Edvard Munch tra Follonica e la Norvegia (e “Il sorpasso”)

EDVARD MUNCH TRA FOLLONICA E LA NORVEGIA (E “IL SORPASSO”)

Mi trovo sospeso in un Ferragosto di relativa stasi fiorentina, di ritorno da Follonica e dal Ranch Hotel (sotto il colle di Scarlino), già sede, quasi un anno fa, di una presentazione di Da luoghi lontani, il concept-book di racconti che ho scritto con Carlo Cuppini e Sandra Salvato (per Arkadia Editore).

Dico “relativa stasi” perché in realtà sono in piena attività, con la traduzione del romanzo di Olivier Sorin Le nombril de Solveig giunta quasi a conclusione (lo troverete in libreria prima di Natale), gli splendidi versi del poeta serbo Dušan Gojkov che ho tradotto dall’inglese per il blog La Poesia e lo Spirito, dove sono da poco usciti, e naturalmente i miei libri in corso di stesura, ovvero il noir Ladro di stanze, in gran parte ambientato proprio al Ranch Hotel – anche se lì lo chiamo “Rancho”, in salsa sudamericana -, il romanzo di viaggio e critica socio-politica La via dell’altrove, di cui ultimamente vi ho parlato spesso, e il saggio narrativo Voci oltre il buio, sulle mie esperienze meditativo-spirituali.

Comunque, se il titolo di questo pezzo parla di Edvard Munch, il geniale e tormentato pittore norvegese, autore del celeberrimo quadro L’urlo, conservato nel Museo Nazionale di Oslo, e se l’ho collegato a Follonica, alla Norvegia (come del resto è ovvio) e a Il sorpasso, c’è un motivo. E il motivo sono in primis le foto che vedete qui, in gran parte scattate due sere fa al crepuscolo sulla spiaggia di Follonica vicino alla vecchia colonia marina (di cui avevo già parlato qua). Senza cercarlo, mi sono ritrovato davanti a un paesaggio dalle tinte e dalle atmosfere genuinamente munchiane – come in quella che raffigura di spalle il mio amico Francesco o nell’altra con le pozze lasciate sulla battigia dalla risacca.

Edvard Munch 1
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Spirito della (e nella) traduzione/scrittura/musica

SPIRITO DELLA (E NELLA) TRADUZIONE/SCRITTURA/MUSICA

Ieri, a lezione dal Maestro Ganesh Del Vescovo, riflettendo su varie interpretazioni della favolosa Ciaccona in re minore BWV 1004 di Johann Sebastian Bach (che lui ha interpretato magistralmente, nella sua trascrizione, all’ultimo concerto fiorentino di una settimana fa circa), mi è venuto in mente precisamente in che senso la pratica della musica – e sopratutto di uno strumento difficile come la chitarra -, pur da dilettante qual sono, mi aiuta a calarmi ancor più a fondo e sottilmente tanto nella scrittura quanto nella traduzione.

Spirito

Ogni nota, come ogni parola, comporta la necessità di “trasferire”, che è un’attività comune alla scrittura e alla traduzione, come già ho avuto modo di enucleare durante i miei incontri universitari a Stoccolma e Uppsala a maggio insieme al mio traduttore svedese Johan Arnborg. Trasferire significa veicolare da un mondo (emozionale e concettuale) a un altro (verbale o musicale). In altre parole, proprio come un chitarrista deve dare a ogni nota il giusto timbro, volume ed eventuale accento (e, fondamentalmente, il giusto spirito), uno scrittore e un traduttore devono lasciar affiorare ogni parola non solo in base al loro significato, ma alla sensazione di (pro)fondo che vogliono evocare.

Quindi ha ragione l’amico e collega Leonardo Masi a scrivere che il traduttore è più un trascrittore che un esecutore strumentale, ma credo che, al contempo, sia – proprio come lo scrittore e lo stesso interprete musicale – una sorta di “medium” o di sensitivo, che deve far sentire gli altri esattamente come lui/lei sente il testo (o la musica) originale, o il suo stesso mondo interiore (quando ne è autore/autrice). Insomma, ci mette del suo, ma prima di tutto deve rendersi “trasparente”, il che non significa “assente” o privo di una propria voce, ma piuttosto un “tramite”.

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