POETICA E VOCI
In questi giorni, come sapete, sto portando avanti in parallelo vari lavori, tutti in qualche misura narrativi, ma con differenti gradazioni. Ciò di cui mi sto rendendo sempre più conto è che esistono motivi e atmosfere che ricorrono, pur in opere molto diverse tra loro.
Mi sto muovendo tra noir, (post) distopia, narrativa di viaggio e saggio narrativo, ma vedo e sento ricorrenze, corrispondenze ed echi trasversali che sono quasi sincronicità, e mi dicono che sto varcando il confine tra una poetica – ovvero (v. qui) lo stile e il complesso di temi e concetti che “definiscono” uno scrittore – e una molteplicità di voci di cui mi sento come ospite.
Curiosamente, questo è proprio il tema al centro del mio saggio narrativo, che descriverà il mio percorso interiore tra vita passata, riflessioni del presente e scelte artistiche e vocazionali maturate nel corso della vita. Forse è per questo che mi sono accorto che, per un autore, avere una propria “poetica” non è il punto definitivo. In altre parole, se la poetica è la voce di quel singolo scrittore, che lo rende in qualche modo riconoscibile – proprio come avviene ai musicisti o ai registi, pur molto vari nella loro produzione -, essa non è un blocco unico, proprio come non lo è la materia, che nella sua struttura ultima è imprevedibile e indeterminabile relazione tra particelle che sono anche onde, ovvero increspature di un campo vibrazionale meramente probabilistico ed eternamente mobile. Così, nello stile di un autore ci sono molteplici correnti e tendenze, chiavi armoniche e folate concettuali che s’intersecano e richiamano vicendevolmente, in una danza di relazione che, proprio come avviene nel cosmo, “tiene tutto insieme” e, vista da una certa distanza, appare come una “poetica”.
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