Danzica tra scrittura e traduzioni (e Praga)

DANZICA TRA SCRITTURA E TRADUZIONI (E PRAGA)

Le ultime giornate per me sono state letteralmente di silenzio. Un brutto raffreddore mi ha provocato un calo di voce da cui per fortuna sto riemergendo giusto in tempo per la prossima partenza per la Polonia, dove il 20 e il 21 aprile, su invito dell’Università di Danzica, terrò (male che, vada, parlando a gesti), due incontri con gli studenti di Italianistica della Prof.ssa Dorota Karwacka-Pastor, che da anni segue il mio lavoro a livello accademico, insieme alla sua dottoranda Karolina Kopańska, e recentemente ha pubblicato in Italia, per la mia traduzione dal polacco, il suo articolo Mondo senza Internet. Paura e inquietudine nei romanzi di Giovanni Agnoloni, uscito sul n. 2 del 2023 della rivista ContactZone, a cura dell’AISFF (Associazione Italiana per lo Studio della Fantascienza e del fantastico).

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Foto del porto di Danzica (da me scattata anni fa)

Sabato 20 converserò dunque con loro sul tema di tutto il mio percorso di scrittore, anche nel quadro di alcune tendenze della narrativa italiana contemporanea – in primis il movimento connettivista, dal quale il mio percorso di narratore ha avuto inizio e della cui poetica la tetralogia distopica Internet. Cronache della fine (Galaad Edizioni) è mia personale espressione. Ma grande enfasi porrò anche sul tema dei luoghi, centrale in tutta la mia produzione narrativa, come evidenziato, oltre che dalla tetralogia, dagli altri altri romanzi di stampo realistico, ovvero Viale dei silenzi (Arkadia Editore) e Berretti Erasmus (Fusta Editore), oltre che dal concept-book di racconti Da luoghi lontani, che ho scritto insieme a Carlo Cuppini e Sandra Salvato (sempre per Arkadia).

Domenica 21 invece l’incontro si svolgerà un po’ sulla falsariga dei laboratori universitari di diritto cui partecipavo alla University of Leicester durante l’Erasmus (e che pure evoco nel summenzionato Berretti), ovvero partendo da esempi concreti di testi miei (ma anche di qualche altro autore che stimo), per svolgere un’analisi della genesi e dello svolgimento del processo creativo anche dal punto di vista stilistico e lessicale. Insomma, pur se non si parlerà di traduzione in senso stretto, riprenderò il filo delle mie riflessioni su scrittura come “traduzione da uno spartito interiore” che ho condotto in qualche video sul mio canale Youtube (per esempio qua).

La lingua, cioè, utilizzata come strumento di espressione artistica, si presta plasticamente a veicolare una visione (del mondo esterno e di quello interiore) sostanzialmente nello stesso modo quando si scrive e quando si traduce – anche se, nel secondo caso, passa attraverso il “filtro” del punto di vista dell’autore originario, che va sempre rispettato. Ecco perché non vedo una rigida separazione tra il mio lavoro di scrittore e quello di traduttore. Me ne rendo conto particolarmente bene adesso che sono a una sorta di crocevia tra vari progetti di scrittura e traduzione in corso, dato che ho terminato il mio romanzo La via dell’altrove, di cui una parte verso la conclusione si ambienta per l’appunto a Danzica, e parallelamente sto portando avanti il saggio narrativo Voci oltre il buio, imperniato sui miei percorsi meditativi e spirituali, e il mio secondo noir ambientato tra Toscana e Umbria. Non solo, ma mi appresto a iniziare a breve la scrittura di un nuovo libro di viaggio, sul quale per adesso non posso anticiparvi nulla.

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Tra l’altro, altri due capitoli de La via dell’altrove si ambientano a Praga, e per pura coincidenza (anche se le coincidenze non esistono), sulla via del ritorno da Danzica, per praticità di combinazioni di voli verso Firenze – ma naturalmente con piacere – passerò dalla capitale ceca, dove venerdì 26 aprile alle ore 17 parlerò del mio lavoro con il personale e i lettori della sede locale della Società Dante Alighieri.

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Nel contempo, come dicevo, le traduzioni (che porterò avanti anche in viaggio, dato che, a dispetto degli jodedores – meraviglioso cubanismo ma non solo -, io lavoro sempre, sabati e domeniche incluse, anche in viaggio): è infatti appena uscito per I Libri di Mompracem il romanzo Il segreto di Solveig, prima opera edita in Italia dell’autore francese Olivier Sorin, che mi ha impegnato (insieme ai revisori Alessandro Gianetti e Marino Magliani) per buona parte dello scorso anno. Lo presenterò insieme all’autore il 5 giugno a Itaca, la residenza letteraria fiorentina di Paolo Ciampi che è anche sede della casa editrice del libro. Il 6 giugno invece lo presenteremo alla libreria “Civico 14” a Marina di Pisa.

Intanto, però, procede anche la mia nuova lunga traduzione, di un altro grande libro dello scrittore cubano Amir Valle, dopo la pubblicazione dell’anno scorso del romanzo Il santuario delle ombre (Golem Edizioni), per il quale è stato già fissato un firmacopie (con me in veste di traduttore) allo stand della casa editrice al Salone del Libro di Torino per l’11 maggio tra le ore 18 e le 19.

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Altri progetti traduttivi dall’inglese, dallo spagnolo e dallo svedese sono poi in preparazione, ma è troppo presto per parlarne. Intanto, con silenzioso ma non per questo meno intenso affetto, vi mimo… pardon, mando i miei più cari saluti.

Da Roma a “Testo” (in attesa di Torino)

DA ROMA A “TESTO” (IN ATTESA DI TORINO)

Una delle considerazioni più antipatiche che chiunque faccia un lavoro non “normale” – cioè d’ufficio e con un orario fisso, o anche da libero professionista ma negli ambiti “canonici” tipo l’avvocatura o la consulenza commercialistica, o ancora da artigiano o da imprenditore (dunque inerente a cose “materiali” e “misurabili”) – è quella secondo cui, fondamentalmente, non lavorerebbe. Sono anni che, da scrittore, traduttore letterario e blogger, mi scontro con questa mentalità. O meglio, mi ci scontravo, perché ora mi limito a prendere atto che esiste e proseguo per la mia strada.

Difficile, e probabilmente ozioso, capire a cosa è dovuta. Col tempo, mi sono fatto l’idea che dipenda da un certo qual pregiudizio verso le professioni artistiche, dato che è evidente a tutti coloro che operano in questi ambiti che la quantità di ore di lavoro, di stress e di semplice dedizione è enorme, a fronte di guadagni spesso non propriamente ricchi. Solo che chi le svolge viene tacciato di dedicarsi a un “hobby”, laddove il negoziante, l’artigiano o l’imprenditore, che pure magari contraggono debiti o riescono a stento a “far pari” con gli incassi, sono considerati lavoratori a pieno titolo.

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Una mia foto dall’ultima edizione di “Più Libri Più Liberi”

Ecco perché trovo che le fiere commerciali librerie (come Più Libri Più Liberi a Roma, Testo a Firenze o il Salone del Libro di Torino, che sono quelle che di solito frequento) siano un momento importante non solo dal punto di vista dei contatti professionali che possono fruttare a un autore o a un traduttore, ma proprio come elemento di prova del fatto che, ogniqualvolta si parla di scrittura (anche sub specie di attività di traduzione letteraria), si parla di lavoro, esattamente come quando si parla di giornalismo o di altre attività intellettuali.

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Nuovi articoli

NUOVI ARTICOLI

Sono usciti da poco in rete due miei nuovi articoli: il primo – sul blog Letteratitudine – sull’esperienza di tradurre dallo spagnolo il romanzo Il santuario delle ombre di Amir Valle (da poco uscito per Golem Edizioni), e il secondo – su La Poesia e lo Spirito – su tre opere di, su e tradotta da Marino Magliani, ovvero il romanzo Il bambino e le isole (Un sogno di Calvino) (66th&2nd), l’opera critica Calvino, Biamonti, Magliani. Il racconto del paesaggio, lo sguardo, la luce (di Luigi Marfè, Claudio Panella, Luigi Preziosi e Fabrizio Scrivano) (ed. Exòrma) e il volume Islario fantastico argentino (di Salvador Gargiulo, Alejandro Winograd, Gonzalo Monterroso e Alberto Muñoz) (ed. Tarka).

Ecco un estratto del primo dei due nuovi articoli:

Nuovi articoli

“L’esperienza di tradurre Il santuario delle ombre di Amir Valle è stata una delle più intense di tutta la mia carriera. E non tanto per il rapporto di amicizia che ci lega, che pur rende sempre piacevole approcciarmi alle sue opere e mi permette di chiarire con lui vari aspetti del testo – del resto, ne avevo già avuta prova traducendo i suoi romanzi Le porte della notte e Non lasciar mai che ti vedano piangere. Intendo dire che il vero motivo è precisamente il libro. La qualità della scrittura di Amir, soprattutto ne Il santuario delle ombre, è così alta, complessa e articolata, ma al contemplo godibilissima e avvolgente, straziante e sconvolgente, lirica e perfino, a tratti, comica, da rendere impossibile qualunque distrazione. Semplicemente, ti trascina in un gorgo spaventoso e bellissimo, nel quale le parole evocano ritmi e significati con vividezza tridimensionale o forse addirittura multidimensionale.” (continua qui)

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Il santuario delle ombre recensito da Francesco Improta

IL SANTUARIO DELLE OMBRE RECENSITO DA FRANCESCO IMPROTA

Su RPLibri è uscita una bellissima recensione del Prof. Francesco Improta del romanzo da me tradotto Il santuario delle ombre dello scrittore cubano Amir Valle (recentemente uscito per Golem Edizioni). Cito l’inizio del pezzo, ringraziando il Prof. Improta per le parole che ha speso sul mio lavoro di traduzione e rimandandovi al sito per la versione integrale:

“Da poco più di un mese è arrivato in libreria, nella sontuosa traduzione di Giovanni Agnoloni, Il santuario delle ombre di Amir Valle, scrittore cubano che attualmente vive e lavora a Berlino. Come si può leggere sul suo sito internet, “Amir non abita (più) a Cuba ma Cuba abita (sempre) in lui”, nel senso che egli è visceralmente legato alla sua terra d’origine e non può prescindere da essa. Non solo i suoi libri, di fiction o di saggistica poco importa, sono ambientati a Cuba ma affrontano anche e soprattutto i problemi e le contraddizioni, le aspettative e le delusioni, la corruzione e le paure di quest’isola caraibica. Ne Le Porte della notte, tradotto sempre da Agnoloni e pubblicato in Italia nel 2013, un anno dopo Non lasciar mai che ti vedano piangere, Valle aveva affrontato una delle piaghe peggiori del nostro tempo, la pedofilia spesso contrabbandata sotto l’etichetta, già di per sé disdicevole e vergognosa, di turismo sessuale così diffuso nell’America centrale e meridionale, qui, ne Il santuario delle ombre,  denuncia un fenomeno ancora più drammatico: la fuga dei cubani dal regime, nell’illusione di un futuro migliore, che finiscono vittime dei cosiddetti traghettatori che li derubano, li uccidono e li gettano a mare (si parla di oltre 20.000 cubani finiti in questo modo). Alla storia reale, corredata da fatti realmente accaduti e personaggi veramente esistiti, che ha non poche consonanze con le migrazioni verso l’Europa di africani disperati che cercano di sfuggire alla guerra o alla miseria e che spesso diventano cibo per i pesci del Mediterraneo, s’intreccia una vicenda di fantasia, a mezzo tra l’inchiesta giornalistica e il noir.”

Il santuario delle ombre
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Premio Traduttore 2023 e nuovi appuntamenti

PREMIO TRADUTTORE 2023 E NUOVI APPUNTAMENTI

Sono di ritorno da Ormea, dove ho ricevuto il Premio Traduttore 2023 dagli organizzatori del Concorso Letterario La Quercia del Myr, che ringrazio ancora per avermi scelto e per la splendida ospitalità in questo bellissimo borgo del cuneese. Qui un articolo uscito sulla stampa locale.

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Ho condiviso la serata, oltre che con i partecipanti e i lettori del concorso letterario – del quale è risultata vincitrice assoluta la scrittrice milanese Paola Varalli col romanzo Tira mòlla e messèda (edito da Todaro) -, con gli altri ospiti invitati per vari riconoscimenti, ovvero la direttrice artistica del Festival letterario savonese “Parole ubikate in mare” Renata Barberis (in rappresentanza della saggista e psicoterapeuta Gianna Schelotto, destinataria del Premio alla Carriera e impossibilitata a essere presente) e gli scrittori Franco Faggiani (Premio Montagna) e François Morlupi (premiato come Giallista).

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Mondo di dentro vs (o nonostante) mondo di fuori

MONDO DI DENTRO VS (O NONOSTANTE) MONDO DI FUORI

Ormai sono anni che lavoro sulla mia interiorità e, tra alti e bassi, disgrazie e fortune, posso dire di aver raggiunto, col prezioso aiuto di un naturopata straordinario come Andrea Cappelletti e il supporto spirituale di chi mi assiste al di qua e al di là del confine, un risultato importante: staccarmi dai condizionamenti del mondo e focalizzarmi su ciò che amo – scrivere, tradurre, studiare le lingue, suonare la chitarra, e viaggiare nella misura in cui ciò è funzionale e coerente rispetto ai punti che precedono.

Questo non mi esenta dai giramenti di scatole, soprattutto verso furbetti, ipocriti e veri e propri delinquenti (non mi riferisco solo alla sfera politico-lobbistica, quando è tale, ma anche a conoscenze private). Tuttavia, mi fa capire – ne parlavo poco fa con un amico – che anche i giramenti di scatole sono spunti o “lezioni” del destino per aiutarci in uno sviluppo personale che passa attraverso le cose del mondo, ma fondamentalmente non è “del” mondo, perché attiene alla dimensione dello spirito.

È la logica evangelica del “non estirpare la zizzania prima del tempo”, ma del concentrarsi piuttosto sul coltivare il tesoro interiore.

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La casa e il giardino di Francesco Petrarca ad Arquà (foto mia)
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Spirito della (e nella) traduzione/scrittura/musica

SPIRITO DELLA (E NELLA) TRADUZIONE/SCRITTURA/MUSICA

Ieri, a lezione dal Maestro Ganesh Del Vescovo, riflettendo su varie interpretazioni della favolosa Ciaccona in re minore BWV 1004 di Johann Sebastian Bach (che lui ha interpretato magistralmente, nella sua trascrizione, all’ultimo concerto fiorentino di una settimana fa circa), mi è venuto in mente precisamente in che senso la pratica della musica – e sopratutto di uno strumento difficile come la chitarra -, pur da dilettante qual sono, mi aiuta a calarmi ancor più a fondo e sottilmente tanto nella scrittura quanto nella traduzione.

Spirito

Ogni nota, come ogni parola, comporta la necessità di “trasferire”, che è un’attività comune alla scrittura e alla traduzione, come già ho avuto modo di enucleare durante i miei incontri universitari a Stoccolma e Uppsala a maggio insieme al mio traduttore svedese Johan Arnborg. Trasferire significa veicolare da un mondo (emozionale e concettuale) a un altro (verbale o musicale). In altre parole, proprio come un chitarrista deve dare a ogni nota il giusto timbro, volume ed eventuale accento (e, fondamentalmente, il giusto spirito), uno scrittore e un traduttore devono lasciar affiorare ogni parola non solo in base al loro significato, ma alla sensazione di (pro)fondo che vogliono evocare.

Quindi ha ragione l’amico e collega Leonardo Masi a scrivere che il traduttore è più un trascrittore che un esecutore strumentale, ma credo che, al contempo, sia – proprio come lo scrittore e lo stesso interprete musicale – una sorta di “medium” o di sensitivo, che deve far sentire gli altri esattamente come lui/lei sente il testo (o la musica) originale, o il suo stesso mondo interiore (quando ne è autore/autrice). Insomma, ci mette del suo, ma prima di tutto deve rendersi “trasparente”, il che non significa “assente” o privo di una propria voce, ma piuttosto un “tramite”.

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Quel giorno d’estate

QUEL GIORNO D’ESTATE

Poi dice che gli scrittori che vanno a letto tardi si gingillano – un po’ come Joseph Conrad alla finestra secondo sua moglie, nella celebre storiella che gira da anni e che potrebbe anche essere del tutto inventata (v. qui).

Ieri ho fatto l’una di notte per vedere un film francese pressoché sconosciuto: Quel giorno d’estate (titolo originale: “Amanda”) di Mikhaël Hers, con vari attori tra cui Vincent Lacoste, Stacy Martin, la giovanissima protagonista Isaure Multrier e (in una parte minore) la più nota Greta Scacchi. Pellicola in tipico stile transalpino, con uno speciale gusto delle atmosfere e delle ambientazioni, e soprattutto un’eccezionale capacità di rappresentazione dei dettagli delle cose quotidiane nel – ed è un “nel” importantissimo – raccontare una tragedia. Ovvero, la morte della sorella del protagonista, madre di una bambina di 7-8 anni, e la scelta del fratello della donna (e zio della piccola), appena ventiquattrenne, di prendersi cura di lei.

Quel giorno d'estate
Foto della locandina italiana, tratta da Youtube
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Tesoro oltre l’ombra

TESORO OLTRE L’OMBRA

Credo che una delle frasi letterariamente più viscerali e rivelatrici di tutta la tradizione occidentale sia contenuta nel Vangelo di Matteo, al capitolo 13 (52):

“Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.”

Poche volte, assistendo alla messa come ieri (perché non sono uno di quegli scrittori che si vergognano della propria fede, ché a dichiararla “si rischia di passare da fessi”, come una volta ebbe a dire un noto editor a un evento a cui partecipavo), ho sentito una frase risuonare con me con tanta forza. È stato così proprio perché scrivo, e perché ho capito che quel tesoro – che è il “Regno dei Cieli” – è la centratura nel Sé di cui parlo sempre. E da quel tesoro, che si annida oltre l’Ombra – di cui uno scrittore (come tutti, del resto) non deve aver paura – scaturiscono nuove visioni inevitabilmente legate alle radici ancestrali dell’essere, alla sapienza originaria trasmessa dal “passato”, in un continuo afflato creativo – anche perché, sulla scala ultima delle cose (che è quella dalla quale lo spirito agisce nella realtà macroscopica), il tempo non esiste.

Tesoro

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Domande e (forse) risposte

DOMANDE E (FORSE) RISPOSTE

Oggi, parlando al telefono con un vecchio amico, che è anche un mio consulente finanziario, è venuta fuori una cosa che sapevo bene, ma che prima mi dava fastidio sentire, mentre stavolta mi ha dato soddisfazione.
“Giovanni è uno che fa sempre domande difficili”, ha detto ridendo con bonomia dopo averci spiegato varie cose tecniche (eravamo in viva voce anche con mia madre).

È vero. Me ne rendo conto adesso come non mai, forse perché sto scrivendo un libro, La via dell’altrove, pieno di domande importanti, molte delle quali già so essere probabilmente destinate a restare senza risposta.

È così fin dal tempo dell’università, a Giurisprudenza, quando a un seminario sulle autorità garanti formulai il quesito di chi avrebbe controllato tali garanti (seguendo la massima latina “Quis cutodiet istos custodes”?). E lo feci senza alcuno spirito polemico: pensavo semplicemente a una sorta di Corte Costituzionale delle autorità garanti, o magari (pia illusione!) a una nuova competenza della Consulta.

Ricordo che in aula cadde il gelo e nessuno rispose alla mia domanda.

Questo in buona parte (a parte la mia vocazione letteraria e linguistica) risponde alla domanda che tanti mi fanno del perché non abbia mai ambito a diventare un avvocato o un magistrato (e dire che avrei potuto provarci, certo facendomi un gran culo, data la laurea con lode). E spiega anche perché abbia fatto da assistente al mio prof solo per un mese (a parte le traduzioni di cui avevo iniziato a occuparmi e che richiedevano tempo).
Il fatto è che a me piacevano – e piacciono – gli ambienti in cui a chi pone una domanda si dà una risposta. E il gelo non è mai una risposta.

Domande

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