Verbo e azione

VERBO E AZIONE

Verbo
Uno scorcio del mare (o forse del cosmo) da Marina di Pisa (foto mia)

È almeno una settimana che rifletto sul significato della parola “contempl-azione”, in rapporto a quella “trasform-azione” (e i trattini sono fondamentali). Stiamo attraversando un momento delicatissimo, nel quale -come ho già sottolineato in precedenza – i “muro contro muro” (ovvero la dualità) possono rappresentare la scintilla definitiva e letale, tanto sul piano personale quanto su quello interpersonale e collettivo. Urge quindi comprendere mediante un atteggiamento contemplativo, da non confondere con la mera “osservazione” (attenzione che qui non c’è il trattino).

“Osservare” significa “guardare” e – come la fisica quantistica ci insegna – porta inevitabilmente a interagire con l’oggetto osservato, potendo dunque innescare pericolose reazioni a catena.

“Contemplare” è altro: precisamente, rendersi conto che esiste un’intelligenza superiore e “implicata” (per usare un termine caro a David Bohm) in tutto il cosmo e nelle pieghe della nostra vita, e perciò della nostra mente e del nostro cuore. Significa dunque calarsi con la mente e con il cuore in questa intelligenza, questo Logos o Verbo che “in principio era”, come dice l’incipit della più grande opera di tutti i tempi, il Vangelo di Giovanni. Identificarsi con essa, sentirsene parte e lasciare che sia essa ad agire attraverso noi.

Mentre l’osservatore incide sul risultato dell’esperimento, spesso con risultati discutibili, il Verbo invece crea, esattamente come da quello che una volta era considerato come il vuoto – ma che invece è il campo cosmico di fondo – a volte nascono particelle subatomiche, così, dal nulla, e come esiste una logica di “forma” che guida la danza apparentemente casuale degli elettroni nel nucleo di un atomo, e gli stessi elettroni “collegati” reagiscono in modi analoghi anche se separati da enormi distanze, e in modo istantaneo.

Se dunque ci identifichiamo col Verbo – che Bohm stesso era cauto nel chiamare “Dio”, ma che io, con l’evangelista e con l’intuito, sento di poter chiamare così, benché in ogni caso la parola in sé non cambi l’evidenza delle cose -, il Verbo stesso ci ispira ad agire (e a scegliere) in modo non duale, ma anzi capace di riassumere in sé ogni tesi e antitesi, sublimandole in una hegeliana sintesi che trasforma nel modo più profondo ogni holos anima-mente-cuore-corpo, facendoci comprendere come tutto sia autenticamente uno, in noi e intorno a noi.

È la famosa “terza via” di cui parla Corrado Pensa ne La tranquilla passione (ed. Astrolabio Ubaldini), ovvero la terza opzione tra il subire e il reagire. Io la definirei l'”agire trasformati” (e trasformanti, nella consapevolezza, però, del fatto che non siamo noi gli “attori”, ma appunto il Verbo, per nostro tramite).

In questo periodo sto leggendo molte cose su questi argomenti. O meglio, anche qui sono loro a farsi trovare e a invitarmi. Mi è nata anche l’idea – come sapete – di un libro a metà tra il saggio e il racconto in prima persona, dove illustrerò le mie esperienze personali al riguardo, cercando di esplorare i modi in cui – nel mio caso – il rapporto con questa dimensione al contempo viscerale e cosmica si è articolato e si articola ancora, nel (e fuori dal) tempo. Mi ci dedicherò a lungo, forse per anni. Ma è diventata un’esigenza irrimandabile.

Così, ancora una volta, mi accorgo di come le varianti della mia scrittura riecheggino tutte, in definitiva, il dialogo radicale tra il Verbo e me (ognuno le vive a modo suo, perché Lui/Lei agisce in modo sempre personale).
Anche mentre scrivo il romanzo post-distopico di ambientazione svedese e il nuovo noir maremmano (v. qui), o inizio a buttar giù il nuovo libro di viaggio, rifletto quel tema di fondo.

Sono tutte armonie che manifestano ed esprimono da diverse angolazioni quella voce che sale dal profondo. Una voce che mi ha accompagnato fin dalle origini della mia vita e mi sospinge ancora, partendo dal buio della notte per andare oltre.