RIENTRO IN CITTÀ E NUOVI PROGRAMMI
Il viaggio in Norvegia è finito da meno di una settimana, ma in realtà non si è concluso. Come tutte le esperienze di viaggio, per me è stato una sorta di pellegrinaggio intimo, carico dell’energia dei luoghi, delle persone incontrate e delle risonanze interiori che ha sprigionato. Del resto, l’avevo scritto qui prima di partire: la Norvegia per me è sempre stata il segno di un passaggio definitivo – della chiusura di una fase della vita e dell’apertura di un’altra.

Così, mentre qui pubblico alcune delle tante foto che ho scattato durante i dieci giorni di viaggio (e che potete trovare più numerose sui miei profili Facebook –questo e questo – e Instagram), non posso non pensare al mio rientro in città (la da me amata e detestata Firenze) come a un momento di necessaria ripartenza. E non penso solo al lavoro – ho appena finito la revisione della mia traduzione del romanzo dell’autore francese Olivier Sorin Le nombril de Solveig, che uscirà in Italia prima di Natale, e la scrittura del mio romanzo di viaggio e critica storico-sociale La via dell’altrove procede bene -; no, penso a tutto ciò che in genere si associa al rientro in città, e che, non lo nego, a volte affligge anche me, anche se oggi molto meno di prima. Noia, nevrosi, stasi, difficoltà a ripartire.

Il punto è la coscienza che si ha del proprio percorso, che è anche la radice dell’autostima e del rapporto che si ha con l’Altro, inteso come “dimensione del dovere” o delle aspettative altrui, o delle mode e del riconoscimento riservato a chi vi s’intona e del (relativo) successo a ciò collegato. Tutto questo, e le aspirazioni sovente frustrate che vi si accompagnano, sono purtroppo ingredienti tossici della dimensione del “rientro in città”. Tanto che in passato m’infastidiva perfino l’espressione “ritorno”. Rientrando da un viaggio, dicevo “vado a Firenze”, non “torno a Firenze”. Oggi posso usare questa parola senza che mi venga l’orticaria, perché il punto è che non si tratta di parole. Si tratta di prendere atto del fatto che siamo comunque immersi in un flusso, in cui il Lì e il Qui sono dimensioni puramente relative, continuamente mutevoli. L’unico centro che conta è il centro interiore, la coscienza del Sé, insieme al piano esistenziale che se ne dipana.

Il rientro in città, così, è sì un banco di prova, ma solo per fortificarci, per forgiarci nel tirar fuori e dare attuazione alla nostra vocazione, alla nostra “voce”. Artisticamente, questo lo vivo nel prendere costantemente atto delle bizzosità del mercato editoriale, che non solo è in crisi come un po’ tutti i settori, ma – da sempre, del resto – segue logiche sue, non necessariamente corrispondenti alla genuina propensione tematica e stilistica di chi scrive. Ma il lavoro di un artista, in qualunque campo – penso anche a tanti amici musicisti – consiste nel dare voce a un mondo interiore genuino e non “prono”, che si specchia costantemente con quello esterno (i lettori, gli ascoltatori, non il “mercato”), in un’osmosi, uno scambio intimamente proficuo per il singolo “creativo” e per i fruitori del suo lavoro. Con i tempi e le inevitabili attese (a pazienze) che ciò comporta, quando questo si deve tradurre in opera da “vendere”. Ma a questo si può pensare soltanto dopo avere scritto, non mentre lo si fa. Altrimenti tanto varrebbe fare un lavoro qualunque.

“Rientro in città”significa dunque (almeno per me) saper trovare quella “Norvegia perenne” colta in mille scorci di paesaggi naturali e urbani, o in incontri con persone importanti (in questo viaggio, penso agli amici Emilia e Marcin in primis, ma anche al felice incontro con Silje e alla splendida ospitalità della comunità italiana di Stavanger, raccolta intorno alla Società Dante Alighieri, dove sono intervenuto), perfino nell’apparente deserto di certe logiche locali (fiorentine o di altri “qui”). Significa, insomma, sapere che esiste una voce in noi che risponde alle nostre esigenze più profonde, e che passa attraverso il nucleo della coscienza, ed è sempre lì, accesa e operante, anche quando magari nella posta elettronica non ci arrivano le risposte che aspettiamo e speriamo di ricevere, o quando qualche professionista cafone risponde sgarbatamente a un’e-mail educata. In altre parole, rimanere ancorati a quell’Ognidove interiore significa “porgere l’altra guancia”, cioè girarsi dall’altra parte, quella giusta, quella del nostro piano esistenziale, anche laddove le dinamiche “di questo mondo” ci sfuggono per motivi loro (e questo vale per il lavoro, per le amicizie, per i sentimenti, per tutto).

Il rientro in città, allora, è un po’ come il periodo trascorso da Gesù nel deserto. Perché la città è la dimensione del deserto spirituale, della grettezza e della bruschezza. Saper rientrare in città senza cadere in queste trappole (o tentazioni) significa dunque farlo interagendo sempre prima di tutto con l’Ognidove che ci portiamo dentro, ovvero con la nostra parte spirituale – o, per chi ha fede, guardare le cose “dal punto di vista di Dio”, come dice sempre il mio amico e parroco Don Marco Cioni. Se la città ci fa “sgrunt”, guardare dentro, non verso la città, e fregarsene. Non reagire, e Dio (sempre Lui) sa quando volte il sottoscritto si è incazzato (generalmente a vuoto, anche se qualche volta “ci stava”). Da qui inizia un percorso di autentica realizzazione, che non è quella che dipende dagli applausi e dai Like – per quanto questi non siano neanche il male in sé -, ma dal dispiegarsi nel mondo di un piano vocazionale ben più profondo ed essenziale del compiacimento che nasce dai ghigni di approvazione di sodali più o meno in competizione con noi (veri amici esclusi, ovviamente).

Il rientro in città, in questo senso, è l’evangelica “porta stretta”, la prova che non è possibile eludere per riuscir bene nella vita. Il primo passo che, se fatto col piede giusto, poi permette di procedere in discesa, ma in caso contrario pregiudica tutto. A noi la scelta, dunque, o se preferiamo il “rientro in città” che più ci si confà.
Venendo a noi: preannuncio un po’ di eventi su cui poi tornerò più nel dettaglio. Il 16 settembre (alle ore 19) presenterò a Firenze, presso OVA, il romanzo della collega scrittrice e traduttrice Olivia Crosio La mentalità della sardina (Arkadia Editore, 2022), imperniato su un’esperienza di cammino sulla Via Francigena. Il 23 settembre sarò a Ormea (CN) per la cerimonia del Premio “La Quercia del Myr”, cui sono grato per il riconoscimento che mi è stato dato come traduttore dell’anno per il 2023. Il 27 (alle 18,30) terrò insieme a Carlo Cuppini e Sandra Salvato un incontro dal tema “Gli orizzonti del viaggio” presso la libreria Brac (partendo dal nostro libro comune Da luoghi lontani e dal mio romanzo Viale dei silenzi), sempre a Firenze. E il 30 sarò a Sperlonga (LT) per un incontro sempre sul tema del viaggio con un’associazione di studenti (poi vi darò maggiori informazioni).
Come sempre, ci s’aggiorna!