Non dualità

NON DUALITÀ

Non dualità
Uno scorcio di Massa Marittima, con un cipresso, albero che per sua costituzione naturale collega la Terra al Cielo (foto mia)

L’unica riflessione che mi viene da fare, in questo tempo di aspre contrapposizioni interne e internazionali, è questa, alla luce del mio percorso spirituale e olistico, nonché delle letture e dei progetti letterari che ho in corso (e in mente): sto apprendendo sempre più la lezione della non dualità.

Qualsiasi contrapposizione è frutto di un’illusione, ovvero dell’idea di prevalere su qualcosa o qualcuno. Fermo restando il No a qualunque abuso della libertà altrui, politico o personale (il mio impegno negli ultimi anni sta a testimoniarlo), comprendo che l’unica cosa che conti è l’individuazione e l’espressione del , scintilla divina annidata nel nucleo più profondo dell’identità, e che si manifesta – anzi, deve manifestarsi, per il bene personale e collettivo – nel far(si) concreto della propria vocazione.

Vivere in questa centratura favorisce uno stato di fluida realizzazione personale nella concretezza delle cose (come ben sottolineato da Fritjof Capra ne Il Tao della fisica), l’unione degli apparenti opposti – che sono solo frutto della sovrapposizione della mente alla realtà – e il venire alla luce di un intuito tendenzialmente infallibile.

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Viaggiare lavorando, lavorare viaggiando

VIAGGIARE LAVORANDO, LAVORARE VIAGGIANDO

Viaggiare lavorando
Uno scorcio della campagna intorno a Corris, in Galles (foto mia)

Uno dei momenti più difficili per me è sempre stato il rientro dai viaggi. Lo percepivo come un ritorno alla palude percettiva dell’abitudine, quella che Tolkien, nel suo saggio Sulle fiabe (qui nell’edizione italiana), chiamava “the drab blur of triteness or familiarity” (che mi piacerebbe rendere, in modo un po’ libero, come “lo scialbo offuscamento delle banalità di ogni giorno”).

Stavolta, però, è stato diverso. Arrivare al viaggio tra Inghilterra e Galles (dalla settimana trascorsa nel Wiltshire alla residenza letteraria presso Stwidio Maelor, a Corris, in Galles, fino alle visite a Oxford, Manchester e Liverpool), che sul mio profilo Facebook vi ho raccontato su base (appunto) quasi quotidiana, nel bel mezzo di un percorso meditativo e di consapevolezza al contempo materiale e spirituale (perché tutto è uno, e lo spirito è qui, nella materia), mi ha messo nella condizione di elaborare un nuovo approccio al lavoro: l’approccio dell’Ognidove (sempre citando l’ideatore di questa splendida parola, l’amico Davide Sapienza).

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Passaggi di stato

PASSAGGI DI STATO

In questi giorni, “complice” la concomitanza del quarantennale della finale dei Mondiali di Spagna ’82, mi sono trovato a ripensare alla figura di mio padre, che in quell’occasione, dopo il deludente primo turno del Campionato del Mondo, che aveva visto l’Italia qualificarsi per il rotto della cuffia, previde non solo che avrebbe vinto la competizione, ma avrebbe battuto in finale la Germania.

Passaggi di stato

Mio padre era un uomo forte, genuino e simpatico. Aveva i suoi difetti, come tutti e come me per primo , ma un’onestà e una nobiltà di cuore che oggi è merce rarissima. L’amico Professor Giuseppe Panella, che è venuto a mancare un anno dopo di lui, l’aveva conosciuto in occasione della presentazione di un mio libro, e quando morì, nel marzo 2018, lo definì “una lama diritta”.

Tra le cose che mi ha lasciato in eredità c’è la sua specialissima sensitività. Non era certo un medium, né lo sono io, ma aveva la capacità di intuire cose al di là del velo dell’apparenza. Di lavoro aveva fatto il geometra libero professionista, consulente tecnico del Tribunale e anche progettista. Tuttavia amava dipingere e leggere, e apprezzava la buona musica. Questa sensibilità estetica è forse il terreno che, insieme all’amore per le Lettere di mia madre, più mi ha predisposto a diventare uno scrittore e un linguista.

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Primavera e consapevolezza

PRIMAVERA E CONSAPEVOLEZZA

Primavera

Giovanni Pascoli, nella poesia L’aquilone, scriveva: “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, / anzi d’antico”, riferendosi all’arrivo della primavera. Una miglior istantanea del rinnovamento dell’aria di questo inizio di stagione non si potrebbe immaginare. In questi giorni – pur sapendo che sta per arrivare una nuova sferzata di freddo – l’ho sperimentato. Anzi, proprio in questa commistione di novità e “ancestralità” dell’energia primaverile ho colto una delle dimostrazioni del fatto (comprovato dalla fisica quantistica) che il tempo, in definitiva, non esiste, dunque è perfettamente normale sentir vibrare nell’aria frequenze correlate a emozioni appartenenti a epoche lontane. Non mi riferisco solo all’infanzia (aspetto approfondito nei racconti della mia prossima pubblicazione condivisa con Carlo Cuppini e Sandra Salvato, Da luoghi lontani, in uscita per Arkadia Editore il 14 aprile), ma ai sogni, alle emozioni e alle realtà percettive di altre epoche.

Personalmente, la primavera mi evoca giornate assolate pomeridiane in salsa medievale, un po’ come in certi episodi del Decameron o dei Racconti di Canterbury di Pier Paolo Pasolini. Oppure certi scenari liberi e percorsi dal vento delle praterie di Rohan nel Signore degli Anelli di Tolkien.

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Respiro, consapevolezza, pace

RESPIRO, CONSAPEVOLEZZA, PACE

Respiro

I miei percorsi meditativi mi hanno portato a considerare un aspetto sul quale non avevo mai soffermato l’attenzione. C’è un punto, in ogni singolo respiro, in cui la stessa attività respiratoria si ferma (o si sofferma), e con essa il pensiero e la percezione del tempo. Quello è il punto in cui si colgono il silenzio e il vuoto perfetti, e il cuore riprende campo e irradia beneficamente l’holos spirito-mente-corpo. Insieme, si comprende l’illusorietà del tempo (confermata dalle più recenti scoperte della fisica quantistica) e ci si affaccia sull’Eterno.

In quel punto (che in realtà, olograficamente, è in ogni punto del cosmo, e quindi anche di noi) si annida il nucleo del nome stesso di Dio, che nella tradizione ebraica si chiama YHWH (spesso traslitterato come “Yahweh”), ovvero “Io sono”. Come a dire, non solo il “divino in noi” (il Sé) è la radice dell’identità, ma lo stesso nome di Dio, formato dalle due metà “YH” e “WH” – assimilabili al suono dell’inspirare e a quello dell’espirare – è un respiro completo. Il cuore di questo nome, però, è proprio l’attimo centrale in cui il respiro è fermo, l’istante senza-pensiero-e-senza-tempo a cui non corrisponde alcuna lettera, ma solo un immaginario trait d’union di “assenza”.

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Editing e consapevolezza

EDITING E CONSAPEVOLEZZA

editing

L’editing finale è un’esperienza da un lato spossante, dall’altro risolutiva. Aiuta a diradare dubbi, enigmi impliciti, tautologie della mente. “Individua” (junghianamente) come riesce a farlo solo la meditazione più avanzata, permettendo di scorgere e riconoscere la forma completa degli eventi (come ho scritto nell’incipit di un mio romanzo ancora inedito) e delle cose – ma soprattutto dell’identità personale.

In questi due anni di pandemia ho completato cinque manoscritti, alcuni già abbozzati in precedenza, altri no, quindi gran parte del mio tempo l’ho dedicata proprio alle revisioni (senza contare le traduzioni di libri impegnativi come le autobiografie di Arsène Wenger, Kamala Harris e Joe Biden, oltre alle prime traduzioni serie dallo svedese e dal polacco con cui mi sto cimentando, ognuna delle quali ha comportato e comporta attenti “round” di revisione).

Il piacere che l’editing procura (faticoso, un po’ come quello della ginnastica forte o del podismo) è simile a quello dello studio della musica, in cui, come ben spiegò il Maestro Ganesh Del Vescovo in un’intervista che gli feci per Anticorpi Letterari, ci si esercita costantemente per rendere naturali movimenti che di per sé non lo sono (soprattutto se si parla della mano sinistra della chitarra). Si sgrezza costantemente un diamante, tentando di avvicinarsi al limite (matematico) di una forma “pura”, ovvero “il” suono che ci rappresenta più genuinamente.

In questo senso, somiglia moltissimo anche a un’altra pratica che ho coltivato soprattutto in questi due anni: la conoscenza di sé e l’avvicinamento al Sé. Ogni intuizione, in questo cammino, costa lavoro e anche sofferenze, ma alla fine (che non è mai una “fine”, ma un’apertura) ripaga di un’ineffabile liberazione, superiore a qualsiasi ipotetico sballo o orgasmo (con tutto il rispetto per gli orgasmi, ma non per gli sballi). E’ la famosa apertura del “terzo occhio”, la vista spirituale, lo sguardo intuitivo del Sé, di cui parlava Padre Anthony Elenjimittam nei suoi scritti che in questi giorni ho spesso condiviso.Credo che tutto stia qui, ivi inclusa la chiave per trovare e percorrere la propria strada in questo mondo difficile.