LIBERAZIONE INTERIORE IN MOVIMENTO
Rientrando a Firenze dal viaggio tra Danzica e Praga, per gli incontri con gli studenti di Italianistica dell’ateneo polacco e con la Società Dante Alighieri di Praga (di seguito, alcune mie foto), mi trovo a fare alcune considerazioni su quanto ho compreso mentre ero all’estero, su quello che sta succedendo in Italia (e non solo) e sul senso del mio lavoro, soprattutto in questa fase.
Prima cosa: entrare in contatto con persone così entusiaste dello studio della lingua e della letteratura italiana, presentare il mio lavoro di scrittore e traduttore letterario con la sensazione di creare un autentico ponte di comprensione e reciproco stimolo all’approfondimento e alla condivisione, è un’esperienza del tutto gratificante, che non capita così spesso. Ciò mi rende ancor più consapevole di quanto ho sempre pensato: lo scrittore – e anche il traduttore – è un tramite, che ci “mette del suo”, senza dubbio, ma prima di tutto “lascia passare” attraverso sé contenuti e sollecitazioni scaturenti dal profondo e carichi di una speciale elettricità, fatta di atmosfere, stati di coscienza, emozioni, concetti, curiosità linguistica, psicologica, filosofica, storica e politica. Tutto questo, se rimanesse murato dentro la sua testa, oltre a saturarla e a intossicarlo, sarebbe del tutto inutile. Va invece, per sua stessa natura, appunto condiviso. In tal senso, questo viaggio mi ha ancor più confermato nella mia vocazione.
Inoltre, il tema delle lingue e dei luoghi, centrale anche nel mio nuovo romanzo La via dell’altrove, da poco concluso, mi ha portato a focalizzarmi ancor meglio su realtà come quella polacca – che frequento da molti anni – e quella ceca, curiosamente dopo aver finito di scrivere un libro in parte lì ambientato (oltre che in Croazia, Ungheria e, brevemente, Germania – Berlino – e Slovacchia). È stato un po’ come “tornare sul luogo del delitto”, per così dire, o meglio rivisitare quanto era già presente nella mia mente con la vividezza di dettagli e impressioni che solo la memoria, pur con le sue alterazioni, consente. E in effetti tutto, incredibilmente, tornava. Danzica e Sopot erano sempre la nicchia di pace e armonia che ricordavo e che compare nel romanzo, sia pur col retrogusto di lontani e tragici eventi politici. Insomma, la Polonia mi dà sempre l’intensa sensazione di essere casa.
Quanto a Praga, mi aspettavo che, a quasi trent’anni dalla mia unica altra visita lì, in gita al liceo, fosse cambiata in senso iper-capitalistico (mentre allora si sentiva ancora la greve cappa degli anni del comunismo, da poco trascorsi). Pressoché ovunque c’erano frotte moleste di turisti e uno sviluppo economico e commerciale perfino eccessivo – anche se con un’altissima qualità di servizi. Ma, ciò nondimeno, vi ho colto delle nitide linee di commozione e di fremente esposizione alle emersioni dei dolori passati (come accanto al monumento a Jan Huss in Piazza della Città Vecchia e ancor più nella splendida Piazza San Venceslao, cuore pulsante della Primavera di Praga del 1968, e nella zona della rocca di Vyšehrad).
Queste percezioni, unitamente ad alcuni imprevisti e a qualche frizione manifestatisi nel corso dei dieci giorni di viaggio, mi hanno permesso di compiere un ulteriore passo avanti – o meglio, dentro-e-sopra – nella mia ricerca ed evoluzione personale, che mi sarà molto utile sia per sviluppare ancor più il mio saggio Voci oltre il buio, sia per la stesura del mio appena iniziato (e particolarissimo) diario di viaggio. Ovvero, non sono e non possono essere le circostante esterne – umane, politiche e sociali – a condizionare il nostro modo di sentirci, il nostro “star bene”. Esse seguono le loro logiche, che poi, stringi stringi, sono quasi sempre legate al profitto e al potere (a livello tanto individuale quanto collettivo), insomma a un interesse egoistico e generalmente riconducibile alle stesse matrici politico-economiche – come Pier Paolo Pasolini aveva capito e scritto benissimo negli Scritti corsari e non solo.
Tutto questo è “illusione”, ovvero vanitas vanitatum, perché si disperde col tempo e si riduce a nulla, soprattutto in un’epoca iperveloce come la nostra. Ciò che veramente conta, invece, è l’equilibrio, ovvero la centratura emozionale e spirituale, la capacità di essere e restare qui e ora, consapevoli che è in questo attimo dilatato grande potenzialmente quanto lo spazio nel suo insieme (la dimensione “psicoide” cara agli studiosi di psicologia analitica sensibili alle risonanze con la fisica quantistica), che si annida il nesso con ciò che trascende, ovvero – etimologia del dizionario Treccani alla mano – che va trans (“oltre”) e al tempo stesso è capace di scandĕre (“salire”).
Salire andando oltre, senza lasciarsi intrappolare dalle lusinghe e dalle provocazioni contingenti. Essere nel mondo ma non del mondo (in linea con le parole di Gesù in Gv 17,14). In questo faccio rientrare anche le vicissitudini degli ultimi tempi in Italia (leggi: polemiche sulle presunte “minacce fasciste” vs l’indifferenza di chi le ha sollevate al tempo del vergognoso Green Pass, il tema della Liberazione e le rivendicazioni sul diritto al lavoro da parte di chi allora – parlo di non più di due anni e mezzo fa – non diceva una parola a favore dei lavoratori non vaccinati sospesi in condizioni di pericolo per gli altri identiche a quelle create da chi invece si era vaccinato). Su questo non mi sono soffermato sui social media perché ho riversato tutte le mie riflessioni su questi temi e molti altri proprio ne La via dell’altrove, e inoltre già verso la fine della pandemia, stufo di mille polemiche anche con chi la pensava come me e continuava a dire “non finirà mai”, avevo promesso di non intervenire più sui social su questi argomenti.
Per fortuna ci sono stati altri autori e giornalisti, come Loredana Lipperini, Susanna Tamaro, Carlo Cuppini ed Enrico Macioci, che l’hanno fatto. Io mi prenderò, nel caso, la mia dose di polemiche quando uscirà il romanzo. Ma una cosa la voglio dire fin d’ora: l’unica vera liberazione è quella scaturisce da dentro, la liberazione interiore. Qualunque altra considerazione, pur legittima, sul liberarsi di una parte dall’altra, sulla contrapposizioni tra “noi” e “loro”, rischia di far cadere nel dualismo, in una visione polarizzata dell’esistenza che, semplicemente, non corrisponde al vero. E non vi corrisponde sia perché spesso chi dà di fascisti agli altri è il primo a esserlo – in quanto tale si è dimostrato in corso di pandemia e ora pretenderebbe di farci credere che così non sia stato -, sia perché tutto questo pieno vs vuoto, bianco vs nero, guelfo vs ghibellino, è destinato a passare, pur svolgendo, nel frattempo, una sottile e spesso fraintesa funzione di distrazione dai veri giochi di interessi dei mandanti – per dirla à la Pasolini – di certe polemiche e certe rivendicazioni utili a determinate sfere di potere. Parlo naturalmente delle più scafate e ciniche tra le multinazionali, di quella parte dei sistemi di potere finanziario, mediatico, farmaceutico, bellico e chi più ne ha più ne metta, che lucra sulle divisioni del mondo per incrementare i propri imbarazzanti guadagni, e ovviamente di quei governi che ne sono trainati – anche grazie alla coscienza acritica di gran parte della popolazione, che non approfondisce e si affida in toto alle narrazioni ufficiali (fors’anche perché interessata a sua volta a custodire i propri “orticelli”), salvo poi dare di “complottista” a chi si informa e divulga ricerche, studi seri e prospettive comprovate (al netto dei veri complottisti, i “terrapiattisti” che invece sono utilissimi al sistema).
Questo è il vero fascismo, e questa la dimensione da cui urge liberarsi, e non con un gioco di “noi contro loro” (che serve solo a riconfermare certi apparati), ma con, appunto, l’equilibrio, la crescita interiore, culturale, linguistica, artistica, emozionale e spirituale.
Spesso e volentieri, parlando con mia madre in viaggio di negozi i cui prodotti non ci interessavano minimamente (tipo rivendite di superalcolici, marijuana e varie schifezze dolci), ci siamo trovati a commentare: “Fosse per noi (visto l’uso che ne facciamo), potrebbero anche chiudere”. Ecco, oggi, per festeggiare a modo mio (non partitico!) il Primo maggio, e alla luce delle maturazioni fatte in viaggio, penso di poter affermare la stessa cosa di tutte quelle realtà di potere transnazionale, o almeno della parte di loro che svolge una funzione utile solo alla conservazione e all’arricchimento di se stessa.
A me interessa solo la liberazione interiore, perché è la premessa indispensabile di ogni autentica liberazione. Mi interessa l’equilibrio. Mi interessa trascendere, stando nel mondo senza appartenervi, cioè senza rimanerne fregato.