PERCORSI INTERIORI E LUOGHI DEL MONDO
Ieri sera ho completato la lettura di Sincronicità. Il legame tra fisica e psiche da Pauli a Jung a Chopra di Massimo Teodorani (MacroEdizioni), di cui avevo parlato nel mio precedente articolo, e la visione che ho maturato corrisponde perfettamente alla recente evoluzione dei miei percorsi interiori dell’ultimo periodo, oltre che ai frutti delle altre letture (ricordate qui), relative ad argomenti di fisica quantistica, psiche e spiritualità, che ho fatto in queste settimane.

Tutto è correlato, e quanto più la coscienza è consapevole di questo, e del fatto che vi è un implicito campo vibrazionale-spirituale alla base di tutto ciò che esiste, tanto più la sua capacità di co-creare, attuando la vocazione di vita di ognuno, si esplica fluidamente, nell’unità con quel Tutto e accompagnata da un’intuizione infallibile.
È questa la porta di accesso all’Ognidove – sempre mutuando il felicissimo neologismo dell’amico Davide Sapienza – concetto del quale ho parlato spesso (per esempio, qui), e sempre questa è la radice della mia netta propensione per fare dei luoghi il perno della mia produzione narrativa.
Come vi ho anticipato, ne parleremo il 23 novembre alle ore 18 a Firenze presso Bottega Strozzi – qui potete trovare l’annuncio. Sarà un’occasione per esplorare tutti i miei libri, da Internet. Cronache della fine (Galaad Edizioni) a Viale dei silenzi (Arkadia Editore) e a Berretti Erasmus. Peregrinazioni di un ex studente nel Nord Europa (Fusta Editore), fino al concept-book, condiviso con Carlo Cuppini e Sandra Salvato, Da luoghi lontani (Arkadia Editore).
Tratteggeremo dunque un arco evolutivo che ha nei luoghi dei personaggi assolutamente centrali, in quanto tutte “voci” di un’orchestra vibrazional-ambientale che – come la fisica quantistica ci insegna – dialoga costantemente con noi osservatori, interagendo con i percorsi della nostra interiorità e trasformandosi mentre noi stessi ci trasformiamo. È così che – l’ho compreso ieri notte, all’improvviso, con uno scatto interiore gentile e spietato – ci rendiamo conto che di non essere “osservatori”, ma “contemplatori”, poiché, contemplando, ci immedesimiamo non solo nel nostro Sé, superando l’ostacolo fuorviante dell’Ego, ma nel Sé cosmico, che è quello che noi cristiani chiamiamo la “volontà di Dio”, ovvero il Verbo.
In quell’attimo di comprensione, ho colto ancora una volta, come in una partitura a più voci, tutti i sottili nessi tra i percorsi delle opere che sto scrivendo, pur molto diverse tra loro – la serie post-distopica sulla (fine della) società del controllo, la serie noir di ambientazione toscana, il nuovo libro di viaggio attraverso l’Italia e l’Europa e il saggio narrativo sulle mie esperienze spirituali – di cui ho parlato varie volte, ultimamente. E ho intuito verso dove mi sto dirigendo.
Come sempre, vi renderò partecipi del processo in atto da questa mia posizione appartata e non coinvolta nelle contrapposizioni del mondo. E vi aspetterò ai miei appuntamenti in presenza, come quello del 23 novembre, che saranno occasioni di ritrovata unità.
Per adesso, un breve assaggio tratto da Berretti Erasmus (pagg. 13-14), dove si coglie l’Ognidove nel suo concreto accingersi ad avvenire:
“Mi rimisi in marcia. La nebbia mi dava l’idea di camminare in un sogno. Ed era proprio nei sogni che spesso avevo fuso scenari di città diverse. Una Venezia che sorgeva sulle rive dell’Arno, ma che dopo qualche chilometro mutava in una Dublino notturna, con le luci dei lampioni e gli echi striduli dei gabbiani mescolati agli odori esalanti dalle porte aperte dei pub, come aliti di bocche calde. Poi uno slargo, ed ecco Rembrandtplein, ad Amsterdam, con i locali e i suonatori di fisarmonica, che trasformavano l’ambiente in Montmartre, dove un ambulante mi regalava un braccialetto e mi diceva che avrei avuto quattro figli. E, ancora, una viuzza che sfociava in una piazza con portici bui ai lati, ma che poi diventava un cortile aperto sullo scenario di una cappella trecentesca, con un affaccio di lato e una veduta di colline. Continuavo a girare senza mai stancarmi e improvvisamente mi ritrovavo su un autobus diretto verso la periferia – una qualunque, credo – e le zone più depresse, di cui sentivo il gusto rancido, che però non potevo fare a meno di assaporare. Mi perdevo in quei meandri di strade abbandonate in mezzo ai campi e mi sembrava di tornare bambino, quando il nonno mi portava a spasso ai margini di Scandicci. Si prendeva il 27 e si andava fino al capolinea. Io guardavo tutto il tempo fuori e poi, a casa, mettevo quattro sedie in fila e la sdraio in testa, e facevo finta di guidare il mio bus verso i luoghi che ancora non conoscevo.
Tutto, in quei sogni, si mescolava, e tanto più era confuso, quanto più rivelava con chiarezza l’anima del suo segreto.
Quella che forse domani, il giorno della mia nuova partenza, avrei iniziato a scoprire.”