Primavera e consapevolezza

PRIMAVERA E CONSAPEVOLEZZA

Primavera

Giovanni Pascoli, nella poesia L’aquilone, scriveva: “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, / anzi d’antico”, riferendosi all’arrivo della primavera. Una miglior istantanea del rinnovamento dell’aria di questo inizio di stagione non si potrebbe immaginare. In questi giorni – pur sapendo che sta per arrivare una nuova sferzata di freddo – l’ho sperimentato. Anzi, proprio in questa commistione di novità e “ancestralità” dell’energia primaverile ho colto una delle dimostrazioni del fatto (comprovato dalla fisica quantistica) che il tempo, in definitiva, non esiste, dunque è perfettamente normale sentir vibrare nell’aria frequenze correlate a emozioni appartenenti a epoche lontane. Non mi riferisco solo all’infanzia (aspetto approfondito nei racconti della mia prossima pubblicazione condivisa con Carlo Cuppini e Sandra Salvato, Da luoghi lontani, in uscita per Arkadia Editore il 14 aprile), ma ai sogni, alle emozioni e alle realtà percettive di altre epoche.

Personalmente, la primavera mi evoca giornate assolate pomeridiane in salsa medievale, un po’ come in certi episodi del Decameron o dei Racconti di Canterbury di Pier Paolo Pasolini. Oppure certi scenari liberi e percorsi dal vento delle praterie di Rohan nel Signore degli Anelli di Tolkien.

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Intuizioni narrative (e non)

INTUIZIONI NARRATIVE (E NON)

Intuizioni

Piccola considerazione, ma per me importante in questo tempo di chiarimenti e di svolte. Sapete (o, se non lo sapete, ve lo dico ora) che non costruisco mai a tavolino le trame dei miei libri, ma aspetto che mi si rivelino via via che procedo. Così facendo ho messo su una quadrilogia molto articolata (Internet. Cronache della fine, Galaad Edizioni), ma in cui, come per miracolo, alla fine tutto è chiaro e si ricollega al resto.

Oggi, lavorando al mio romanzo post-distopico, mi sono reso conto di come le idee che vengono per una trama che attinge dal profondo siano coincidenti – o comunque consonanti – con le chiare intuizioni che, in un processo di autoconoscenza, arrivano a illuminare momenti della nostra vita su cui aleggiavano ancora dei punti di domanda. A un certo punto ti sembra tutto di una nitidezza disarmante, e quasi ti chiedi come tu abbia fatto a non capirlo prima.

Scrivere è più o meno la stessa cosa: lasciare che la storia suggerisca essa stessa le risposte, che i personaggi si manifestino e rivelino chi sono (un po’ come quando, scrivendo il suo capolavoro Il Signore degli Anelli, Tolkien “vide” Grampasso-Aragorn nella locanda del Puledro impennato) e seguire questo flusso con la calma e la fiducia dell’artigiano o del musicista che affina una tecnica.

In fondo, è così anche il tradurre: spesso, infatti, capita di “vedere” subitaneamente la traduzione perfetta per un termine rimasto lì in sospeso a decantare, magari per giorni interi. E il “solitario” (che in realtà, qui, è un dialogo a più voci) viene bene.

Spero che questo vi arrivi come un messaggio di fiducia, applicabile a ogni ambito artistico e professionale (e non solo). Tutto è uno, e la vita che viviamo è sempre in risonanza con il nostro mondo interiore.

P.S.: se vi interessa approfondire le tematiche tolkieniane, vi raccomando la raccolta di studi da me curata, in edizione bilingue italiana e inglese, Tolkien. Light and Shadow (Kipple Officina Libraria). La copertina è un dettaglio di un quadro di mio padre Giorgio Agnoloni.

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