TERZO OCCHIO E SCRITTURA
Ieri riflettevo con un ottimo amico e collega – oltre che “compare” di percorsi meditativi – sull’importanza del Sé vs. Ego nel dedicarsi a una disciplina artistica, quale ad esempio la scrittura. Va infatti di moda, o almeno spesso è così, il personaggio figo, ganzo, “simpa”, con modi “renzovoleggianti” (ogni riferimento…), ma il più delle volte, poi, se scavi ti rendi conto che sotto c’è poco. O almeno, magari c’è un grande nozionismo e un’accattivante simulazione di profondità, ma manca appunto questa, la profondità, e dunque l’autenticità della ricerca – e dell’espressione – del Sé, la radice dell’identità, che poi è quella che inevitabilmente raggiunge il fruitore dell’opera artistica e crea ponti che resistono alla prova del tempo.
Naturalmente siamo tutti fallibili e umani, dunque portati a indulgere in stati d’animo autocompiaciuti e a cercare l’approvazione degli altri. E parte di ciò è anche commercialmente utile. Però credo che uno dei punti fermi a cui chiunque si dedichi all’arte deve opportunamente richiamarsi è che ogni “tradimento” rispetto alla funzione ideale dell’Arte stessa – che è l’incontro col Sé e l’apertura fattiva all’orizzonte dello Spirito (anche per chi non è credente) – porta con sé un kharma.
In altre parole: il “ganzino” o la “ganzina” di turno fa ciò che fa per una fondamentale carenza di autostima, e dunque per una pregiudiziale negativa che è IL principale ostacolo alla realizzazione della propria vocazione. Quindi crea le premesse per il proprio fallimento spirituale (anche se magari, nell’immediato, “raccatta” di più – come spesso capita ai ganzini anche nelle faccende sentimental-erotiche) Voglio dire: per quanto abbiamo ognuno un talento specifico, e questo non vada nascosto, il vero senso di ciò che scriviamo si esplica quando ci rendiamo tramiti e, anziché aggiungere, sottraiamo.
La sfida più grande sta in questo: lasciar parlare lo Spirito e fidarci del nostro terzo occhio.