SCRITTURA COLLETTIVA O JAM SESSION?

L’esperienza di lavorare a una raccolta di racconti che è un “concept book” (in uscita nei prossimi mesi) a sei mani con due colleghi eccezionali come gli amici Carlo Cuppini, ideatore del nostro progetto, e Sandra Salvato, è in sé straordinaria. Non solo per l’accordo spontaneo che si è creato fin dall’inizio tra le nostre propensioni umane e stilistiche, ma perché rappresenta una forma di scrittura autoriale, sì, ma al contempo collettiva: una sommatoria non casuale di suoni, dove in ognuno dei contributi c’è sì una mano specifica, ma intervengono anche le altre, e formare una concatenazione di testi sorprendentemente consonanti. Me ne rendo conto adesso che siamo alla revisione finale.
In termini musicali, lo si potrebbe definire un terzetto formato da diversi movimenti, o una jam session con assoli specifici e coerenti con la cornice armonica.
Un percorso artistico altamente formativo, per me che sono uno scrittore abituato a lavorare da solo. Infatti penso che non ci sarei potuto riuscire insieme a nessun altro.
Continuate a seguirci. Presto vi daremo maggiori informazioni.
Per il momento, mi piace ricordare che la mia foto ritrae Dublino di notte – si tratta di Sandymount, un suo bellissimo quartiere residenziale. Dublino ricorre in uno dei miei racconti nella raccolta. Sandymount compariva anche nel mio romanzo Viale dei silenzi (Arkadia Editore, 2019), dove l’io narrante attraversava appunto Sandymount, ma di giorno. Eccone un estratto:
“Mi avvicinai alla piazzetta-giardino di Sandymount Green, che per uno strano cortocircuito mentale percepii come un micro-triangolo sacro. Al centro, nell’isola verde, non c’era nessuno, ma intorno l’attività ferveva, tra spacci alimentari, una pizzeria italiana già aperta e vari altri negozi. Mi trovavo ormai proiettato nel mio oltre personale, che aveva sicuramente a che fare col tuo; quasi fossimo due discorsi melodici scritti da mani diverse ma strettamente correlati.
Fu proprio una musica a riscuotermi. Era una ballata irlandese moderna, e veniva dall’interno di un pub, diffusa dagli altoparlanti. La riconobbi come Fisherman’s Blues dei Waterboys, proprio mentre, come rimbalzando sulla sua onda sonora, mi giravo verso destra e mi accorgevo di trovarmi praticamente dirimpetto al B&B che mi era stato indicato nell’agenzia di Berlino. Il cuore mi cadde giù, dentro la cassa armonica di me stesso, nel momento in cui mi resi conto di non essere mai stato così vicino a te, negli ultimi anni. Tuttavia, attraversai la strada con un moto di riluttanza: lo stesso freno emotivo che a volte, da piccolo, mi bloccava quando stavo per rivederti dopo un lungo viaggio di lavoro. O piuttosto, mi chiedevo adesso, dopo un periodo che avevi trascorso in quest’isola con l’altra tua famiglia. Forse, dentro di me allora sentivo che c’era qualcosa che non andava. E perfino adesso lo percepivo, come un presagio diffuso nell’atmosfera. Anche se sapevo che qui di te, con ogni probabilità, non avrei visto neppure l’ombra.”
(pagg. 87-88)