Continua la serie dei miei appuntamenti in giro per l’Italia sul tema Gli orizzonti del viaggio e delle lingue, nei quali parto dai luoghi evocati nei miei libri e in quelli da me tradotti per svolgere una riflessione generale sul filo sottile ma profondo che lega il lavoro di scrittura a quello di traduzione. Del resto, se seguite questo blog lo sapete fin da aprile, quando per la prima volta ho parlato di questo argomento in occasione dei miei incontri con gli studenti dell’Università di Stoccolma e di quella di Uppsala, insieme al mio traduttore svedese Johan Arnborg.
Da allora, e fino all’incontro di qualche giorno alla Biblioteca Comunale di Passignano sul Trasimeno(nella mia foto, una veduta del lungolago), il filo di questo ragionamento si è approfondito, impregnando ogni aspetto del mio lavoro letterario, sia sul fronte scrittorio che su quello traduttivo – che, come spiego durante i miei incontri con i lettori, sono per me due facce della stessa medaglia. Così non solo sto raccogliendo idee preziose per Voci oltre il buio, il saggio narrativo che sto scrivendo sulle mie esperienze meditative e spirituali – che toccherà anche e in misura cruciale la mia esperienza artistica come scrittore e traduttore -, ma presento ormai congiuntamente tutti i frutti del mio lavoro nell’una come nell’altra veste.
Ecco un estratto del primo dei due nuovi articoli:
“L’esperienza di tradurre Il santuario delle ombre di Amir Valle è stata una delle più intense di tutta la mia carriera. E non tanto per il rapporto di amicizia che ci lega, che pur rende sempre piacevole approcciarmi alle sue opere e mi permette di chiarire con lui vari aspetti del testo – del resto, ne avevo già avuta prova traducendo i suoi romanzi Le porte della notte e Non lasciar mai che ti vedano piangere. Intendo dire che il vero motivo è precisamente il libro. La qualità della scrittura di Amir, soprattutto ne Il santuario delle ombre, è così alta, complessa e articolata, ma al contemplo godibilissima e avvolgente, straziante e sconvolgente, lirica e perfino, a tratti, comica, da rendere impossibile qualunque distrazione. Semplicemente, ti trascina in un gorgo spaventoso e bellissimo, nel quale le parole evocano ritmi e significati con vividezza tridimensionale o forse addirittura multidimensionale.” (continua qui)
IL SANTUARIO DELLE OMBRE RECENSITO DA FRANCESCO IMPROTA
Su RPLibri è uscita una bellissima recensione del Prof. Francesco Improta del romanzo da me tradotto Il santuario delle ombredello scrittore cubanoAmir Valle (recentemente uscito per Golem Edizioni). Cito l’inizio del pezzo, ringraziando il Prof. Improta per le parole che ha speso sul mio lavoro di traduzione e rimandandovi al sito per la versione integrale:
“Da poco più di un mese è arrivato in libreria, nella sontuosa traduzione di Giovanni Agnoloni, Il santuario delle ombre di Amir Valle, scrittore cubano che attualmente vive e lavora a Berlino. Come si può leggere sul suo sito internet, “Amir non abita (più) a Cuba ma Cuba abita (sempre) in lui”, nel senso che egli è visceralmente legato alla sua terra d’origine e non può prescindere da essa. Non solo i suoi libri, di fiction o di saggistica poco importa, sono ambientati a Cuba ma affrontano anche e soprattutto i problemi e le contraddizioni, le aspettative e le delusioni, la corruzione e le paure di quest’isola caraibica. Ne LePorte della notte, tradotto sempre da Agnoloni e pubblicato in Italia nel 2013, un anno dopo Non lasciar mai che ti vedano piangere, Valle aveva affrontato una delle piaghe peggiori del nostro tempo, la pedofilia spesso contrabbandata sotto l’etichetta, già di per sé disdicevole e vergognosa, di turismo sessuale così diffuso nell’America centrale e meridionale, qui, ne Il santuario delle ombre, denuncia un fenomeno ancora più drammatico: la fuga dei cubani dal regime, nell’illusione di un futuro migliore, che finiscono vittime dei cosiddetti traghettatori che li derubano, li uccidono e li gettano a mare (si parla di oltre 20.000 cubani finiti in questo modo). Alla storia reale, corredata da fatti realmente accaduti e personaggi veramente esistiti, che ha non poche consonanze con le migrazioni verso l’Europa di africani disperati che cercano di sfuggire alla guerra o alla miseria e che spesso diventano cibo per i pesci del Mediterraneo, s’intreccia una vicenda di fantasia, a mezzo tra l’inchiesta giornalistica e il noir.”
Ho appena concluso la seconda stesura della traduzione di Träbild. Sussurri da Gotlanddi Christian Stannow, il romanzo di ambientazione medievale – frutto di una combinazione di racconti concatenati, ambientati sull’isola di Gotland – che uscirà per Ortica Editrice tra il gennaio e il febbraio del 2024, con il sostegno della Fondazione C.M. Lerici, legata all’Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma.
Mi sento dunque come non mai addentro a questo universo non solo linguistico, ma favolistico, storico e artistico – dato che tutti questi livelli sono sollecitati da quest’opera profondamente affascinante. E una compresenza di molteplici livelli percettivi e di pensiero anima anche l’altra opera di letteratura svedese contemporanea che ho tradotto quest’anno sempre per Ortica, ovveroLettere delle piante agli esseri umani di Sanja Särman, collazione ragionata di epistole “scritte” dalle molteplici voci del reame vegetale al genere umano, chiuso nella sua ottusità (con qualche replica degli uomini alle piante). Domani, mercoledì 25 ottobre, alle ore 18,30, presenterò questo libro presso il Bistrot Café a Firenze in via Aretina 100 rosso, insieme all’amico scrittore Massimiliano Scudeletti.
Sarà una gradita occasione per scendere ancora una volta nel profondo del mistero della natura, che il libro di Sanja Särman (qui ottimamente recensito dal Prof. Francesco Improta) esalta nella sua polivalenza, perché rilevante non solo da un punto di vista botanico e biologico, ma anche filosofico, spirituale e linguistico. La natura emerge come una sorta di cartina tornasole del mondo, o di superficie fotografica sulla quale rimangono impresse, come in negativo, tutte le dinamiche della storia degli uomini, privata e collettiva.
Credo che questo sia un tratto che accomuna gran parte della letteratura svedese, nonché della cinematografia dei più grandi registi svedesi – su tutti, Ingmar Bergman, che a Fårö, l’isoletta nel nord-est di Gotland su cui si ambienta gran parte di Träbild di Christian Stannow, trascorse gli ultimi anni della sua vita. Il filo conduttore intimo di questa fetta di mondo è, a mio avviso, la sensibilità per, e direi ancor prima la prossimità alla natura. Tutto, compresa la flessuosità della pronuncia della lingua, sa di acqua e, a tratti, di pietra e legno, con le improvvise asperità di qualche suono aspirato o di frequenti suoni consonantici doppi. E tanto il regista, sceneggiatore e scrittore Stannow, che ho appena finito di tradurre, quanto la filosofa e scrittrice Sanja Särman, sanno mettere in evidenza precisamente questa dimensione della mente e dello spirito (fedelmente riflessa dalla lingua), che – guarda caso – è centrale anche per me, che nella resa italiana ho cercato di rispettarla al massimo. Anche perché proprio a Gotland, nel 2016 (come ricordo nell’ultimo capitolo del mio libro Berretti Erasmus), durante una residenza letteraria a Visby presso il Baltic Centre for Writers and Translators, ebbi modo di entrare in contatto tanto con Träbild, che mi fu donato in occasione di una visita alla tipografia Malmgrens di Fårö insieme all’amico Peter Wingquist, quanto con la stessa lingua svedese, di cui a Visby presi le prime tre lezioni.
Vi aspetto dunque domani a Firenze, e intanto colgo l’occasione per segnalarvi la bellissima intervista che Manuela Fontenova – che ringrazio molto – mi ha fatto per GialloeCucina, nella quale, partendo dal mio lavoro di traduttore, si va in realtà molto più in profondità e in estensione su tutta la mia attività letteraria.
Alcune mie poesie sono uscite in traduzione bulgara (grazie alla traduttrice Наталия Димитрова e all’editor Dušan Gojkov) sul n° 57 del “Balkan Literary Herald” (potete trovarle qui da pag. 49).
Seguono sotto le versioni italiane e inglesi (trad. inglese mia).
Mentre ti penso, fuori c’è una danza di fili d’erba. Il treno è fermo in stazione, ma loro si dimenano, scossi da un fremito sincopato. Al di sopra, una ringhiera metallica separa questo punto dal resto del mondo. E magari anche noi l’uno dall’altra. A volte un gesto basta, fa la differenza. A volte è meglio di no. Quel che conta è un’attesa paziente, assecondando l’invisibile suono del vento.
While I’m thinking of you, outside there’s a dance of grass blades. The train is still in the station, yet they twist, shaken by a syncopated tremor. Above, a metal railing separates this spot from the rest of the world. And maybe us, too, from one another. Sometimes a gesture suffices. Makes a difference. Sometimes it’d better not. What matters is a patient wait, listening to the invisible sound of the wind.Leggi tutto “Poesie in traduzione bulgara”
Di ritorno dall’ottimo incontro sul tema del viaggio presso il Centro Giovani di Sperlonga, che mi ha permesso di conoscere dei ragazzi veramente in gamba, grandi lettori e appassionati di lingue, sto organizzando altri eventi simili presso diverse biblioteche.
Il primo sarà lunedì 16 ottobre alla Biblioteca degli Arconi di Perugia (Via della Rupe, c/o ingresso scale mobili Stazione Pincetto Minimetrò) e avrà per titolo “Gli orizzonti del viaggio e delle lingue”. Sarà un’altra occasione per percorrere i luoghi dei miei libri, oltre a quelli – e alle lingue in cui sono stati scritti – delle opere da me tradotte.
Intendo proseguire in questo itinerario di riflessione – iniziato a maggio in quel di Stoccolma – che mette insieme (perché sono insieme) scrittura e traduzione, in quanto entrambe forme di espressione del mondo interiore di un autore, che si tratti di un’opera sua o di un altro scrittore, da lui però interpretata e “trascritta” nell’atto traduttivo.
Ecco la mia nuova traduzione, Il santuario delle ombre dello scrittore cubano Amir Valle, uno dei massimi esponenti della narrativa di testimonianza storico-sociale sugli aspetti più oscuri della Cuba contemporanea. È appena uscito per Golem Edizioni, ed è una storia tragica e bellissima, sul dramma dei cubani in fuga dal regime nel disperato tentativo di raggiungere la Florida (e l’illusione di una vita migliore), cadendo però vittime di uno spietato racket di “traghettatori” che invece li derubano per poi ucciderli e gettarli in mare.
Un tema quanto mai attuale, corredato dall’aspetto giallistico-noir dell’indagine del poliziotto Alain Bec e del “sindaco” della mala “vecchio stile” di Habana Vieja Alex Varga – storici personaggi creati dalla penna di Amir Valle. L’autore, che in passato avevo già tradotto con i suoi romanzi Le porte della notte e Non lasciar mai che ti vedano piangere, risiede da anni a Berlino, dove svolge anche la professione di giornalista, alla base del suo approccio alla concretezza dei fatti del nostro tempo.
Sono di ritorno da Ormea, dove ho ricevuto il Premio Traduttore 2023 dagli organizzatori del Concorso Letterario La Quercia del Myr, che ringrazio ancora per avermi scelto e per la splendida ospitalità in questo bellissimo borgo del cuneese. Qui un articolouscito sulla stampa locale.
Ho condiviso la serata, oltre che con i partecipanti e i lettori del concorso letterario – del quale è risultata vincitrice assoluta la scrittrice milanese Paola Varalli col romanzo Tira mòlla e messèda (edito da Todaro) -, con gli altri ospiti invitati per vari riconoscimenti, ovvero la direttrice artistica del Festival letterario savonese “Parole ubikate in mare” Renata Barberis (in rappresentanza della saggista e psicoterapeuta Gianna Schelotto, destinataria del Premio alla Carriera e impossibilitata a essere presente) e gli scrittori Franco Faggiani (Premio Montagna) e François Morlupi (premiato come Giallista).
Abbiamo avuto la conferma di un finanziamento proveniente dalla Svezia (più precisamente, dalla Fondazione C.M. Lerici, afferente all’Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma) per tradurre questi due libri (li trovate nella foto) dello scrittore, sceneggiatore e regista svedese Christian Stannow (v. qui). Si tratta di Träbild (un romanzo formato da racconti concatenati di ambientazione medievale, sull’isola baltica di Gotland) e di una selezione di poesie ispirate sempre da Gotland e appartenenti alla raccolta dei suoi “Versi sparsi” (Strödda Dikter). Due perle da noi poco conosciute di un autore (oggi novantenne e in gambissima) che ha realizzato dei documentari di successo negli anni ’60.
Il viaggio in Norvegia è finito da meno di una settimana, ma in realtà non si è concluso. Come tutte le esperienze di viaggio, per me è stato una sorta di pellegrinaggio intimo, carico dell’energia dei luoghi, delle persone incontrate e delle risonanze interiori che ha sprigionato. Del resto, l’avevo scritto qui prima di partire: la Norvegia per me è sempre stata il segno di un passaggio definitivo – della chiusura di una fase della vita e dell’apertura di un’altra.
Il Teatro dell’Opera di Oslo
Così, mentre qui pubblico alcune delle tante foto che ho scattato durante i dieci giorni di viaggio (e che potete trovare più numerose sui miei profili Facebook –questo e questo – e Instagram), non posso non pensare al mio rientro in città (la da me amata e detestata Firenze) come a un momento di necessaria ripartenza. E non penso solo al lavoro – ho appena finito la revisione della mia traduzione del romanzo dell’autore francese Olivier SorinLe nombril de Solveig, che uscirà in Italia prima di Natale, e la scrittura del mio romanzo di viaggio e critica storico-sociale La via dell’altrove procede bene -; no, penso a tutto ciò che in genere si associa al rientro in città, e che, non lo nego, a volte affligge anche me, anche se oggi molto meno di prima. Noia, nevrosi, stasi, difficoltà a ripartire.
Una veduta del Lysefjord, non lontano da Stavanger
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