SPIRITO DELLA (E NELLA) TRADUZIONE/SCRITTURA/MUSICA
Ieri, a lezione dal Maestro Ganesh Del Vescovo, riflettendo su varie interpretazioni della favolosa Ciaccona in re minore BWV 1004 di Johann Sebastian Bach (che lui ha interpretato magistralmente, nella sua trascrizione, all’ultimo concerto fiorentino di una settimana fa circa), mi è venuto in mente precisamente in che senso la pratica della musica – e sopratutto di uno strumento difficile come la chitarra -, pur da dilettante qual sono, mi aiuta a calarmi ancor più a fondo e sottilmente tanto nella scrittura quanto nella traduzione.

Ogni nota, come ogni parola, comporta la necessità di “trasferire”, che è un’attività comune alla scrittura e alla traduzione, come già ho avuto modo di enucleare durante i miei incontri universitari a Stoccolma e Uppsala a maggio insieme al mio traduttore svedese Johan Arnborg. Trasferire significa veicolare da un mondo (emozionale e concettuale) a un altro (verbale o musicale). In altre parole, proprio come un chitarrista deve dare a ogni nota il giusto timbro, volume ed eventuale accento (e, fondamentalmente, il giusto spirito), uno scrittore e un traduttore devono lasciar affiorare ogni parola non solo in base al loro significato, ma alla sensazione di (pro)fondo che vogliono evocare.
Quindi ha ragione l’amico e collega Leonardo Masi a scrivere che il traduttore è più un trascrittore che un esecutore strumentale, ma credo che, al contempo, sia – proprio come lo scrittore e lo stesso interprete musicale – una sorta di “medium” o di sensitivo, che deve far sentire gli altri esattamente come lui/lei sente il testo (o la musica) originale, o il suo stesso mondo interiore (quando ne è autore/autrice). Insomma, ci mette del suo, ma prima di tutto deve rendersi “trasparente”, il che non significa “assente” o privo di una propria voce, ma piuttosto un “tramite”.
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