DIARIO DI VIAGGIO UNGHERESE (DA PÉCS)
Sono trascorsi i primi tre giorni della mia residenza letteraria a Pécs, organizzata dallo Hungarian Writers’ Residence Programme, e già il mio lavoro qui sta assumendo una fisionomia chiara. Procedo dunque col mio diario di viaggio ungherese.

Come immaginavo, le prime esplorazioni di questa splendida città dal fascino artistico-architettonico frammisto e come sospeso tra le atmosfere mitteleuropee e quelle di un Oriente giusto a un passo, hanno innescato un improvviso sviluppo del mio nuovo romanzo di viaggio, che sarà in parte ambientato proprio qui, ma – come sto già vedendo – si articolerà attraverso una trama “fisica” che porterà il protagonista ad attraversare mezza Europa, e una mentale, fatta di una sua esplorazione da un lato di se stesso, dall’altro dell’Europa (e in particolare dell’Italia) per come si è evoluta a cavallo degli anni della pandemia.

Tutto questo, sempre tenendo presenti le suggestioni pasoliniane (in particolare negli Scritti corsari) dell’osservazione critica di un mondo sempre più omologato – e che invece trova un momento di recupero nella valorizzazione delle specificità linguistiche e culturali dei singoli luoghi – e quelle legate al viaggio del grande autore nella raccolta di articoli-reportage La lunga strada di sabbia (edita da Guanda nel 2017). Mi riferisco soprattutto all’ultimo capitolo, nel quale, avvicinandosi all’ultimo lembo di costa (e spiaggia) italiana prima dell’inizio dell’allora Jugoslavia, nei pressi di Trieste, Pasolini sente e descrive il progressivo svanire dell’alone linguistico e culturale italico, che cede il passo a quella sorta di “terra di nessuno” che precede il confine e quindi l’inizio dell’alone slavo.

Tornando al mio diario di viaggio ungherese, questi pensieri mi hanno portato a riflettere e a scegliere come tema portante (insieme ad altri) del mio romanzo proprio la considerazione del fatto che i confini di uno stato “contengono” la sua lingua e la sua cultura, sì (Pasolini aveva ragione), ma non in via definitiva. L’Italia, insomma, è sì il suo territorio, la sua arte e architettura, ma quella che – con parola usata fin troppo spesso anche con connotazioni negative – è la sua “identità” sta prima di tutto in qualcosa d’immateriale, in gran parte coincidente con la sua lingua, le sue sonorità musicali, la sua cultura intesa come patrimonio interiore, visione del mondo e creatività (e così è per ogni paese). È vero che questi aspetti vanno dileguandosi nei pressi e subito al di là di una frontiera, ma spesso, alla prova dei fatti, non è proprio così. Anzi, a volte filtrano e s’insinuano anche attraverso le feritoie dei confini, rinascendo sotto forma di comunità nazionali che vivono all’estero o di ibridazioni culturali con altre lingue e altre tradizioni culturali.

Insomma, il mio romanzo di viaggio si misurerà con la capacità di mantenere questo qui e ora intimo pur muovendosi tra molti Altrove. Già in altre occasioni ho svolto delle riflessioni sul tema dell’Ognidove, espressione mutuata dall’amico e collega Davide Sapienza, a indicare quel luogo-non luogo prima di tutto interiore, che via via è possibile riconoscere in luoghi fisici con cui si avverte una speciale risonanza. È seguendo questo sottile richiamo, fatto – soprattutto per me come traduttore – anche dei suoni delle lingue (perfino di quelle di cui ancora ho solo qualche rudimento, come l’ungherese), che si entra in una sorta di continuum sincronicistico in cui il mondo ci parla mentre ci aiuta a conoscere noi stessi.
Questo è precisamente ciò che succederà al mio personaggio. In altre parole, sarà un’esperienza per certi versi consonante con quella vissuta dal mio io narrante in Berretti Erasmus – Peregrinazioni di un ex studente nel Nord Europa (diario di viaggio edito da Fusta nel 2020), ma con un grado di ulteriore avanzamento nella ricerca socio-culturale e psicologica, oltre che con una più articolata complessità di risonanze con i luoghi e le persone ivi incontrate.

A proposito di incontri, ed entrando ancor più nel vivo di questo diario di viaggio ungherese, mercoledì 7 giugno, alle ore 13, avrò il piacere di parlare con gli studenti di italiano del Liceo Kodály di Pécs, toccando vari aspetti del mio lavoro e cercando di trasmettere questo mio spirito di esplorazione, che in definitiva credo che sia il bello della vita. Tutto questo, ovviamente, in attesa del reading in inglese a Szeged del 19 giugno, insieme ai poeti Roland Orcsik e Orsolya Bencsik.

Nel frattempo, potete trovare qui alcune mie foto di scorci della città di Pécs e dello Szolnay Cultural Quarter dove risiedo, oltre a un paio di scatti dell’ottimo organizzatore, l’autore Károly Mehés, che ringrazio ancora vivamente per l’ottimo lavoro che ha svolto e sta svolgendo. Mi trovate davanti a una colorata finestra del caffè del Teatro delle Marionette, dove vado spesso a lavorare, e mentre firmo la copia di Berretti Erasmus che sono stato lieto di donare a Károly e a sua moglie.
Alla prossima puntata!