BUON NATALE A MODO MIO
Alla fine ci siamo arrivati anche quest’anno, al Buon Natale di rito. Vorrei dunque fari i miei auguri a tutti voi facendo una riflessione che, invece, fuoriesca dai rituali. Mi piacerebbe dare un senso e un sapore diversi a questa parola, “auguri”, che spesso usiamo solo per riempire vuoti d’imbarazzo o per mascherare la sostanziale volontà di non condividere realmente qualcosa con i nostri interlocutori – anzi, di liberarcene al più presto. Stringiamo, dunque, e proviamo a fare una sintesi.
Sempre che a qualcuno queste mie righe periodiche interessino, forse si sarà accorto che ultimamente scrivo meno spesso online. Il motivo è semplice, e ha due risvolti. Il primo, banalmente, è che sto lavorando a tanti progetti letterari e traduttivi. Il secondo, che mi sono un po’ stufato di questo dover sempre essere presente in Rete, che, anche se utile a farsi pubblicità, dovrebbe aver luogo solo quando c’è qualcosa di concreto e di utile da dire.
Come sapete, sto scrivendo un romanzo, La via dell’altrove, intriso di viaggio, storia e politica europea degli ultimi quaranta-cinquant’anni. Un lavoro viscerale, che, oltre a comportare molte ricerche fattuali, mi mette alla prova sul piano mentale ed emotivo. Non manca molto al completamento della storia, ma il lavoro è tanto. Poi ci sono il noir ambientato tra Toscana e Umbria, Ladro di stanze, che è il contraltare leggero – ma per niente banale – del lato “profondo” del mio impegno letterario. E, per variare ulteriormente, il mio saggio narrativo Voci oltre il buio, dove tratteggio le linee generali – e alcuni momenti specifici – del mio percorso di consapevolezza attraverso la meditazione, la preghiera, il lavoro e le esperienze artistiche, linguistiche e di viaggio, facendo spesso sponda su riflessioni inerenti alla fisica quantistica e alla psicologia analitica (a questo proposito, una lettura estremamente interessante, anche se non facile, si sta rivelando Psiche e realtà, di Tiziano Cantalupi e Donato Santarcangelo, ed. Tecniche Nuove 2015).
Last but not least, ho ripescato dal carniere delle mie vecchie cose un romanzo che credevo non essere abbastanza “maturo”, ma che, rileggendolo, mi piace un sacco, e che perciò ho deciso di revisionare e riproporre. Si tratta di un giallo a sfondo sportivo, con elementi attinenti alla storia della Fiorentina. Non dico di più, per adesso. Ma sarà una sorpresa.
Sul fronte traduttivo, sta per uscire per Ortica Editrice Träbild. Sussurri da Gotland di Christian Stannow, la mia seconda traduzione dallo svedese, che troverete in libreria a gennaio, molto probabilmente quasi in contemporanea con la versione italiana de Le nombril de Solveig di Olivier Sorin, romanzo francese che ho tradotto sempre quest’anno e che uscirà prossimamente con I Libri di Mompracem.
Infine, sta per uscire online la versione italiana (aggiornata) di un articolo della Prof.ssa Dorota Karwacka-Pastor sui temi-chiave della mia quadrilogia distopica Internet. Cronache della fine (Galaad Edizioni) – la mia prima traduzione ufficiale dal polacco, a parte una poesia della poetessa polacca Ariel Rosé, recentemente uscita nella silloge edita da Vallecchi Nella profondità dell’ombra. Anzi, mi permetto di riportarla, dato che è già online – anche se hanno sbagliato a scrivere il mio cognome, che è “Agnoloni” (ma poco male).
CHIAROSCURO. FLATFORD MILL
Si trattava solo di questo, Maria, in ogni libro
riconoscere il paesaggio della propria coscienza:
la corteccia crepata del frassino, la dolce mora, la pietra
muscosa, la strada in salita, il fango e il cielo, che
domina su tutto.
Solo questo volevo dirti nella lingua
del vento, descrivere la storia delle nuvole, la profezia
nascosta nel mio passato: la casa sul fiume,
il ponte di legno, il vecchio barcone con cui trasportano
orzo e segale.
Non ho potuto far niente di più che provare
a mostrare la verità, e non è un’arte facile da apprendere:
la luce sul fiume che ti porta via, l’acqua
cosi morbida, i rami si immergono
nella profondità dell’ombra.
Sono versi splendidi, che esprimono precisamente quanto sto cercando di enucleare nel corso dei miei attuali incontri letterari presso diverse biblioteche italiane, Gli orizzonti del viaggio e delle lingue (qui il video dell’evento del 2 dicembre scorso alla Biblioteca Comunale “Marsilio Ficino” di Figline Valdarno) . In sostanza – e non diversamente da quanto Giorgio Manganelli affermava nel Discorso dell’ombra e dello stemma (già, la stessa ombra del titolo del libro di Ariel) -, le parole, e dunque la letteratura stessa, sono “superflue”. Quello che conta è la natura, la materia-energia di fondo, il suono; la consapevolezza della nostra centratura in questo spazio psicoide, come Carlo Gustav Jung avrebbe detto, dove siamo una cosa sola coi territori del significato che passa attraverso i simboli, che sono prima di tutto spirito e poi, anche, realtà. Le parole, insomma, trasmettono realmente qualcosa solo se risuonano con questo sostrato di fondo.
Precisamente per questo, dire “Buon Natale”, come del resto scrivere qualunque altra cosa, semplice o complessa, superficiale o profonda che sia, ha senso solo se corrisponde a quanto mette direttamente – e veracemente – in comunicazione l’interiorità e il suo nucleo più profondo (il Sé), con l’anima mundi, il divino universale, la dimensione dello Spirito, ovvero il mondo nella sua ricchezza e complessità pienamente coscienti. Che è precisamente quello che nasce, o appunto si fa realtà, nel Natale, che per chi è cristiano è appunto Dio che si fa uomo.
Dire “Buon Natale”, o scriverlo, o anche comporre un saggio, un romanzo o un racconto, creare o eseguire un pezzo musicale, o stendere un colore su una tela, o anche solo stringere una mano, dovrebbero essere sempre un riflesso genuino di questa aderenza, di questa corrispondenza tra l’universo di dentro e quello di fuori. Qualunque altra soluzione è finzione, e la finzione è sempre separazione, scissione, trauma, causa di problemi. Ivi inclusi i troppi post online, anche se questi servono pur sempre a chi lavora in campo artistico, e non è bene sputarci sopra.
Diciamo così: quest’anno il mio “Buon Natale” vuol essere un messaggio contro l’ipocrisia, nella quale faccio rientrare anche i post polemici, che rientrano sempre in un’ottica di alimentazione della dualità, che non giova alla coscienza dell’unità del tutto cui sopra accennavo. Ferma restando la sacrosanta natura della denuncia di ciò che non va a livello politico, soprattutto quando sono in gioco i diritti umani (come al tempo del “Green Pass”, quando quasi nessuno gridava al fascismo, cosa che invece adesso è tornata di moda).
Il mio pensiero torna dunque al grande Pier Paolo Pasolini, che il suo impegno e la sua franchezza antisistema li ha pagati con la vita. Recentemente, trovandomi a Roma per due presentazioni e per la fiera Più Libri Più Liberi, ho visto, accanto alla Stazione Termini, un residuato del suo tempo, che molto probabilmente era lì anche la notte d’inizio novembre 1975 in cui, passando più o meno da quel punto, l’autore si apprestava a dirigersi verso l’Idroscalo di Ostia, dove sarebbe stato ammazzato – e, sappiamo bene, ben diversamente da come ci è stato raccontato. Era un vecchio negozio dall’insegna “Futuro ’90”, che doveva risalire più o meno agli anni Sessanta, quando il decennio dei Novanta doveva suonare fantascientifico più o meno come il 1984 per Orwell.
Interessante sincronicità, la sera prima avevo finito di leggere il bellissimo romanzo Il sogno di una cosa di Pasolini, che racconta storie friulane di vita e impegno politico-sociale, ispirate alla sua gioventù in quei luoghi, come Casarsa e San Vito al Tagliamento, dove tra l’altro ero passato all’inizio di luglio, di ritorno dalla mia residenza letteraria in Ungheria. E proprio quel viaggio ha ispirato La via dell’altrove, romanzo d’impronta “pasoliniana”.
Vedete bene come, percorrendo le strade della vita con la consapevolezza centrata nel Sé, e perciò nello spirito, tutto torna, risuona, coincide, significa. Che sia dunque un Buon Natale, inteso come uno svegliarsi a questa dimensione, sempre più e con profitto sempre maggiore.