TRADUZIONE LETTERARIA E SCRITTURA
Ieri, insieme al mio traduttore svedese Johan Arnborg, ho tenuto la mia prima conferenza su traduzione letteraria e scrittura presso il Consiglio degli Studenti della Facoltà di Lingue romanze e antiche dell’Università di Stoccolma.
Ringrazio moltissimo Theo e tutti gli studenti che hanno organizzato l’incontro, e posto alcune foto dell’evento, che è andato benissimo, con ottima partecipazione da parte degli studenti, molto coinvolti e partecipi, con domande interessanti e capaci di ispirare. (Non li vedrete nelle immagini solo perché l’Ateneo ha norme rigorose in materia di privacy.)
Un momento della conferenza insieme a Johan Arnborg (foto scattata dalla studentessa Josefin)
Vorrei condividere qui l’oggetto della riflessione condotta con loro e con Johan, che servirà da riferimento anche per il secondo appuntamento universitario, in programma il 5 maggio alle ore 14 presso l’Unione degli Studenti della Facoltà di Studi Letterari dell’Università di Uppsala (Engelska Parken, sala 6-0023) e, spero, anche per altri event simili qui e altrove. Inoltre, mi fornirà ulteriori spunti utili per il mio saggio narrativo sulle mie esperienze meditative e spirituali e, auspicabilmente, per un futuro saggio sulla traduzione.
Di seguito, il testo in italiano e in inglese. Noterete alcuni riferimento a opere mie (anche inedite, perché Johan ha già cominciato a tradurle) e di altri autori che ho tradotto, come Sanja Särman, Amir Valle e Kenneth Krabat).
Un territorio commune tra scrittura e traduzione letteraria
(conversazione con Giovanni Agnoloni e Johan Arnborg)
– L’origine di tutto è nel suono (Tolkien, Ainulindalë; il Vangelo di Giovanni, riferimenti della fisica quantistica al fatto che tutto è correlato – Carlo Rovelli in Helgoland + il fenomeno dell’entanglement). Le parole, perciò, possono essere viste come insiemi di suoni giustapposti, così da creare “accordi” complessi, che formano significati.
– La stessa dinamica si applica alla scrittura, che in definitiva consiste nell’attingere da un bacino interiore di vibrazioni (emozioni-idee che coinvolgono tanto il cuore quanto la mente – ovvero, tanto la sfera emozionale quanto quella razionale).
– Scrivendo, l’autore dovrebbe adattarsi intuitivamente a tale flusso, lasciando che la sua mente “traduca” quella tavolozza interiore di vibrazioni in parole che la rendano perfettamente – ovvero, che lo faccia sentire in quel modo mentre scrive e, soprattutto, quando rilegge ciò che ha scritto
– Questo è l’effetto che dev’essere trasmesso ai lettori, e più l’autore aderisce a quel livello-base di se stesso, più efficace tale comunicazione risulta. È sostanzialmente lo stesso meccanismo che opera quando un compositore traduce le vibrazioni in musica, che in effetti è pura vibrazione, poiché è costituita esclusivamente da suoni che non sono strutturati in parole (ma senz’altro in frasi).
– Perciò, lo scrittore è prima di tutto un traduttore di vibrazioni. Ma può dirsi lo stesso di un traduttore (letterario) propriamente detto? Qui c’è un filtro – o un diaframma – in più: il testo originale, in particolare quando è opera di un altro autore. La difficoltà specifica consiste nell’accordarsi con quel mondo interiore – ovvero, l’insieme di vibrazioni intime (emozioni-idee) dell’autore – e con i tratti semantici-e-musicali della lingua-sorgente.
– Qui, come il mio collega Leonardo Masi (traduttore e musicista) correttamente evidenzia nel suo articolo Trascrizione e traduzione. Esperienze parallele in musica e poesia, il lavoro necessario è più simile a quello di un trascrittore di musica, il cui obiettivo è appunto quello di trasporre un intero complesso di vibrazioni appartenenti a un certo strumento in un altro strumento musicale. Alcuni passi sono più difficili per uno e più facili per un altro (strumento, e perciò anche universo linguistico), ma le difficoltà caratteristiche della partitura (e del testo) originale dovrebbero essere riprodotte senza soluzioni “facili”, quando hanno un effetto drammatico che è fondamentale per l’esito artistico.
– In definitiva, poiché un traduttore letterario non dovrebbe tradurre solo il significato (ovvero, il significato razionale delle parole), ma tutto il complesso di vibrazioni (significato + emozioni) che promana da un testo, dovrebbe sostanzialmente riscriverlo nella lingua di destinazione. Ciò gli lascia una certa libertà, che non è quella di “tradire” il testo originale (come nell’adagio “tradurre è un po’ tradire”), ma è la necessaria misura di flessibilità che rende possibile una più efficace trasposizione del complesso di vibrazioni relative a un’opera (e a una lingua) nel testo (e nella lingua) di destinazione. Specifiche difficoltà della prosa poetica e – ancor più – della poesia. Aura vibrazionale di “non detto” tipica della poesia, fin dalle sue origini nella tradizione orale (L. Masi).
– L’italiano, per esempio, come lingua neo-latina, è più “retorico” (il che non significa meno intenso, ma solo più “lungo” e “sinuoso”) dell’inglese e dello svedese. Così, quando si traduce da queste lingue in italiano, spesso è necessario esplicitare ciò che, nella lingua-sorgente, è più breve). Al contrario, quando si traduce dall’italiano, è consigliabile una misura in più di concisione.
– Inoltre, esistono tempi verbali e altre tipiche strutture di ogni lingua che non sono traducibili esattamente. Osservazioni nel mio articolo Traduzione, lingue e suono (su questo blog) e uso del pretérito indefinido in alcuni autori spagnoli o latino-americani.
– In altre parole, un traduttore letterario è a modo suo un autore. Diversamente da quanto alcuni credono, quando sostengono che dovrebbe essere neutrale e “asettico”, sono convinto che dovrebbe piuttosto aderire. Ma a che cosa? Precisamente, al mondo di vibrazioni che sostanzia l’opera letteraria che sta traducendo. Ciò comporta non solo la necessità di comprenderla, ma prima di tutto di sentirla, in modo da riuscire a scegliere le parole che veicolano precisamente le emozioni-e-idee che fuoriescono dal testo originale e “rivivono” nella sfera interiore del traduttore, un attimo prima che le metta giù su carta. Tradurre in questo stato di mente-e-cuore è sostanzialmente una questione di carpere diem, in modo piuttosto simile all’istantanea chiarezza delle intuizioni che si verificano meditando.
– Ciò è coerente col fenomeno sincronicistico dell’entanglement (v. ricerche di Jung e Pauli), che collega istantaneamente particelle subatomiche situate regioni estremamente lontane del cosmo, ben oltre le distanze che la luce potrebbe coprire in quell’intervallo di tempo. Da questa dimensione sembrano derivare intuizioni e improvvise emersioni d’ispirazione, nonché di immediate associazioni tra lingue diverse, che suggeriscono traduzioni che in precedenza non eravamo stati in grado di trovare, o quanto meno dimostrano che tutte le lingue sono in relazione tra loro – ove non da un punto di vista etimologico, da quello della loro (diversa) corrispondenza con un livello sotterraneo di “significati vibrazionali” che abitano la mente-e-cuore degli autori.
– Questa è la principale differenza tra la traduzione letteraria e quella tecnica, poiché la seconda dovrebbe sempre focalizzarsi esclusivamente sul significato ed essere il più letterale possibile, dato che non veicola un messaggio artistico (un complesso di vibrazioni), ma appunto un significato razionale che è fondamentale per vari aspetti pratici della vita, generalmente non collegati alla sfera emotiva.
A common territory between writing and literary translation
(a talk with Giovanni Agnoloni and Johan Arnborg)
– The origin of everything lays in sound (Tolkien’s Ainulindalë, John’s Gospel, quantum mechanics’ reference to the fact that everything is relation – Carlo Rovelli’s Helgoland + the phenomenon of “entanglement”). Words, therefore, can be seen as compounds of sounds juxtaposed so as to create complex “chords”, which embody meaning(s).
– The same dynamics applies to writing, which ultimately consists in drawing from an inner reservoir of vibrations (emotions-ideas that involve both the heart and the mind – in other words, both the emotional and the rational sphere).
– When writing, one should intuitively adjust to such a flow, by letting their own mind “translate” that inner palette of vibrations into words that render it perfectly – that is, that make them feel exactly that way while writing and, most of all, while reading over what they’ve written.
– That is the effect that must be conveyed to the readers, and the more the writer adheres to that basic layer of him/herself, the more effective such communication proves. It is substantially the same mechanism operating when a composer translates vibrations into music, which actually is pure vibration, since it only consists of sounds that are not structured into words (but, indeed, into phrases).
– So, the writer is first of all a translator of vibrations. But can the same be said of an actual (literary) translator? Here there’s one more filter, or diaphragm: the original text, particularly when it is by another author. The specific difficulty lays in tuning in to the inner world – that is, the inner set of vibrations (emotions-ideas) of the author – and to the semantic-and-musical features of the source-language.
– Here, as my colleague Leonardo Masi (a translator as well as a musician) correctly points out in his article Trascrizione e traduzione. Esperienze parallele in musica e poesia, the work required is more similar to that of a music transcriber, whose aim is to actually render a whole set of vibrations belonging to an instrument’s musical sphere into another one, related to a different instrument. Some passages are more difficult in one and easier in another (instrument, and therefore language), but the specific difficulties of the source score (and text) should be reproduced without “easy” solutions, when they have a dramatic effect that is crucial to the artistic outcome.
– Ultimately, since a literary translator should not just translate the meaning (the rational significance of a page), but the whole set of vibrations (meaning + emotions) emanating from a text, he/she should substantially rewrite it in the target language. This allows for some freedom, which is not that of “betraying” the original text (as per the Italian saying “tradurre è un po’ tradire”), but is the necessary measure of flexibility that makes possible a more effective transposition of one work’s (and one language’s) set of vibrations into the target text (and language). Specific difficulties of poetical prose and – even more – of poetry. Vibrational aura of “unsaid” typical of poetry, since its origins in the oral tradition (L. Masi).
– Italian, for instance, as a neo-Latin language, is more “rhetorical” (which does not mean less intense, but just longer and “curvier”) than English and Swedish. So, when translating from these languages into Italian, it is often necessary to make more explicit what, in the source language, is briefer). On the contrary, when translating from Italian, an additional measure of brevity is recommendable.
– Also, there are verbal tenses and other typical structures of each language that are not exactly translatable. Remarks in my article Traduzione, lingue e suono (on this blog) and use of the pretérito indefinido in some Spanish or Latin American authors.
– In other words, a literary translator is an author of his/her own. Contrary to what some believe, assuming that they should be neutral and “aseptic”, I believe that they should rather adhere. But to what? Actually, to the world of vibrations that embodies the work of literature they are translating. This implies not only understanding, but mostly feeling it, so as to be able to choose the words that convey precisely the emotions-and-ideas that stem from original text and “live again” in the translator’s inner sphere, just a second before being put down on paper. Translating in this state of mind-and-heart is pretty much a question of carpere diem, quite similarly to the instantaneous clarity of intuitions that occur in meditation.
– This is consistent with the synchronic phenomenon of entanglement (see the researches of Jung and Pauli), which instantaneously connects subatomic particles situated in extremely distant regions of the cosmos, far beyond the distance that the light could cover within that time-span. Intuitions and sudden emersions of inspiration, as well as immediate matches between different languages, which suggest translations we hadn’t been able to find before, seem to derive from this, or at least prove that all languages are in relation with one another – when not from an etymological point of view, from that of their (different) correspondence with a subterranean level of “vibrational meanings” inhabiting the mind-and-heart of the authors.
– This is the main difference between literary and technical translation, since the latter should always be exclusively focused on the meaning and as literal as possible, since it does not convey an artistic message (a set of vibrations), but a rational meaning that is crucial to practical aspects of life, generally unrelated to emotions.