verbo
Uno scorcio del mare (o forse del cosmo) da Marina di Pisa (foto mia)

È almeno una settimana che rifletto sul significato della parola “contempl-azione”, in rapporto a quella “trasform-azione” (e i trattini sono fondamentali). Stiamo attraversando un momento delicatissimo, nel quale -come ho già sottolineato in precedenza – i “muro contro muro” (ovvero la dualità) possono rappresentare la scintilla definitiva e letale, tanto sul piano personale quanto su quello interpersonale e collettivo. Urge quindi comprendere mediante un atteggiamento contemplativo, da non confondere con la mera “osservazione” (attenzione che qui non c’è il trattino).

“Osservare” significa “guardare” e – come la fisica quantistica ci insegna – porta inevitabilmente a interagire con l’oggetto osservato, potendo dunque innescare pericolose reazioni a catena.

“Contemplare” è altro: precisamente, rendersi conto che esiste un’intelligenza superiore e “implicata” (per usare un termine caro a David Bohm) in tutto il cosmo e nelle pieghe della nostra vita, e perciò della nostra mente e del nostro cuore. Significa dunque calarsi con la mente e con il cuore in questa intelligenza, questo Logos o Verbo che “in principio era”, come dice l’incipit della più grande opera di tutti i tempi, il Vangelo di Giovanni. Identificarsi con essa, sentirsene parte e lasciare che sia essa ad agire attraverso noi.

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Silenzio da tradurre

SILENZIO DA TRADURRE

Silenzio

In questi giorni, nei quali – mi si passi l’espressione un po’ grezza – ho chiuso tanti cerchi interiori, è nata in me una riflessione sul valore del silenzio: una dimensione che, in questi due anni e mezzo di sofferenza, deliri, polemiche e attacchi, è stata sommersa da una ridda di voci, urla e aggressività.

Il problema di fondo del silenzio è che costa. E un problema aggiuntivo è che è difficile da interpretare; difficile da tradurre. Andiamo per ordine. Senza dubbio costa, dicevo. Sì, perché la tentazione di non perdere il treno di un dibattito, di una notizia (vera o manipolata che sia), di una polemica o altro – the fear of missing out, come direbbero in America -, ci ammorba pressoché costantemente. E allora anche l’atto più elementare e automatico, respirare, diventa un riflesso non solo involontario, com’è naturale che sia, ma in-cosciente, ovvero non consapevole. Così, al respiro viene inevitabilmente ad associarsi la dualità, la contrapposizione e quindi l’affanno, l’ansia, l’incapacità di dire di no a questo gioco perverso, e la conseguente chiusura del cuore, del plesso solare, sede della spontaneità della vocazione più profonda – della genuinità del Sé.

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Respiro, consapevolezza, pace

RESPIRO, CONSAPEVOLEZZA, PACE

Respiro

I miei percorsi meditativi mi hanno portato a considerare un aspetto sul quale non avevo mai soffermato l’attenzione. C’è un punto, in ogni singolo respiro, in cui la stessa attività respiratoria si ferma (o si sofferma), e con essa il pensiero e la percezione del tempo. Quello è il punto in cui si colgono il silenzio e il vuoto perfetti, e il cuore riprende campo e irradia beneficamente l’holos spirito-mente-corpo. Insieme, si comprende l’illusorietà del tempo (confermata dalle più recenti scoperte della fisica quantistica) e ci si affaccia sull’Eterno.

In quel punto (che in realtà, olograficamente, è in ogni punto del cosmo, e quindi anche di noi) si annida il nucleo del nome stesso di Dio, che nella tradizione ebraica si chiama YHWH (spesso traslitterato come “Yahweh”), ovvero “Io sono”. Come a dire, non solo il “divino in noi” (il Sé) è la radice dell’identità, ma lo stesso nome di Dio, formato dalle due metà “YH” e “WH” – assimilabili al suono dell’inspirare e a quello dell’espirare – è un respiro completo. Il cuore di questo nome, però, è proprio l’attimo centrale in cui il respiro è fermo, l’istante senza-pensiero-e-senza-tempo a cui non corrisponde alcuna lettera, ma solo un immaginario trait d’union di “assenza”.

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