Passaggi di stato

PASSAGGI DI STATO

In questi giorni, “complice” la concomitanza del quarantennale della finale dei Mondiali di Spagna ’82, mi sono trovato a ripensare alla figura di mio padre, che in quell’occasione, dopo il deludente primo turno del Campionato del Mondo, che aveva visto l’Italia qualificarsi per il rotto della cuffia, previde non solo che avrebbe vinto la competizione, ma avrebbe battuto in finale la Germania.

Passaggi di stato

Mio padre era un uomo forte, genuino e simpatico. Aveva i suoi difetti, come tutti e come me per primo , ma un’onestà e una nobiltà di cuore che oggi è merce rarissima. L’amico Professor Giuseppe Panella, che è venuto a mancare un anno dopo di lui, l’aveva conosciuto in occasione della presentazione di un mio libro, e quando morì, nel marzo 2018, lo definì “una lama diritta”.

Tra le cose che mi ha lasciato in eredità c’è la sua specialissima sensitività. Non era certo un medium, né lo sono io, ma aveva la capacità di intuire cose al di là del velo dell’apparenza. Di lavoro aveva fatto il geometra libero professionista, consulente tecnico del Tribunale e anche progettista. Tuttavia amava dipingere e leggere, e apprezzava la buona musica. Questa sensibilità estetica è forse il terreno che, insieme all’amore per le Lettere di mia madre, più mi ha predisposto a diventare uno scrittore e un linguista.

Poi, però, come accennavo, c’era quell’altro elemento: la sua singolare – perché apparentemente fuori contesto, in una persona concreta e dedita a una professione immersa nella materia – capacità di cogliere cose a venire, possibili sviluppi, prospettive. Avrò avuto sui ventidue anni e avevo appena iniziato a buttar giù il mio primo saggio su Tolkien, e un giorno, durante il pranzo, disse che in futuro di lavoro avrei fatto lo scrittore. Ma questo è solo un episodio, che si potrebbe astrattamente ricollegare anche all’orgoglio di un padre che spera in un futuro luminoso per suo figlio (ma fidatevi, non è solo questo). Il punto è che, con gli anni, aveva sviluppato e continuò a sviluppare la dote della radioestesia, ovvero la capacità di usare lo strumento del pendolo – una semplice cordicella con un pesino appeso in fondo – per individuare i rimedi naturali (in particolare, floriterapici) più adatti a parenti e amici che glielo chiedessero. Roba da far impallidire gli scienziati di oggi – numerosi tra i quali ultimamente propinano e sponsorizzano veleni sperimentali spacciandoli per panacee, peraltro ampiamente smentite dai fatti, e quindi, per parlare in francese, che si fottano -.

Il fatto è che la gente trovava autentico beneficio in quella roba innocua, e non per il fantomatico “placebo” che gli stessi scienziati di cui sopra tirano fuori quando sono a corto di argomenti, ma perché effettivamente gente insonne da anni iniziava a dormire, persone cronicamente inappetenti ricominciavano a mangiare, e iniziavano poi un loro percorso verso la centratura emozionale e il riassestamento fisico (che non escludeva, ove necessario, com’è ovvio, l’intervento di medici competenti, che per fortuna esistono).

Per qualche tempo il babbo tempo seguì anche me, in un percorso che comunque, per lunghi periodi, ho principalmente seguito con la Dr.ssa Catia Trevisani e i suoi allievi, in particolare il mio attuale naturopata Andrea Cappelletti, che porta(va)no tale sensitività su livelli che mio padre per primo ammirava e con cui non si sognava di competere, perché la combina(va)no con una conoscenza della fisiologia e patologia umane che permette di unire a un approccio energetico-spirituale alla cura uno più fisico, per esempio fitoterapico, ma non solo.

Il risultato di tutto ciò, che è andato di pari passo con la mia maturazione autoriale e linguistica, è stato che qualunque mio tentativo letterario, traduttivo e, in seguito, musicale (mi riferisco allo studio della chitarra classica con il Maestro Ganesh Del Vescovo), è diventato co-strumento di un percorso di centratura volto alla presa di coscienza del Sé. Attenzione, non una “terapia” in senso stretto, anche se certamente funzionale anche a tale scopo. Piuttosto, un grimaldello per aprire porte utili a delineare un percorso percorribile da tutti. Si è, cioè, ingenerata una serie di passaggi di stato, ovvero di ondate di intuizione progressive, che mi ha portato a comprendere sempre meglio le radici delle mie antiche scissioni interiori e a ritrovare l’unità nel Profondo, e con essa un migliore stato di salute psicofisica.

Di conseguenza, qualunque cosa abbia scritto o scriva, e perfino le parole che scelgo per tradurre testi diversissimi da questi orizzonti – penso per esempio all’autobiografia di Kamala Harris edita da La Nave di Teseo- o il modo in cui cerco di suonare le note di un pezzo classico per chitarra, riflette la mia tensione verso, l’attrazione che provo verso questo punto interno luminoso, che chiamo il Dio-in-noi.

Attraverso tutti questi passaggi di stato, ho fatto molteplici volte esperienza di quella che San Giovanni della Croce chiamava la “notte oscura dell’anima”, ovvero quel territorio oscuro, archetipico – l’Ombra di Carl Gustav Jung – in cui giacciono compresse e come raggrumate le nostre peggiori paure e rimozioni dell’inconscio. A volte è stata dura, ma ciascuno di questi passaggi di stato mi ha portato a “cuocere” una parte quell’ombra – riprendendo le parole del monaco buddhista Thích Nhất Hạnh – e a iniziare a vedere la luce del Sé, sempre più spesso, sempre più chiara e calda. Finché non mi sono reso conto di essere (in) quella luce.

Quando ho iniziato questo percorso, mi trovavo nella stagione atea della mia esistenza. Non “nascevo” ateo, ma avevo preso le distanze dalla religione perché mi aveva oppresso per troppo tempo, anche perché era solo “religione” e zero spiritualità. Il punto, fino ad allora, era stato sforzarmi di “credere” in un Dio “fuori”. Dopo essermene allontanato, avendo numerosi problemi (non strettamente legati a ciò, ma comunque pesanti, come insonnia e attacchi di panico), ho iniziato, per necessità, il mio percorso olistico e meditativo, totalmente aconfessionale e privo di imposizioni di sorta, ma solamente radicato nella natura e nelle sue essenze ed energie benefiche. Questo, dolcemente, insieme alle esperienze di viaggio e scoperta del mondo che ho raccontato in Berretti Erasmus (Fusta Editore), mi ha portato a rendermi conto che la luce nel mio Profondo era per l’appunto quel divino trasversale, perché presente in tutte le grandi tradizioni spirituali, che poi nel cristianesimo si incarna nella figura del Cristo, il Dio fatto Uomo e quindi, per definizione, la manifestazione più perfetta del precipitare del Divino nella materia senziente, cosciente e intelligente.

Passaggi di stato

Attraverso tutti questi passaggi di stato, per così dire, mi sono scoperto cristiano, e sia pur aperto al confronto con tutte le grandi tradizioni spirituali. Ma soprattutto, se qualcuno oggi mi chiede se creda in Dio, mi viene quasi da sorridere, perché è come se uno chiedesse a una stella se creda nel fuoco. Il punto non è “credere”, ma rendersi conto di “essere in”. Ora, il pensiero occidentale, alimentando da Cartesio in poi la credenza per cui “siamo in quanto pensiamo”, ha mancato completamente il bersaglio, impedendoci di usare precisamente quelle doti di intuizione e coscienza sottile che sono fondamentali per la centratura emotiva e la salute della psiche e del corpo, e che sono prima del pensiero razionale, e anzi ne vengono troppo spesso costrette.

Insomma, si può girare intorno al punto quanto si vuole, ma la salute del corpo dipende da quella delle emozioni, perché se quest’ultima difetta si rovinano l’intestino e tutto l’apparato digerente, aumenta il tasso infiammatorio generale e quindi si abbassano le difese immunitarie, per non parlare della stessa salute mentale (lo ha spiegato molto bene in diversi suoi interventi il Dr. Stefano Manera, tra gli altri). Se però – ed è quanto è successo e succede ancora a me anche grazie al viatico di mio padre – si inizia a riassestare il fisico con un lavoro fatto di progressivi passaggi di stato, che interviene sul “macro” (penso a interventi fitoterapici mirati) e quindi passa al “micro” (penso a trattamenti con oligoelementi o con rimedi vibrazionali come quelli floriterapici e varie terapie bioenergetiche), inevitabilmente ci si avvicina ai territori del Profondo, e ci si rende conto – perfino io che ero un “ateaccio” – che questa, guarda un po’, è proprio l’anima di cui prima ci si ostinava a negare l’esistenza in nome di un assioma materialistico che nasceva dal rifiuto non del vero Dio, ma dell’uso odioso fatto di Lui/Lei dalle chiese come sistemi di potere – con l’unico risultato, però, di creare una sorta di religione senza Dio, altrettanto se non più rigida e oscurantista.

Insomma, la spiritualità/fede, per come l’ho vissuta e la vivo io, è un’esperienza di concreta e quotidiana scoperta, che nel silenzio interiore, e nei passaggi di stato che esso alimenta, trova e dà risposte a tutti gli interrogativi più essenziali e, per quanto mi riguarda, fornisce la chiave per legare con un filo di continuità tutte le mie attività artistiche e professionali. Queste, come già ho spiegato, ruotano attorno al suono, ovvero alla vibrazione, ovvero alla frequenza energetica, che è la Luce, e la Luce è Dio – la radice della parola “Dio” (Deus in latino, Theòs in greco, Dêvas in sanscrito), nelle lingue indoarie (o ariane), è *div-, = *diu-/*diau-, che si ricollega all’idea di “splendore”, e dunque “Luce” (v. qui).

Ora, tutto questo, senza l’input di mio padre, non sarebbe stato possibile. Ed è forse per tale ragione che, dopo la sua morte, ho voluto scrivere il romanzo Viale dei silenzi (Arkadia Editore), che non è certo autobiografico, ma parla di uno scrittore che ha perso il padre (scomparso nel nulla) e inizia un viaggio attraverso l’Europa, dalla Polonia all’Irlanda, per ritrovarlo e, nel mentre, comprendere più a fondo il senso della propria vocazione letteraria, vivendo lui stesso numerosi “passaggi di stato” (e non solo in senso geografico).

Passaggi di stato

Forse non è un caso se l’ottimo amico e collega Enrico Macioci, recensendo Da luoghi lontani, ha parlato di una “frattalità” della mia scrittura, che farebbe sì che, qualunque cosa di mio si legga, per quanto diverso, si accede inevitabilmente al “mio mondo”. Credo che sia qualcosa di simile a quello che un uomo privo di fede una volta disse del mondo fantastico creato da Tolkien – per accostarmi umilmente al Maestro -, cioè che fosse “un mondo che sembra pervaso da una fede che non proviene da alcuna fonte visibile, come se una luce splendesse ma senza che si veda la lampada” (dalla Lettera a Carole Batten-Phelps, la n. 328 del suo epistolario, che troviamo nel volume La realtà in trasparenza, edito da Bompiani nel 2001, per la traduzione di C. De Grandis) – ne ho parlato nel mio contributo a Tolkien. La Luce e l’Ombra (Kipple Officina Libraria).

Quella luce impercettibile ma concretissima è precisamente la Luce, la Vibrazione, ovvero l’energia-Spirito che è l’azione/presenza concreta del Dio-esperienza nel mondo materiale. E, pur non scrivendo di spiritualità come tema centrale, nei miei libri il presupposto filosofico di qualunque trama escogiti è appunto questo. Anche perché, se questa “rete spirituale” tiene insieme tutto ciò che esiste nel cosmo, non vedo perché non dovrebbe farlo con la mia modesta produzione.