Rientro in città e nuovi programi

RIENTRO IN CITTÀ E NUOVI PROGRAMMI

Il viaggio in Norvegia è finito da meno di una settimana, ma in realtà non si è concluso. Come tutte le esperienze di viaggio, per me è stato una sorta di pellegrinaggio intimo, carico dell’energia dei luoghi, delle persone incontrate e delle risonanze interiori che ha sprigionato. Del resto, l’avevo scritto qui prima di partire: la Norvegia per me è sempre stata il segno di un passaggio definitivo – della chiusura di una fase della vita e dell’apertura di un’altra.

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Il Teatro dell’Opera di Oslo

Così, mentre qui pubblico alcune delle tante foto che ho scattato durante i dieci giorni di viaggio (e che potete trovare più numerose sui miei profili Facebookquesto e questo – e Instagram), non posso non pensare al mio rientro in città (la da me amata e detestata Firenze) come a un momento di necessaria ripartenza. E non penso solo al lavoro – ho appena finito la revisione della mia traduzione del romanzo dell’autore francese Olivier Sorin Le nombril de Solveig, che uscirà in Italia prima di Natale, e la scrittura del mio romanzo di viaggio e critica storico-sociale La via dell’altrove procede bene -; no, penso a tutto ciò che in genere si associa al rientro in città, e che, non lo nego, a volte affligge anche me, anche se oggi molto meno di prima. Noia, nevrosi, stasi, difficoltà a ripartire.

Rientro in città 7
Una veduta del Lysefjord, non lontano da Stavanger
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Spirito della (e nella) traduzione/scrittura/musica

SPIRITO DELLA (E NELLA) TRADUZIONE/SCRITTURA/MUSICA

Ieri, a lezione dal Maestro Ganesh Del Vescovo, riflettendo su varie interpretazioni della favolosa Ciaccona in re minore BWV 1004 di Johann Sebastian Bach (che lui ha interpretato magistralmente, nella sua trascrizione, all’ultimo concerto fiorentino di una settimana fa circa), mi è venuto in mente precisamente in che senso la pratica della musica – e sopratutto di uno strumento difficile come la chitarra -, pur da dilettante qual sono, mi aiuta a calarmi ancor più a fondo e sottilmente tanto nella scrittura quanto nella traduzione.

Spirito

Ogni nota, come ogni parola, comporta la necessità di “trasferire”, che è un’attività comune alla scrittura e alla traduzione, come già ho avuto modo di enucleare durante i miei incontri universitari a Stoccolma e Uppsala a maggio insieme al mio traduttore svedese Johan Arnborg. Trasferire significa veicolare da un mondo (emozionale e concettuale) a un altro (verbale o musicale). In altre parole, proprio come un chitarrista deve dare a ogni nota il giusto timbro, volume ed eventuale accento (e, fondamentalmente, il giusto spirito), uno scrittore e un traduttore devono lasciar affiorare ogni parola non solo in base al loro significato, ma alla sensazione di (pro)fondo che vogliono evocare.

Quindi ha ragione l’amico e collega Leonardo Masi a scrivere che il traduttore è più un trascrittore che un esecutore strumentale, ma credo che, al contempo, sia – proprio come lo scrittore e lo stesso interprete musicale – una sorta di “medium” o di sensitivo, che deve far sentire gli altri esattamente come lui/lei sente il testo (o la musica) originale, o il suo stesso mondo interiore (quando ne è autore/autrice). Insomma, ci mette del suo, ma prima di tutto deve rendersi “trasparente”, il che non significa “assente” o privo di una propria voce, ma piuttosto un “tramite”.

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