Oggi più di (o forse esattamente come) ieri

OGGI PIU’ DI (O FORSE ESATTAMENTE COME) IERI

Oggi è una di quelle giornate in cui la traduzione si alterna in modo pressoché costante alle riflessioni sul libro in corso di scrittura . Ho buttato giù degli appunti che saranno fondamentali per lo sviluppo delle parti più politico-sociali de La via dell’altrove, e molto hanno a che fare con il modo in cui in tanti ci siamo persi per strada e ghettizzati a vicenda, in questi ultimi anni e decenni di (amaro e peraltro assai relativo) trionfo della società consumistica.

Oggi

Il mio nuovo romanzo diventerà allora un viaggio attraverso l’Europa per accedere a un segreto interiore forse inconfessato, eppure frutto di quel deterioramento generazionale, che spesso ci ha portati a vedere nell’altro solo un elemento da sfruttare o un fattore di disturbo da “bannare”.

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Traduzioni e rispetto

TRADUZIONI E RISPETTO

Tra ieri e oggi, facendo lo slalom fra la traduzione del romanzo francese in corso e la scrittura del romanzo La via dell’altrove, ho ripreso la pratica dello svedese e del polacco ascoltati e parlati, mediante canali Youtube dedicati e conversazioni via Skype con amici madrelingua che vivono all’estero. Una sana abitudine da me acquisita nell’osceno periodo dei lockdown – forse l’unica cosa buona che ne abbia ricavato, oltre alle tante pagine scritte in quei mesi a questo tavolo (v. prima foto).

Traduzione tavolo

Così ho riflettuto su come, per le lingue, valga la stessa cosa che vale per la chitarra classica: le “regole” contano, ma senza la pratica (dei pezzi come delle conversazioni della vita reale) servono a poco. O meglio, possono bastare per tradurre, un po’ come quando al liceo si facevano le versioni di latino e greco antico (lingue puramente teoriche), ma non per vivere. Perché le lingue, come la musica, sono cose vive. E, in definitiva, anche la traduzione, come la scrittura, beneficia moltissimo dell’abitudine di parlare gli idiomi che ne sono oggetto: il risultato è più naturale, perché entri maggiormente nello spirito dell’ambiente da cui quel testo proviene.

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Spaziotempo e pensiero

SPAZIOTEMPO E PENSIERO

Spaziotempo

A volte mi rendo conto che il passare del tempo è solo illusorio – e infatti il tempo in definitiva non esiste, come ci insegnano gli sviluppi più recenti della fisica quantistica. L’unica cosa che esiste sono gli stati mentali e la consapevolezza individuale, la coscienza del Sé, e il salto quantico che ogni comprensione orientata in questa direzione comporta.

È così ogni volta che supero una folata di malinconia o di nostalgia – sentimento poetico ma inutile, come ci insegnano gli Elfi della Terra di Mezzo – con la coscienza del progresso compiuto anche attraverso le stagioni più difficili (personali e collettive) e con lo slancio di un nuovo progetto, che va oltre le mere categorie del “dovere” e rientra appieno nel piacere del dare attuazione alla vocazione profonda, e quindi è “fare anima”, come amava dire James Hillman.

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Diario di viaggio o romanzo?

DIARIO DI VIAGGIO O ROMANZO?

Diario di viaggio

Difficile, per certi versi, catalogare il mio diario di viaggio Berretti Erasmus. Peregrinazioni di un ex studente nel Nord Europa (Fusta Editore), che quest’anno parteciperà al Premio “Sergio Maldini” per la letteratura odeporica.

A mio avviso è qualcosa di più di una raccolta di capitoli (interpretabili come racconti) su diverse esperienze di viaggio in paesi nordeuropei. Molto più corretto leggerlo come un romanzo, e non solo per via dei capitoletti di raccordo – ambientati a Firenze – in cui l’io narrante (che “sono io ma non sono io”) – ripensa alle esplorazioni del passato e si prepara a una nuova partenza. Il vero motivo è la ricerca, la quest personale che lo coinvolge in tutte le sue passeggiate per le città d’Europa. Quella dell’amore, che lo avvicina più volte a una “donna ideale” che però torna sempre a sfuggirgli. Quindi la incontra, ma uno sfortunato incidente gliela porta via. E infine rimane dentro di lui, ispirando i suoi nuovi passi nel mondo.

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Terzo occhio e scrittura

TERZO OCCHIO E SCRITTURA

Terzo occhio

Ieri riflettevo con un ottimo amico e collega – oltre che “compare” di percorsi meditativi – sull’importanza del Sé vs. Ego nel dedicarsi a una disciplina artistica, quale ad esempio la scrittura. Va infatti di moda, o almeno spesso è così, il personaggio figo, ganzo, “simpa”, con modi “renzovoleggianti” (ogni riferimento…), ma il più delle volte, poi, se scavi ti rendi conto che sotto c’è poco. O almeno, magari c’è un grande nozionismo e un’accattivante simulazione di profondità, ma manca appunto questa, la profondità, e dunque l’autenticità della ricerca – e dell’espressione – del Sé, la radice dell’identità, che poi è quella che inevitabilmente raggiunge il fruitore dell’opera artistica e crea ponti che resistono alla prova del tempo.

Naturalmente siamo tutti fallibili e umani, dunque portati a indulgere in stati d’animo autocompiaciuti e a cercare l’approvazione degli altri. E parte di ciò è anche commercialmente utile. Però credo che uno dei punti fermi a cui chiunque si dedichi all’arte deve opportunamente richiamarsi è che ogni “tradimento” rispetto alla funzione ideale dell’Arte stessa – che è l’incontro col Sé e l’apertura fattiva all’orizzonte dello Spirito (anche per chi non è credente) – porta con sé un kharma.

In altre parole: il “ganzino” o la “ganzina” di turno fa ciò che fa per una fondamentale carenza di autostima, e dunque per una pregiudiziale negativa che è IL principale ostacolo alla realizzazione della propria vocazione. Quindi crea le premesse per il proprio fallimento spirituale (anche se magari, nell’immediato, “raccatta” di più – come spesso capita ai ganzini anche nelle faccende sentimental-erotiche) Voglio dire: per quanto abbiamo ognuno un talento specifico, e questo non vada nascosto, il vero senso di ciò che scriviamo si esplica quando ci rendiamo tramiti e, anziché aggiungere, sottraiamo.

La sfida più grande sta in questo: lasciar parlare lo Spirito e fidarci del nostro terzo occhio.

Luce interiore e tempi difficili

LUCE INTERIORE E TEMPI DIFFICILI

Luce interiore
Danzica (foto di Giovanni Agnoloni)

Oggi ho avuto un secondo, piacevolissimo incontro via Skype con gli studenti di Italianistica dell’Università di Danzica, condotto dall’ottima Professoressa Dorota Karwacka-Pastor.

Incredibile la profondità e il grado d’interesse (che si percepisce dalla qualità delle domande) delle ragazze e dei ragazzi, che tra l’altro hanno anche già ordinato i miei libri nel corso della chiacchierata!


Un aspetto su cui mi hanno fatto riflettere è l’importanza della luce interiore. Mi hanno chiesto se nei miei romanzi (soprattutto quelli distopici) ci sia della speranza, o se la cornice negativa prevalga. Io ho risposto che naturalmente è presente, sì, ma nasce sempre dal confronto con il contorno (anche) negativo. La speranza è dentro di noi, e c’è sempre, come dice Aragorn ne Le due torri di Tolkien.

Dobbiamo coltivarla orientando sempre il nostro pensiero a cose alte e belle, e tenerla viva e prendercene cura come del nostro combustibile più importante, al tempo stesso approfondendo la consapevolezza di chi siamo e cosa desideriamo, la nostra vocazione, che va coltivata incessantemente.
Dobbiamo sì prendere coscienza delle bugie e degli abusi del potere (ogni riferimento alla situazione attuale è “puramente casuale”) ma ripartire ogni volta da dentro riportando cuore e mente a questo centro luminoso. Altrimenti diventiamo noi stessi parte e concausa del problema. Chi coltiva pensieri negativi crea cose negative.


La rinascita del mondo parte dalla rinascita della singola persona, e dalla sua risonanze con altre anime rigenerate.