Buon anno tra spirito, psiche e realtà

BUON ANNO TRA SPIRITO, PSICHE E REALTÀ

Nell’augurarvi Buon 2024 riallacciandomi al mio personalissimo modo di farvi gli auguri di Buon Natale una settimana fa circa, ecco qualche considerazione tratta dal mio saggio narrativo Voci oltre il buio, che sto scrivendo alternandolo con gli altri miei libri in corso di stesura (tra parentesi, durante le Feste ho completato il mio romanzo sullo sfondo della storia del calcio, che spero di collocare presto sul mercato editoriale).

Buon Anno
Un’immagine di Via dei Fori Imperiali a Roma, durante la mia visita di inizio dicembre 2023

Non entrerò più di tanto nel merito, per non spoilerare, ma vorrei prendere qualche piccola citazione usata nel testo – con richiami ai relativi autori, naturalmente – per entrare ancor meglio nello spirito non-dualistico e sincronicistico cui alludevo appunto qualche giorno fa per gli auguri natalizi.

Si tratta di spunti attinti da diversi tradizioni spirituali (sapete che sono cristiano, ma mi interesso anche di filosofie orientali, soprattutto in rapporto alla psicologia junghiana e alla fisica quantistica).

Comincerò dallo Zen, con un riferimento a un koan bellissimo, riportato da Fritjof Capra ne Il Tao della fisica:

“Prima di praticare lo Zen, le montagne mi sembravano montagne, e i fiumi mi sembravano fiumi. Da quando pratico lo Zen, vedo che i fiumi non sono più fiumi e le montagne non sono più montagne. Ma da quando ho raggiunto l’illuminazione, le montagne sono di nuovo montagne e i fiumi di nuovo fiumi.”

(Il Tao della fisica, ed. Adelphi 1989, pag. 142, trad. Giovanni Salio)

Ciò equivale ad affermare che sgombrare la mente dai fardelli razionali ci conduce fuori dagli schemi dell’abitudine – che velava i nostri occhi di una patina che ci aveva fatto smarrire la capacità di cogliere l’intensa bellezza del mondo – e ci permette così di cogliere la natura intima della realtà, salvo poi riportarci alla beata immediatezza delle cose. Questa, però, non è più sorda e priva di risonanze (il tolkieniano “drab blur of triteness or familiarity” che ricordavo qui), ma al contrario densa di significato.

Non a caso, Tolkien scrisse praticamente la stessa cosa nel suo saggio Sulle fiabe, dove descriveva il processo di Evasione dal carcere della realtà innescato dall’esperienza feerica della lettura o dell’ascolto di un testo fantastico autenticamente subcreativo (cioè tale la indurre la “sospensione dell’incredulità”), seguito dal riconoscimento, nella dimensione parallela in cui si ambienta la storia, degli stessi elementi fondamentali del nostro mondo, ma ripuliti della suddetta patina, e quindi dal Recupero della realtà:

“Dovremmo incontrare il centauro e il drago, e poi fors’anche all’improvviso scorgere, al pari degli antichi pastori, pecore, cani, cavalli – e beninteso lupi.”

(Sulle fiabe, in Albero e foglia, ed. Rusconi, 1976, pag. 76, trad. F. Saba Sardi)

L’arte, dunque, può elevarci e poi riportarci esattamente qui, ma radicalmente rinnovati. E non è forse questa la quintessenza di ogni esperienza autenticamente spirituale? Arte e spiritualità sono perciò strettamente correlate, esattamente come psiche e realtà. Anzi, oserei affermare che esiste una sostanziale coincidenza di queste quattro dimensioni.

Tutto ciò viene riassunto ed espresso nella forma più alta in una meravigliosa citazione evangelica. Sono le parole pronunciate da Gesù nel Vangelo di Matteo:

“E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano.  Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.”

(Mt 6, 28-29)

Non aggiungo altro, sia perché sono frasi di immediata evidenza (e assoluta intensità), sia perché la mia scrittura del saggio è in corso, e quello di oggi è solo un “carotaggio” che si prestava bene per i miei auguri di Buon Anno.

Dico soltanto che spero vivamente che il 2024 rappresenti per noi tutti un felice koan, una gradevole rottura degli schemi dell’abitudine per sintonizzarci con i canali dello spirito-nella-materia, quello che, per citare un altro apologo zen (citato anche da Raul Montanari ne Il Cristo Zen, sulla cui prima edizioni diversi anni fa conversammo insieme su Postpopuli), invita colui che cerca l’illuminazione a pulire prima di tutto la sua ciotola dopo aver mangiato, ovvero a vivere con piena consapevolezza la bellezza dell’attimo presente – senza anteporre il pensiero alla mente divina, al Sé, all’orizzonte dello spirito che è origine di tutte le manifestazioni materiali (illuminanti, ricordo ancora, le considerazioni di Tiziano Cantalupi e Donato Santarcangelo in Psiche e realtà) e che ci permette di vivere in sintonia armoniosa – e non più perturbante – con il flusso sincronicistico di dinamiche che governano il verificarsi degli eventi, ovvero degli elementi e del pensiero.

Questa contemplazione fattiva della bellezza del mondo, esercitata attraverso l’Amore, cioè il piacere di intenso di fare quello che ci nasce da dentro, perché è spontaneo frutto di una vocazione – e che ci porta altrettanto spontaneamente ad amare il prossimo nostro “come noi stessi” (Lc 10,27) -, sia la chiave per una vita nuova, non più basata sull’osservazione critica e rancorosa dell’Altro (e prima di tutto di noi stessi), sulla contrapposizione e sulle sterili barricate, ma sulla realizzazione del Sé, ovvero della vocazione personale, che è il motivo per cui siamo venuti al mondo. Sempre tenendo presente che questa può manifestarsi tanto in chi ha una fede religiosa quanto in chi non ce l’ha, e che anzi può essere fonte di un dialogo profondamente costruttivo – illuminanti, in questo senso, le riflessioni del teologo Tomáš Halík nello splendido saggio Pazienza con Dio, imperniato sull’importanza, per chi crede, di portare avanti e di imparare dal dialogo con cosiddetti “Zacchei” (ovvero e coloro che si trovano in una posizione “attendista”, perché, pur non avendo una fede consapevole e rimanendo “sulla soglia”, sono affascinati dalla dimensione spirituale e disponibili ad accoglierla, proprio come il pubblicano Zaccheo nel Vangelo di Luca – Lc, 19, 1-10) .

Tutto il resto, poi, si accorderà appunto “da sé”, perché attraverso il nostro fare fluirà sincronicisticamente – che è come dire provvidenzialmente – lo Spirito.