Migliori recensioni dei libri di Giovanni Agnoloni

MIGLIORI RECENSIONI DEI LIBRI DI GIOVANNI AGNOLONI

Ecco alcuni estratti delle migliori recensioni dei libri di Giovanni Agnoloni, particolarmente significative per averne colto aspetti-chiave:

Migliori recensioni di Da luoghi lontani (scritto insieme a Carlo Cuppini e Sandra Salvato): 

“Gli autori (…) raccontano, attraverso il filo rosso  di un viaggio per tappe, le zone segrete e inafferrabili dell’esistenza. Da una storia all’altra il lettore viene così portato a spasso attraverso una articolata geografia fisica che corrisponde a uno spazio interiore difficile da misurare., fatto di esperienze, sensazioni, risonanze che sfuggono a una univoca comprensione.”

(Laura Antonini, “Corriere Fiorentino” – “Corriere della Sera”, del 15 aprile 2022)

“Il filo rosso che collega i nove racconti è esplicitato dal titolo: luoghi lontani; lontani nello spazio ma anche nella memoria del passato o nel presagio di un futuro prossimo. E così il passato si fa presente nei primi turbamenti della pubertà o nel ritorno in un “luogo della memoria” che ha rischiato di essere travolto da due guerre, o nell’improvvisa consapevolezza di ciò che passa improvvisamente dalla presenza alla memoria.”

(Riccardo Ferrazzi, scrittore, su La Poesia e lo Spirito)

“Come gli autori spesso ripetono, parafrasando un termine nato in ambito musicale (concept album), si tratta di un concept book, perché i loro racconti, inanellati in ordine vario e concatenati in modo da formare una continuità ininterrotta – sia pur nella varietà di stili –, sono collegati da un Leitmotiv concettuale e “atmosferico”. Il tema di fondo è quello della lontananza, della mancanza di, quella che genera la tensione verso l’Oltre, superando i limiti che la nostra mente identifica nel luogo e nel momento presenti.”

(Gordiano Lupi, scrittore, su Leggere:tutti)

Da luoghi lontani è un libro estremamente singolare. Si compone di nove racconti, tre di Sandra Salvato, tre di Carlo Cuppini e tre di Giovanni Agnoloni. I racconti si alternano e sono divisi in tre sezioni (Memoria, Sogno, Spazi cosmici), cosicché il tutto assume una linearità simmetrica, fatta di rigore ed armonia. All’interno di questo scrigno euclideo, però, si agita il magma.”

(Enrico Macioci, scrittore, su OrticaWeb)

“(…) è un libro che ha una forte unità, data intanto dalla struttura rigorosamente geometrica: nove racconti in tutto, tre per ciascuno degli autori, divisi in tre sezioniMemoria, Sogno, Spazi cosmici. Un altro elemento di unitarietà è dato dall’eccezionale livello letterario: ciascuno dei tre autori, nella diversità degli stili, possiede una linguaggio di elevatissima qualità.”

(Marisa Salabelle, scrittrice, su I libri di Mompracem)

“Senza logiche restrittive, ma in maniera molto naturale e, si potrebbe dire, quasi “poetica”, questi racconti si sistemano tra loro con accorgimenti studiati ma mai forzati e, percorrendo sentieri misteriosi, ci conducono lungo rotte impenetrabili eppure esperibili, forse non replicabili. Sono racconti e tracciati che possiamo immaginare di inseguire più volte con la sensazione di trovarci ogni volta in luoghi diversi, appunto, lontani. La lontananza può essere intesa come minimo comune denominatore di questi piccoli inconclusi viaggi – perché certe peregrinazioni possono incontrare un compimento narrativo ma non necessariamente una meta “definitiva” per le suggestioni che stimolano – e traccia mappe che non sono soltanto fisiche, ma che si disegnano attraverso geografie della memoria, o che fluiscono più liberamente nelle regioni dell’inconscio, con incursioni nella dimensione onirica. “

(Lia Amen, blogger culturale, su Una banda di cefali)

“Al centro della raccolta c’è il tema del viaggio e non poteva essere diversamente, visti i presupposti e le indicazioni fin troppo esplicite del titolo che allude alla lontananza e, di conseguenza, alla mancanza o assenza nonché al desiderio insopprimibile, consapevole o meno, di colmare questo vuoto e questa distanza. Un viaggio nello spazio, nel tempo, nella memoria, alla ricerca di un altrove, nel desiderio di dare consistenza a un’identità sempre più labile ed evanescente. Le coordinate geografiche sono facilmente ravvisabili (Ubino, Firenze, Venezia, la Dalmazia, le enormi distese degli Stati uniti e dell’Australia o, all’opposto, un villaggio fantasma della Sardegna e infine gli spazi interstellari) ma alterate e deformate dalla nebbia dei ricordi, dalle incursioni in una dimensione onirica o dal ripiegamento su sé stessi in una lenta operazione di cabotaggio lungo i lidi rupestri dell’inconscio.”

(Francesco Improta, critico letterario, su RPLibri)

“Nove racconti, fulminei, intensi, profondi, dilatati al punto da includere moltitudini; che disegnano una curva unitaria nello spazio vuoto, cioè un mondo (o molteplici mondi), complesso e plurale, come ci insegna Fritjiof Capra, posto giustamente ad esergo del volume (…) I tre sono intenti a costruire (o ricostruire) mondi, recuperando la traccia indelebile che le vite hanno depositato nel piano tridimensionale dello spazio vuoto che possiamo chiamare lo spazio letterario. Appunto, una curva, una deviazione impercettibile dalla caduta atomica democritea. Le esistenze umane sfuggono necessariamente all’uniformità, al moto rettilineo nascita-vita-morte.”

(Simone Siliani, giornalista, su “Cultura Commestibile”, n° 458 del 3 settembre 2022, pag. 23)

“Questi nove racconti (…) sono messi in una struttura apparentemente di immediata comprensione, eppure frutto di una di sicuro non semplice attenzione al movimento dell’ingranaggio. Qui si è in moto, appunto. Seppure le tre sezioni del volume fingono di presentare uno svolgimento più che altro mentale, di svolgimento più che altro nel luogo del cervello. “Memoria”, “Sogno”, “Spazi cosmici”. Che fanno immaginare prima di tutto un pensiero, un pensare, un pensamento.”

(Nunzio Festa, scrittore, su Kultundergound)

“La forma espressiva per tutti e tre è alta e letteraria, talvolta persino – immagino volutamente – lirica, come si adatta a storie che vogliono soprattutto essere evocative, e che fanno del salto di dimensione e dell’intreccio di piani una scelta. Così il tempo della memoria, quello del vissuto e quello “ad-veniente” si mescolano e interagiscono, portandosi dietro gli spazi che contengono le vite, insieme alla ricerca, il cammino, il desiderio e anche il rimpianto. “

(Anna Bertini, scrittrice, su Ex Libris)

“Il libro intesse un dialogo di tipo musicale fra le tre visioni e i tre autori; l’articolazione in tre sezioni crea occasioni di convergenza e frattura di senso e di stile, ma non è sbagliato affermare che tutte e tre le voci sono voci epigonali e crepuscolari, di autori che hanno vissuto, per anagrafe, il passaggio dal mondo reale al mondo virtuale, dal mondo fisico a quello della Rete, e che protagonista della loro indagine è proprio la percezione allargata fornita dalla Rete. Esiste un modo di percepire il mondo che è figlio dell’epoca della Rete, e questi racconti ne sono lo specchio: il senso kafkiano di Cuppini è un senso kafkiano passato attraverso le enormi mutazioni di psicologia della percezione avvenuti negli ultimi decenni; le aperture verso l’Altrove di Sandra Salvato e gli intermundia di Agnoloni si offrono come elementi metatestuali di quel grande testo ancora in gran parte da decifrare che è il mondo degli esseri viventi. E il tempo, in tutti e tre, è il tempo non lineare della fisica quantistica, ma anche dell’ipertesto, caratterizzato da una quasi illimitata possibilità di muoversi avanti e indietro.”

(Giorgio Galli, scrittore, su Morel Voci dall’Isola)

 

Migliori recensioni di Internet. Cronache della fine:

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“Agnoloni disegna un’architettura distopica autogenerantesi sul crinale della dicotomia esistente tra la dimensione virtuale e quella iperreale: la prima dimensione narrativa riguarda infatti internet come sistema di connessione e di controllo invasivo e pervasivo che costringe gli individui all’adesione coatta e acritica a un Sistema prefigurato, atto a plasmare le coscienze; la seconda, invece, riguarda gli elementi patentemente panoptici di cui l’autore cosparge le proprie pagine come presenze inquietanti e misteriose: in particolar modo, ologrammi e droni, a loro volta sistemi di controllo sociale sui generis, di cui si dirà tra poco. Le due dimensioni del controllo psicosociale, quella virtuale e quella iperreale, riempiono le pagine della quadrilogia di una tensione tutta interna al collasso nichilista verso il nulla che si respira come incombente a livello mondiale, il cui rischio sembra essere il tema principale (nonché la morale, in senso classico) dell’opera vista nel suo insieme.”

(Sonia Caporossi, scrittrice e critica letteraria, dalla Prefazione, su Nazione Indiana)

“L’esito più alto (…) è raggiunto da Don DeLillo con il recente Il silenzio (…), nel quale l’ipotesi di un blackout digitale viene a costituire la premessa di un ripensamento della rete in termini spirituali. Si tratta di una prospettiva sotto certi aspetti simile a quella suggerita da Giovanni Agnoloni nel più ambizioso tentativo nostrano di affrontare il tema in sede narrativa. Internet. Cronache della fine (…) riunisce i quattro romanzi che Agnoloni ha pubblicato tra il 2012 e il 2017, prospettando con buon anticipo le conseguenze di un’eventuale catastrofe digitale. La rete si dissolve prima in Europa e poi negli Stati Uniti, lasciando spazio da un lato a un ulteriore tentativo di restaurazione dirigista e dall’altro all’auspicato avvento di una generazione di tecnosciamani, legati tra loro da un’ineffabile chiamata mistica.

Difficile da ignorare per vastità di svolgimento e per perentorietà del dettato, la tetralogia di Agnoloni sembra riallacciarsi agli entusiasmi della protostoria informatica, riservando alla situazione attuale un giudizio (…) severo (…).”

(Alessandro Zaccuri, critico letterario e giornalista, sul numero del quotidiano Avvenire del 31 agosto 2021)

“In Internet. Cronache della fine incontriamo più storie. Il libro, infatti, comprende quattro romanzi già pubblicati (tra il 2012 e il 2017). Quattro storie comunque connesse tra loro (ricordiamo i titoli: Sentieri di nottePartita di animeLa casa degli anonimi e L’ultimo angolo di mondo finito) e che per la prima volta in letteratura hanno prefigurato la caduta in disgrazia di Internet. (…) Abbiamo detto delle suggestioni a cui si affida Agnoloni. Ma c’è anche una forte lettura politica: la rete domina e controlla la nostra esistenza, condiziona il nostro tempo, i nostri pensieri, e poi la rete – si sa – appartiene ai padroni del mondo. Che però un bel giorno “rompono il mostro-giocattolo”: la vicenda parte infatti da un tentato colpo di stato da parte di una multinazionale europea delle telecomunicazioni.”

(Remo Bassini, giornalista e scrittore, su “Il fatto quotidiano”)

“È evidente che per un mondo basato sulla connessione telematica perdere il collante digitale equivale a una dispersione verso la periferia cognitiva di ogni sapere, di ogni abitudine, di ogni obiettivo, di ogni convinzione. Dopo la catastrofe, tutto appare slegato e l’orizzonte degli umani sembra affrontare un nuovo Medioevo in cui anche le condizioni meteo appaiono come una regressione verso una sorta di piccola glaciazione, qualcosa che ricorda molto da vicino la decadenza dell’evo antico, quando il prestigio di Roma si dissolse lasciando all’Europa un nulla barbarico forse non così prossimo all’epoca delle caverne, ma certo assai lontano dai fasti culturali, tecnologici e ideologici dell’epoca Classica.”

(Sandro Battisti, scrittore, su HyperHouse)

“I personaggi si muovono spinti da intuizioni irresistibili, da pure sincronicità junghiane (vale a dire da coincidenze significative solo per chi le esperisce). Il protagonista della Casa, Kasper, compie le sue azioni “ben sapendo, per motivi a me ignoti”, qual è il suo compito in questo gioco dove nulla è ciò che appare ma nulla è per caso. Le coscienze possono essere persino eterodirette, infiltrate da qualcun altro che vi prende stanza. Il socratico Gnothi seautòn, “Conosci te stesso”, diventa allora il comandamento più importante. Perché è solo ritrovando se stessi, ridiventando completi, che si può svolgere la propria funzione nel mondo. Accanto al motto socratico, c’è – con pari forza – l’esempio di Gesù, che, nel tempio, pur inveendo contro i Farisei, non si lascia distrarre da loro e continua a tracciare dei segni per terra. Cosa scrive? I Testi non lo dicono, ma ai nostri personaggi quel passo del Vangelo invia un messaggio: rintracciare i segni, decifrarli, interpretarli è il loro compito più sacro, perché i segni sono tutto, in un mondo che si è ridotto al suo proprio fossile. I segni sono ciò che sopravvive. Accogliere i segni, “abbandonarsi ai significanti” avrebbe detto Carmelo Bene, è l’unica via per ritrovare quell’unità a cui tutti aspirano, e che è sempre più lontana.”

(Giorgio Galli, scrittore, su Poesia, di Luigia Sorrentino)

“Giovanni Agnoloni è un cittadino del mondo come si evince dall’amore e dall’attenzione con cui guarda e descrive nazioni e città, scenari non solo di questa tetralogia distopica ma di tutta la sua produzione, eppure nel suo cuore continua a occupare un posto di rilievo Firenze, la sua città di origine, verso la quale, come tutti i fiorentini, a partire da Dante, nutre un sen­timento ossimorico di odio e amore. Da sottolineare l’abilità e la pa­dronanza con cui l’autore riesce a maneggiare un materiale narrativo complesso, labirintico, talvolta difficile ma mai ostico, ricorrendo alle tecniche più disparate dalla diegesi alla mimesi, dal metaromanzo al cinema, dallo stile epistolare a quello onirico; cambia di conseguenza anche il punto di vista passando dall’eterodiegetico all’omodiegetico e viceversa. E tutto concorre alla costruzione di un edificio narrativo che rimarrà a lungo nella mente e nel cuore di chi legge.”

(Francesco Improta, critico letterario, su RP Libri)

“Il grande scenario che Agnoloni ci propone in forma di romanzo rimanda naturalmente ad altri archetipi letterari, in primo luogo Tolkien e Asimov (ma non solo). In particolare, ricordano Tolkien le atmosfere sospese e la sensazione di muoversi in una Terra di Mezzo che della geografia fisica e politica conserva soltanto i nomi delle località. Di Asimov ritorna soprattutto l’odissea conclusiva, quando la saga dei robot si fonde con quella della Fondazione e la storia riparte alla ricerca, prima di Gaia, e poi della Terra perduta. Anche la “Fine di Internet” è la ricerca senza fine di un principio perduto e solo parzialmente ritrovato. Ma se si volessero ricercare tutte le suggestioni letterarie alle quali ha attinto Agnoloni si scoprirebbero le fonti più impensate, dai Dialoghi di Platone a quelli di Giordano Bruno, dall’Asino d’oro di Apuleio al Gran teatro del mondo di Calderon de la Barca. Perché, in realtà, l’arte e la filosofia non hanno mai creduto fino in fondo al desolante meccanicismo della scienza e il viaggio iniziatico non è soltanto uno stilema, un modo di costruire una narrazione: è la spia di una necessità psicologica che tutti abbiamo dentro di noi.”

(Riccardo Ferrazzi, scrittore, su La Poesia e lo Spirito)

“Ha suscitato l’interesse della critica anche un’altra distopia, la tetralogia di Giovanni Agnoloni Internet. Cronache della fine. Nel mondo di Agnoloni le persone, dopo la fine di internet, devono scegliere se rimanere in una nebbia bianca che simboleggia la loro inconsapevolezza o se scovare anche, dentro di sé, nella natura e nella sintonia con gli altri l’impulso per rigenerarsi. Se volessimo individuare un filo conduttore tra tutti questi temi, potremmo constatare che una buona parte della letteratura italiana contemporanea tenta appunto così di recuperare, raccogliere e ricostruire un senso nelle schegge di un mondo distrutto.”

(Leonardo Masi, docente universitario e traduttore, su Tygodnik Powszechny – trad. mia)

“Lo stile è quello inconfondibile di Giovanni Agnoloni: profondo, intenso, elegante, con una ricchezza di vocabolario e di termini che non è comune e che mostra la profonda cultura e la grande sensibilità di questo autore. La vicenda è insieme terribile, distopica e irrimediabilmente umana. I protagonisti si trovano infatti di fronte a una scelta: vivere in una negligente inconsapevolezza oppure riscoprire nell’affinità di idee e sentimenti la forza per una rivoluzione globale? Come già altre opere prima, anche questa potrebbe essere una sorta di impensabile previsione del futuro, ma quello che conta è ciò che essa rappresenta ad oggi: una storia ben scritta, ben progettata, con personaggi di grande spessore morale.”

(Serena Bedini, scrittrice, su Leggere tutti)

“Agnoloni  ha usato uno stile molto concreto e realistico nei primi romanzi, per poi passare a un tono più astratto e distaccato, ma anche più intimo. Un’altra sua caratteristica è quella di usare varie ambientazioni e in nazioni diverse, ma da buon fiorentino, usa anche la sua città, Firenze, che occupa un posto importante nel libro, pur in un  singolare rapporto di odio/amore. Comunque non dimentica che non sta scrivendo un saggio, e quindi la sua prosa è scarna pur se complessa e assai curata, ed è evidente che non dimentica mai le esigenze dei lettori.
D’altra parte in questi romanzi i luoghi hanno un valore che va oltre la semplice ambientazione, servono a mantenere vivo il rapporto con la realtà. I protagonisti non dimenticano mai che i fatti di per se stessi hanno un potere assai condizionante. su chi li vive e infatti una delle basi della quadrologia è che la coscienza del singolo si dirige  verso un mondo con una propria anima, che poi è l’anima di tutti.”

(Giuseppe Previti, giornalista, sul suo blog)

“Agnoloni possiede uno sguardo obliquo e insolito, che gli consente di sintonizzarsi sulla frequenza di ciò che in genere si tende a rimuovere, l’elefante chiuso nella stanza della tarda modernità: l’abisso della fine.

Che un mondo ben preciso, quello del finanzcapitalismo (Gallino) o del realismo capitalista (Fisher) che dir si voglia, si stia inabissando davanti ai nostri occhi non si discute; il punto è tenere gli occhi aperti per guardarlo, e non distoglierli da cotanto sfacelo.

Agnoloni al coraggio somma una visione nutrita di filosofia, sociologia, psicologia, teologia; i suoi molteplici interessi e le sue vaste competenze convergono nell’opus magnum a formare un blocco coeso, una sorta di pietra tombale ritta nella palude della nostra esausta civiltà.

Tuttavia, ed ecco il paradosso, la quadrilogia della fine di internet prefigura una speranza: quella sfolgorante e indistruttibile che riluce al termine di ogni tunnel.”

(Enrico Macioci, scrittore e critico letterario, su Lankenauta)

 

Migliori recensioni di Berretti Erasmus:

migliori recensioni“Con Berretti Erasmus (…) siamo nell’alveo di quella narrativa difficile da catalogare, in quanto Giovanni Agnoloni si sbarazza facilmente di tutti i generi consolidati e convenzionali e ci offre un’opera decisamente nuova, muovendosi con estrema libertà e padronanza tra letteratura memorialistica, odeporica, autoanalitica e romanzo di formazione. L’autore ci si presenta sotto una duplice veste: io narrante e io agente e l’incipit, nella sua nuda semplicità, a mio avviso, è folgorante: “C’era nebbia, quella domenica pomeriggio. Passeggiavo lungo l’argine della Greve”.

Mi è venuto in mente immediatamente il capitolo XIX della Vita Nova di Dante: “Avvegna che passando per un cammino lungo lo quale sen giva un rivo chiaro molto, a me giunse tanta volontade di dire.” L’accostamento non sembri azzardato né irriverente, dal momento che ci sono alcuni indiscutibili punti di contatto: innanzitutto sono entrambi fiorentini di origine ma non di costumi, come ha detto il Divin Poeta nella lettera a Cangrande della Scala e come più volte ha ribadito Giovanni Agnoloni, in secondo luogo in entrambe le opere, esclusivamente nella Vita Nova, prevalentemente in Berretti Erasmus si discute di amore e, infine, entrambi dimostrano in maniera inequivocabile che quella che impropriamente viene chiamata ispirazione non è altro  che un’occasione, in cui un colore, un suono, un’immagine o una parola provocano l’urgenza di dire, di scrivere, di dare forma a emozioni, ricordi, sentimenti.”

(Francesco Improta, scrittore e critico letterario, su RPLibri)

Peregrinazioni di un ex studente nel Nord Europa, è questo il sottotitolo di questo libro, che è molte cose insieme: viaggio e memoir, romanzo di formazione e riflessione su cu ciò che siamo e ciò che dovremo imparare a essere ancora di più. “

(Paolo Ciampi, giornalista e scrittore, su I libri sono viaggi)

“Ritorni a luoghi amati, lontani e ricchi di stimoli, ma anche all’ambivalente Firenze, dalla quale Giovanni si allontana puntualmente, attratto dall’altrove ma anche da una ricerca intima e sentimentale che lo porta a vivere i tanti allontanamenti come il viaggio, quello in cui “ci si rende conto di come una vicenda personale possa diventare un simbolo, o almeno un anello di congiunzione con un senso più ampio delle cose”: è la ricerca dell’amore, della propria vocazione umana e professionale, del senso della vita e del dolore, dell’ignoto che alberga in ciascuno di noi. “

(Annarosa Francescut, recensore per I libri di Mompracem)

“Ancora una volta, come già in altre sue narrazioni, Agnoloni, con lo stile elegante e colto che lo contraddistingue, affronta il tema del viaggio, rendendolo uno strumento per indagare sé stesso, la realtà circostante e la propria personalità in relazione al mondo. Un romanzo affascinante, ineludibile per chiunque sia appassionato di viaggi e veda in essi un’occasione di crescita personale e di allargamento non solo dei confini fisici, ma anche e soprattutto di quelli mentali.”

(Serena Bedini, scrittrice e recensore per Leggere tutti)

“Nel romanzo di Agnoloni, il protagonista sente che viaggiare è una necessità. Tra queste pagine non parliamo di un giovane turista a caccia di avventure, ma di un uomo che si abbandona alla sua vocazione, quindi, al suo destino. Il tragitto è segnato, ciò che accade è semplicemente ciò che è, l’esistenza si compie “obbedendo” alla “necessità”. Ciò non vuol dire che non esiste un libero arbitrio, ma che mettersi in cammino, ossia, peregrinare, è l’attività di chi accetta la sfida.”

(Martino Ciano, recensore per Gli amanti dei libri)

“Leggendo, ci accorgiamo che l’autore non attira la nostra attenzione su un particolare per inquadrarlo in un’azione diretta a uno scopo, ma per fissarci sul fatto in sé, per decostruirlo e analizzarlo, come se ogni minimo evento, proprio perché è accaduto, possa contenere una verità universale, momentaneamente obliterata nel vortice della frenesia quotidiana, ma ricuperabile con la memoria.”

(Riccardo Ferrazzi, scrittore, su La Poesia e lo Spirito)

“C’è un’altra cosa che mi ha colpito, in questo libro, ed è la capacità che Agnoloni ha di descrivere, con apparente semplicità, i luoghi e la gente che li popola. Molte delle città in cui il protagonista soggiorna le ho visitate anch’io e nelle pagine di Berretti Erasmus le ho riconosciute, ho percepito la loro essenza, grazie allo sguardo limpido di Giovanni, al suo linguaggio accurato e poetico, alla sua capacità intuitiva. Un piccolo grande libro.”

(Marisa Salabelle, scrittrice, su TheMeltinPop)

“In prima battuta, conoscendo da tempo l’opera dello scrittore e traduttore Giovanni Agnoloni, nel ricevere la pubblicazione Berretti Erasmus, eravamo rimasti interdetti; ché, per essere estremamente chiari, o di lui non avevamo compreso niente oppure si trattava semplicemente di un’anomalia del sistema. E quindi, con le dovute e opportune calma e attenzione abbiamo compreso. L’autore necessitava d’un passaggio intermedio, di “viaggiare”, e non nell’accezione che vedremo più avanti, in un’altra terra di contenuti per la scrittura. Insomma Agnoloni aveva deciso di darci il suo “libro di viaggio”.”

(Nunzio Festa, scrittore, su Kult Underground)

“I ritorni a Firenze dove è nato e cresciuto acuiscono un senso di sottile estraneità nei confronti della città natale, contribuendo alla formazione di un particolare atteggiamento psicologico che prescinde dall’evidenza della sua bellezza: infatti Giovanni tende piuttosto a comparare le emozioni riesumabili dai ricordi dei suoi primi anni con quelle evocate da altri paesaggi urbani. Non lo affascinano tanto gli abbaglianti splendori dell’arte, quanto piuttosto le sensazioni sottili che promanano da un istante, uno squarcio nella coscienza, che per lui può aprirsi su prospettive di città nordiche, che lasciano immaginare un senso di tepore interiore pur nella visione di candidi scintillii di strade innevate o notturni illuminati dalla gelida luna boreale. Con ciò inizia a crescere nel protagonista un interesse che i soggiorni Erasmus renderanno via via più chiaro: la ricerca su se stesso per scoprire come stare al mondo nel modo più consentaneo alla sua natura.”

(Luigi Preziosi, critico letterario, su Vibrisse)

“Viaggiare non è solo invito alla conoscenza, apertura alle culture, ma anche programma terapeutico, visione sul destino, tanto che in ogni incontro puoi avvertire un sottile segnale interiore capace di sostenerti durante il cammino, spesso faticoso.”

(Pasqualino Casaburi, operatore culturale, su Parole nuove)

 

Migliori recensioni di Viale dei silenzi:

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“Il titolo, Viale dei silenzi, non a caso senza aggettivo determinativo, indica più luoghi, fisici e simbolici, esterni e interiori, che determinano l’attivarsi della memoria involontaria, alla maniera di Joyce e non poteva essere diversamente in quanto buona parte della vicenda si svolge in Irlanda. Tra i numi tutelari di Giovanni Agnoloni si possono ravvisare per la loro indiscussa influenza Patrick Modiano, premio Nobel per la letteratura, per la sua assidua esplorazione della memoria e soprattutto Giorgio Manganelli, per essere stato un instancabile viaggiatore e un inesausto speri­mentatore, una delle voci più qualificate della Neoavanguardia, di cui tra l’altro viene riportata in esergo una frase piuttosto significativa che finisce coll’offrire una chiave di lettura.”

(Francesco Improta, scrittore e critico letterario, su “RPLibri”)

“Ma partiamo dalla domanda più semplice che il lettore si porrà dopo aver sfogliato le prime pagine di questo romanzo: chi è Roberto? È uno scrittore girovago, spaesato, in preda al sonno della ragione. Il sonno della ragione non spinge solo alla brutalità, ma può essere legato ai concetti di dissociazione, illogicità, vittoria dell’intuizione. Infatti, noi siamo sempre portati a creare un parallelismo tra Ragione Logica, due elementi attraverso cui leggiamo il mondo razionalmente. Ciò che accade deve avere un preciso collocamento e tutto quello che non è classificabile viene eliminato. La memoria invece se ne infischia delle regole, non bada alle dinamiche dello spazio-tempo, non conosce l’entropia, non ammette limitazioni. Il ricordo ci assale quando meno ce lo aspettiamo; sfrutta un particolare, un oggetto o un soggetto del presente per riapparire dal passato remoto. Il ricordo, insomma, è il senso della nostra durata, ma qui mi fermo perché non mi va di scomodare Peter Handke.”

(Martino Ciano, giornalista, su “Gli amanti dei libri”)

“Pochi i personaggi coinvolti nel romanzo, ma ben nitidi; molte le suggestioni che Agnoloni narra e i meccanismi del noir, del thriller e del flusso di coscienza si coniugano perfettamente tra loro, sciolti da una prosa semplice e aulica, complessa e fruibile, fino a mostrare una tensione interiore che fa del rimpianto, del dispiacere e della ricerca di un rapporto perduto una bandiera che può essere sventolata dai connettivisti, compagni di Giovanni nella scrittura di genere che da tempo hanno imparato a guardare verso gli scenari, prima sconosciuti, del mainstream”

(Sandro Battisti, scrittore, su “HyperHouse”)

“L’abilità consiste nell’evitare i meccanismi del giallo senza rinunciare agli snodi narrativi. Agnoloni imbastisce la ricerca del padre dentro a un’atmosfera sospesa, nella quale l’indagine è continuamente contrappuntata dallo stupore del figlio, costretto a confrontarsi con una realtà sfuggente. Roberto non è un investigatore privato alla Raymond Chandler e non è neppure uno psicanalista. Ciò che l’autore mette in scena è la presa di coscienza di un disorientamento.”

(Riccardo Ferrazzi, scrittore e traduttore, su “La Poesia e lo Spirito”)

“(…) le parole di Roberto, l’io narrante del romanzo, si sostanziano all’interno di monologhi, o, più precisamente, di dialoghi con persone – forse – assenti, per lo più in bilico tra realtà e illusione, rimpianti ed interrogativi angoscianti. Se i cloni immateriali della trilogia non hanno ragion d’essere, però quella che è stata definita “indagine dei territori della memoria” viene condotta ancora con ampio ricorso alle intuizioni del protagonista, a situazioni dove incontri sfuggenti, tali da suggerire plausibili inganni, e ricordi che riaffiorano quasi con accanimento proustiano, fanno pensare ad una dimensione spirituale mai del tutto separata da quella più materiale e quotidiana.”

(Luca Menichetti, critico letterario, su “Lankenauta”)

“(…) l’indagine dello scrittore insiste, in entrambi i casi, sullo stesso tema di fondo: le trasformazioni antropologiche che hanno accompagnato il passaggio dal mondo dell’analogico al mondo del digitale, dal Secolo breve a questo torbido Duemila. Le vite dei protagonisti si intrecciano a quest’epoca di passaggio quasi controvoglia. Sembra che a nessuno di loro piaccia il periodo storico in cui sono stati gettati, ma non si decide di venire al mondo in un dato momento: essere contemporanei non è una scelta, è un obbligo che per qualcuno si trasforma addirittura in un dramma.”

(Giorgio Galli, scrittore e critico letterario, su “La lanterna del pescatore”)

“(…) una storia colta e brillante, profonda e avvincente, capace di mescolare affabulazione e inesausta ricerca, ed espressa in uno stile altamente sorvegliato, che non “grippa” mai, pieno di grazia ed equilibrio. Un uomo alla deriva in un’Europa alienata, angosciosa, e un altro uomo scomparso; e in mezzo molti perché, fino al mistero che si spalanca come un fiore.”

(Enrico Macioci scrittore e critico letterario, sul suo profilo Facebook

“(…) a mio avviso, “Viale dei silenzi” è una quest avvincente, un tentativo di ritrovare se stessi attraverso la figura paterna e di sentire l’appartenenza alle proprie radici in un altrove – Polonia, Irlanda, Germania – conosciuto e amico, quanto straniero e distante dalla propria città che instancabilmente e immancabilmente continua ad apparire, improvvisa e imprevedibile, agli occhi dell’autore.”

(Serena Bedini, scrittrice e giornalista, su Toscana Libri)

“L’Europa non è solo lo sfondo per il viaggio di ricerca del protagonista del romanzo, che si muove fra Varsavia, Berlino e l’Irlanda (ogni tanto emerge, dimensione ancestrale e vera e propria reminiscenza, anche la Toscana). È a sua volta una delle interpreti principali di questa narrazione simbolica, densa, intensa, raffinata e potente, che si dipana attraverso un numero abbondante di rimandi e citazioni classiche, che l’autore ha fatto sue, fondative nel proprio lessico familiare e della sua poetica.”

(Erminio Fischetti, critico letterario, su Mangialibri)

“Nella sua capacità di affondare in riflessioni profonde, abili a scavare nell’animo del protagonista, messo a nudo da un’azione continua di domande, di immagini passate, di ricordi, Agnoloni mette in mostra una competenza notevole ed una profonda conoscenza dell’animo umano.” 

(Oreste Verrini, scrittore, su L’Ottavo)

“È una ricerca del padre, e dunque del senso della vita. I livelli del testo danno una idea precisa dello spessore della speranza e del dramma, due note che attraversano ogni pagina, come il nostro esistere. I luoghi sono terre della psiche e dello spirito, ma anche segni di una scrittura contemporaneamente vigile e abbandonata, come facesse la spola tra conscio e inconscio. O piuttosto come se la scrittura avesse antenne capaci di individuare mete che altrimenti resterebbero interdette. Non a caso, la chiave del romanzo è in un biglietto. La sua ambivalenza evoca la spada a doppio taglio che è la narrativa: apre scenari nuovi, ma è anche una lama che ferisce la storia personale, destinata a rivelarsi, pur non volendo. L’inconscio desidera ardentemente vedere la luce, diceva Carl Gustav Jung: lo scrittore non può non cercare la sua storia, nelle storie che inventa. Per questo i sogni sono sempre una scrittura ante litteram: fingono di parlare d’altro, ma segnano una strada. Viale dei silenzi è un sogno che parla del futuro, maneggiando simboli di un passato mitico. Per questo solo il mito può riempire il presente: perché è un ponte fra due mondi (geografici, psichici, spirituali).”

(Fabrizio Centofanti, scrittore, in un messaggio privato all’autore poi condiviso sul suo profilo facebook)

“Il titolo rimanda inequivocabilmente a un capolavoro cinematografico di Billy Wilder, Viale del Tramonto, ma la nostalgia, l’aria di decadenza che qui si respirano non sono quelle del cinema o di qualche altra forma espressiva, bensì proprio quelle della nostra società, della nostra idea di Europa, e anche della nostra idea di legame famigliare. Uno scrittore che rincorre un padre in fuga tra vari paesi: l’Irlanda, la Polonia, con una tappa berlinese. Siamo al cuore della cultura occidentale, del nostro sistema sociale, che rivela crepe, incongruenze. Il protagonista Roberto le vive sulla pelle, le fa sue, e inizia un percorso di ricerca del padre che è anche tutto introspettivo, di autoanalisi, mentre è anche un percorso antropologico.”

(Anna Bertini, scrittrice, sulla pagina FB “Le parole oltre il cassetto”)

 

Migliori recensioni di Sentieri di notte

Sentieri di notte è un’opera in cui si combinano, in perfetta armonia, visioni tanto diverse ma suggestive come quelle del futurismo, della fantascienza, della fantasia eroica, del thriller e del romanzo noir, per cui ogni pagina è un vero piacere anche per il lettore più esigente.
Ma soprattutto è buona letteratura. Una letteratura intelligente. Una riflessione profonda su certe zone oscure della specie umana (l’amore per il potere, il desiderio quasi eterno di manipolazione, l’inganno come meccanismo per conseguire il dominio sugli altri, ecc.); una riflessione, però, che si basa su molte di quelle “modernità” tecnologiche che, in teoria, dovrebbero rendere più libero l’essere umano ma, come può vedersi nel libro, finiscono quasi sempre per trasformarci in schiavi senza che ce ne accorgiamo.
Questo è un romanzo in cui la paura, l’etica, l’amore, la fedeltà e la morte…, vale a dire, quei valori essenziali che ci rendono esseri umani, sono gli elementi che illuminano quella Nebbia devastante che oscura in pari misura i luoghi e l’anima umana.”

(Amir Valle, scrittore e giornalista, dalla quarta di copertina dell’edizione spagnola Senderos de noche)

“Il tuo libro (…) è un tour de force dell’immaginazione. Hai osservato in profondità nel futuro della scienza, dell’intelligenza artificiale e della tecnologia, e immaginato un futuro distopico in cui grandi imprese tecnologiche (…) esercitano fin troppo potere sulle vite delle persone. Il romanzo illumina molti dei pericoli dei tempi in cui viviamo. Al tempo stesso, ho apprezzato le qualità filosofiche e spesso spirituali della narrazione. Grazie alla tua attenta costruzione della trama, i personaggi si vengono a trovare più volte davanti a importanti crocevia morali e filosofici, nei loro percorsi esistenziali. In molti sensi diversi, il tuo libro dà l’impressione di essere qualcosa di simile a un moderno 1984.”

(Richard Merli, scrittore e redattore-capo della rivista letteraria newyorchese “October Hill”, in un’e-mail inviata all’autore)

“L’opera di Agnoloni s’inscrive nel Connettivismo, l’unica avanguardia partorita dalla letteratura italiana in questi anni. Io non sono un esperto del Connettivismo, e rimando chi mi legge al manifesto del movimento e ai blog dei suoi autori. La mia è necessariamente una lettura “dal di fuori”. Ma ciò che mi preme dimostrare è che non ci troviamo di fronte a “un libro di fantascienza”, sia pure di una fantascienza ispirata alla migliore tradizione, quella dei Dick e degli Stanisław Lem. Il “perturbante”, nel mondo di Agnoloni, risale alla sua fonte originaria: a quel Theodor Amadeus Hoffmann che ha attraversato la letteratura ottocentesca come un incubo dietro la porta (perché è sempre da dentro la letteratura che si muovevano le visioni di Hoffmann: i suoi racconti iniziano spesso con un libro che parla d’epoche passate, e che improvvisamente prende vita).”

(Giorgio Galli, blogger culturale e critico letterario, sul blog “La lanterna del pescatore”)

“Il primo romanzo di Giovanni Agnoloni è certamente un thriller ispirato alla poetica futurista del Connettivismo ma è anche – e soprattutto – una ricerca spirituale, quella che nel linguaggio del romance viene definito una quest. Pur essendo marcato da momenti decisamente ispirati al cinema d’azione e contenendo al suo interno momenti concitati e parossistici, il libro non può essere letto senza tener conto dei suoi caratteri di forte spiritualità e di tensione morale.
Quello che interessa soprattutto ad Agnoloni è di costruire un progetto di esplorazione del Sé e di completarlo non solo attraverso una meditazione di carattere personale sul mondo, ma anche mediante un evento generale che vi conduca la soggettività che si trova coinvolta in esso.”

(Prof. Giuseppe Panella, docente di Estetica alla Scuola Normale di Pisa, su “Poesia, di Luigia Sorrentino”, sito di RaiNews 24)

“Calvino sostiene che la scrittura trae giovamento dalla ‘sottrazione di peso’ e di aver sempre perseguito l’alleggerimento della struttura del racconto e del romanzo. Una leggerezza che non va mai confusa con la superficialità o l’approssimazione. Non tagliare per tagliare insomma. Agnoloni ottiene tale leggerezza perseguendo anch’egli la ‘precisione del linguaggio’, che diventa senza peso e ‘aleggia sopra le cose come una nube’. A immagini evocate con leggerezza non corrisponde quindi una minore pregnanza, anzi è esattamente il contrario.”

(Emanuele Manco, scrittore e blogger culturale, sul suo blog personale)

“Voglio innanzitutto segnalare che l’esperimento di Kosmos [alias connettivista di Giovanni Agnoloni] si configura come un ponte verso il mainstream, verso la scrittura non di genere; questo ponte è gettato non per sottrazione bensì per addizione, avendo Giovanni inserito nel plot più generi: SF, Fantastico, Thriller, Spy story, e anche ondate di filosofia energetica e religione. Il tutto calato in un alone fortemente decadente, mittleuropeo, in cui i fantasmi abissali del nazismo si muovono ancora determinando ombre cinesi, un futuro del pianeta inserito in disturbanti egemonie a opera delle multinazionali software.”

(Sandro Battisti, scrittore Premio Urania e co-fondatore del movimento connettivista, su “HyperHouse”)

Sentieri di notte, è inutile negarlo, è un libro che contamina diversi generi, non solo, contamina il genere con il mainstream. Ma non mi è mai piaciuto parlare di contaminazione in quanto si presuppone l’esistenza di generi “a tenuta stagna”, preferirei parlare di romanzo contemporaneo, per quanto vaga sia la definizione, cioè romanzo degli anni 2000, che non può più prescindere da ciò che di “alto” è uscito da decenni di storia del genere, la fantascienza, il noir, il fantasy, la letteratura “spirituale”, di ricerca, di formazione, o come la valete chiamare. E questa “impresa” Giovanni la ottiene con uno stile che io definirei perfetto (nella mia concezione per cui la perfezione esiste, ma non è unica), ovvero ricercato ma piano, conciso ma lirico.”

(Lukha B. Kremo, scrittore Premio Urania, sul gruppo facebook dedicato al romanzo)

 

Migliori recensioni di  Partita di anime

“Giovanni Agnoloni è narratore dalla scrittura pulita e sorvegliata, mai banale, impegnata a tessere un mosaico geografico e psicologico, a dare voce alle anime della storia e ai luoghi.”

(Marino Magliani, scrittore e traduttore, su “Poesia, di Luigia Sorrentino”, sito di RaiNews 24)

“I personaggi del breve testo narrativo che si intitola Partita di anime e che segue (…) il precedente e più lungo Sentieri di notte (…) sono tutti calati in questa dimensione che, però, ha sicuramente una paternità più illustre connessa alla nota teorizzazione sulla bivalenza tra animus anima dovuta alla ricerca psicoanalitica di Carl Gustav Jung. Il breve romanzo di Agnoloni, nonostante le dichiarazioni di fede connettivista del suo autore che è comunque legato a questo movimento innovatore nell’ambito della scrittura d’anticipazione italiana, non ha nulla a che vedere con la fantascienza, semmai con il fantastico e le sue molteplici facce e sfaccettature. Lo stesso vale per la figura (non solo letteraria) del Doppio, cui bisognerà fare riferimento per comprendere le intenzioni narrative di Agnoloni.”

(Prof. Giuseppe Panella, docente di Estetica alla Scuola Normale di Pisa, su  “Retroguardia 2.0”)

“Rispetto al viaggio che i protagonisti compiono in Sentieri di notte, un vero e proprio “viaggio dell’eroe” che trova corrispondenza anche in una dimensione fisica, in Partita di anime le atmosfere sono più psicologiche, volte all’introspezione, e si fa un’analisi piuttosto profonda dello spirito umano e della sua capacità di reazione al dolore. Giocando sui titoli dei due libri fin qui pubblicati, potrei sintetizzare dicendo che il secondo episodio si muove sui “sentieri dell’anima”.”

(Monica Serra, scrittrice e blogger culturale, su “Sognando leggendo”)

“I due racconti, uno lungo e uno molto breve, narrano due storie slegate ma pervase da una comune atmosfera, quella di un mondo appena prima o appena dopo il grande vuoto che costituisce l’Evento della trilogia in fase di completamento. Sono tasselli che mostrano nuovi velati squarci sulla realtà che Agnoloni cerca di affrescare con questa opera multipla (…): una realtà in via di sfaldamento, alterata non solo e non tanto nella percezione psicologica dei personaggi, ma anche e soprattutto nella sua fisicità spirituale e quindi metafisica. Agnoloni prova qui un’operazione arditissima: scrivere un racconto giallo, un vero giallo con omicidio e necessaria investigazione, e risolverlo sì secondo i canoni classici ma utilizzando le caratteristiche alterate di un mondo altro (il nostro, ma futuro). Si tratta quindi di un’operazione in cui il topos letterario del giallo viene infine stravolto perché trasportato in un continuum metafisico, pur potendo rimanere classico nel suo impianto.

Il secondo racconto è più lirico, più intimo: e tuttavia anche lì emerge forte l’elemento che più caratterizza il senso dell’opera multipla tutta. L’istanziazione, nel mondo reale, nelle forme più diverse, di tutta una serie di fenomeni spirituali, psicologici, metafisici; fenomeni che sembrano premere sui bordi del mondo fino infine a riversarvisi, dilagando, alterandone la natura e la struttura.”

(Denise Bresci, scrittrice e blogger culturale, su medium.com)

 

Migliori recensioni de La casa degli anonimi

“Un romanzo intenso, scorrevole e molto piacevole. Che apre le porte a una nuova riflessione: se accadesse davvero, se internet scomparisse sul serio dalle nostre vite, come cambierebbe il mondo? Il peso di questa tecnologia sta schiacciando l’umanità, o è l’uomo che non riesce a gestire correttamente le sue potenzialità?”

(Federica Bruno, blogger culturale, su “La libreria immaginaria”)

“A poco a poco, nel corso del romanzo, si delinea una realtà difficile, in cui il crollo della rete ha provocato non solo disagi materiali e logistici nelle comunicazioni, ma anche sentimenti di diffidenza e di rabbia che si aggiungono al generale ottundimento delle intelligenze e delle emozioni provocato dal Sistema e ancora perdurante. Mentre le stagioni atmosferiche subiscono imprevedibili sconvolgimenti e le trame occulte del potere si infittiscono, i vari personaggi e dimensioni si riveleranno progressivamente legati da relazioni insospettabili.”

(Voce Libera, blogger culturale, su “La libreria immaginaria”)

“(…) appare evidente come Agnoloni abbia voluto rimarcare i condizionamenti negativi dei social network, oltre che della rete in generale, l’omologazione mentale e i rischi di strumentalizzazioni politiche, un pianeta in pericolo a causa degli stravolgimenti climatici, la tecnologia wireless e l’uso dei droni quale rimedio alla mancanza della rete e nel contempo nuovo strumento di dominio, elementi distopici che si rivelano anche nella descrizione di forze dell’ordine ormai ridotte a fare un lavoro sporco alla stregua di brigate della morte, personaggi letterari che prendono vita ma che forse non erano davvero; frutto di fantasia, la ricerca di qualcosa o qualcuno che possa mitigare la propria solitudine, forme spontanee e inaspettate di telepatia che in qualche modo compensano la progressiva carenza di comunicazione tecnologica, contrapposte ad una popolazione che, senza internet, appare sempre più incupita e distante (…).”

(Luca Menichetti, blogger culturale, su “Lankenauta”)

 

Migliori recensioni de L’ultimo angolo di mondo finito

“Leggere, immergersi nel mondo mistico di Giovanni Agnoloni è un’esperienza. Per me, che ho letto le puntate precedenti dello scenario della Fine di Internet (un mondo appena futuribile vivo dietro l’angolo di un paio di decadi appena dove, all’improvviso, la Rete collassa per motivi misteriosi e trascina in un baratro tutto il pianeta esasperatamente connesso e incapace di gestire la dissolvenza connettiva) è stato un viaggiare estremo, sognante, oltre le barriere carnali del nostro essere.”

(Sandro Battisti, scrittore Premio Urania e co-fondatore del movimento connettivista, su “HyperHouse”)

“Il linguaggio è una felice compresenza di neologismi informatici, precisione ed espressività. Lungi dal rincorrere i modi di un’avanguardia ormai decotta o gli altri usurati precedenti letterari, ci vengono risparmiati il flusso di coscienza, i giochini tipografici, gli sperimentalismi fine a se stessi. E meno male, perché la lingua di Agnoloni fluisce naturale, fresca, leggibilissima, il che conferisce una grande efficacia alle descrizioni.”

(Riccardo Ferrazzi, scrittore e blogger culturale, su “La Poesia e lo Spirito”) 

“Giovanni Agnoloni (…) non si limita a un’analisi sociologica del fenomeno informatico/telematico ma applica uno sguardo filosofico che a tratti sconfina nel teologico e nel trascendente.”

(Enrico Macioci, scrittore e critico letterario, su “NewsTown”)

“Sempre scrivendo del precedente “La casa degli anonimi” avevamo evidenziato il “connettivismo” poco ortodosso di Agnoloni come una delle chiavi di lettura del ciclo di internet. Appare evidente se consideriamo i frequenti brani riflessivi presenti nel romanzo, la voluta commistione tra prosa e lirica, lo stile controllato che interpreta le sensibilità dei protagonisti senza cedere a rappresentazioni violente e aggressive: un connettivismo nel quale i topoi fantascientifici assumono un’importanza molto relativa, di sicuro strumentali per rappresentare problemi del presente, del tutto reali.”

(Luca Menichetti, scrittore e blogger culturale, su “Lankenauta”)

“Molti i riferimenti letterari di cui l’autore cosparge la sua opera. Ad esempio le figure degli ologrammi con cui gli uomini credono di istaurare un dialogo trovano un precedente nei morti che Solaris fa resuscitare. Ma si possono citare Poe, Hoffmann, Pavese: la morte non più considerata come una nemica, ma accettata più o meno
volutamente.
Si assiste a successive prese di coscienza dei vari protagonisti, con i loro pensieri, le loro angosce, le loro sensazioni. Fa sembrare che tutti siano più simili, quasi guidati da un essere esterno che li coordini tutti.
Forse è anche eccessivo, visto il carattere onirico e misterioso del racconto, di voler per forza arrivare a una soluzione, visto lo spirito dell’opera in cui la vaghezza, l’indeterminatezza la fanno da padroni.
Ma probabilmente il disegno dell’autore è un altro, non tanto confrontarsi con la diagnosi sociologica che pure c’è, ma affascinarli con la poesia.”

(Giuseppe Previti, giornalista, sul suo blog personale)

“I personaggi, che Giovanni Agnoloni traduce all’interno di rari squarci di luce e di voragini d’ombra ne L’ultimo angolo di mondo finito, vivono sotto il peso di un tormento che è tanto interiore quanto esteriore. I protagonisti non possono fare a meno d’interrogarsi, dando così vita a dei corposi monologhi shakespeariani, che, quasi sempre, sono preambolo a non pochi colpi di scena alla maniera di Roberto Bolaño. Se Cesare Pavese ricostruiva l’interiorità dei personaggi attraverso una minuta rappresentazione dei paesaggi, Giovanni Agnoloni opera invece l’operazione inversa, dai monologhi è infatti possibile riconoscere gli ambienti, la claustrofobia che regna in ognuno di essi.”

(Giuseppe Iannozzi, scrittore e critico letterario, sul suo blog personale)

“La prima cosa che salta alla mente, leggendo (…) L’ultimo angolo di mondo finito, è che, pur appartenendo a una trilogia, e pur basandosi su un evento epocale, ma senza ripetere alla nausea cosa è successo, l’autore mette il lettore nelle condizioni di acquisire quasi con naturalezza il dato più importante della narrazione, il crollo di internet, tra il 2025 e il 2029, in gran parte del mondo occidentale. È questa una delle cose buone del libro: l’eccesso raccontato semplicemente; la catastrofe (la fine della Rete, badate bene, non sciocchezze) narrata senza l’iperbole.”

(Marino Magliani, scrittore e traduttore, su “Nazione Indiana”)

“Maggior rilevanza nell’economia complessiva della narrazione riveste il tema della ricerca, che si svolge all’interno di un’esperienza che attualizza lo schema del viaggio iniziatico. Buona parte dei protagonisti viaggia attraverso diverse zone dell’Europa e degli Stati Uniti, seguendo itinerari dalla meta inizialmente indefinita, che si viene svelando passo dopo passo, in un turbinio di episodi che non solo contano di per sé, e qui viene indubbiamente in evidenza il côté anche schiettamente avventuroso del romanzo, ma che determinano in loro un maggior grado di conoscenza della realtà.”

(Luigi Preziosi, scrittore e blogger culturale, su “Vibrisse”)

“(…) l’impianto della narrazione sembra reggersi proprio sull’uso di una narrativa polifonica, da disarticolare e riarticolare insieme: i vari capitoli, perlopiù brevi o brevissimi, sono sì un’esplorazione di diverse temporalità e, soprattutto, il sintomo di un vero e proprio turbinio geografico sul globo terracqueo, ma ciò cui si mira veramente, e in modo insistito, è la possibilità che ciascun brano del romanzo possa aprire squarci – talora lirici, talora metafisici – sui significati ultimi della vicenda narrata.”

(Lorenzo Mari, poeta, traduttore e critico letterario, su “Carteggi letterari”)

“Sembrerebbe di trovarsi di fronte a una narrazione distopica e fantascientifica. Il che probabilmente è anche vero, o almeno ha a che fare con questo lavoro di scrittura di Agnoloni, ma di sicuro non è tutto. Gli Anonimi, infatti, hanno già nel 2025, come emerge in Sentieri di notte, fatto cadere la rete mondiale di internet, ma il loro non vuole essere un semplice atto terroristico, o di attacco all’ordine costituto, ma un azione rivoluzionaria, tesa a contestare l’inautenticità delle comunicazioni e delle relazioni imposta dall’era mediatica caratterizzata dal web, e volta a ristabilire le condizioni per una connessione e una modalità di relazione tra gli uomini più vera e più profonda. In pratica, una distopia apparente, contiene un’utopia, la quale rappresenta il motore concettuale che alimenta e fa evolvere la storia. Questo elemento di analisi dice già molto della complessità e della pluridimensionalità dell’opera.”

(Luca Vaglio, scrittore e critico letterario, su “Gli Stati Generali”)