Tesoro oltre l’ombra

TESORO OLTRE L’OMBRA

Credo che una delle frasi letterariamente più viscerali e rivelatrici di tutta la tradizione occidentale sia contenuta nel Vangelo di Matteo, al capitolo 13 (52):

“Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.”

Poche volte, assistendo alla messa come ieri (perché non sono uno di quegli scrittori che si vergognano della propria fede, ché a dichiararla “si rischia di passare da fessi”, come una volta ebbe a dire un noto editor a un evento a cui partecipavo), ho sentito una frase risuonare con me con tanta forza. È stato così proprio perché scrivo, e perché ho capito che quel tesoro – che è il “Regno dei Cieli” – è la centratura nel Sé di cui parlo sempre. E da quel tesoro, che si annida oltre l’Ombra – di cui uno scrittore (come tutti, del resto) non deve aver paura – scaturiscono nuove visioni inevitabilmente legate alle radici ancestrali dell’essere, alla sapienza originaria trasmessa dal “passato”, in un continuo afflato creativo – anche perché, sulla scala ultima delle cose (che è quella dalla quale lo spirito agisce nella realtà macroscopica), il tempo non esiste.

Tesoro

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Spaziotempo e pensiero

SPAZIOTEMPO E PENSIERO

Spaziotempo

A volte mi rendo conto che il passare del tempo è solo illusorio – e infatti il tempo in definitiva non esiste, come ci insegnano gli sviluppi più recenti della fisica quantistica. L’unica cosa che esiste sono gli stati mentali e la consapevolezza individuale, la coscienza del Sé, e il salto quantico che ogni comprensione orientata in questa direzione comporta.

È così ogni volta che supero una folata di malinconia o di nostalgia – sentimento poetico ma inutile, come ci insegnano gli Elfi della Terra di Mezzo – con la coscienza del progresso compiuto anche attraverso le stagioni più difficili (personali e collettive) e con lo slancio di un nuovo progetto, che va oltre le mere categorie del “dovere” e rientra appieno nel piacere del dare attuazione alla vocazione profonda, e quindi è “fare anima”, come amava dire James Hillman.

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