DA ROMA A “TESTO” (IN ATTESA DI TORINO)
Una delle considerazioni più antipatiche che chiunque faccia un lavoro non “normale” – cioè d’ufficio e con un orario fisso, o anche da libero professionista ma negli ambiti “canonici” tipo l’avvocatura o la consulenza commercialistica, o ancora da artigiano o da imprenditore (dunque inerente a cose “materiali” e “misurabili”) – è quella secondo cui, fondamentalmente, non lavorerebbe. Sono anni che, da scrittore, traduttore letterario e blogger, mi scontro con questa mentalità. O meglio, mi ci scontravo, perché ora mi limito a prendere atto che esiste e proseguo per la mia strada.
Difficile, e probabilmente ozioso, capire a cosa è dovuta. Col tempo, mi sono fatto l’idea che dipenda da un certo qual pregiudizio verso le professioni artistiche, dato che è evidente a tutti coloro che operano in questi ambiti che la quantità di ore di lavoro, di stress e di semplice dedizione è enorme, a fronte di guadagni spesso non propriamente ricchi. Solo che chi le svolge viene tacciato di dedicarsi a un “hobby”, laddove il negoziante, l’artigiano o l’imprenditore, che pure magari contraggono debiti o riescono a stento a “far pari” con gli incassi, sono considerati lavoratori a pieno titolo.
Ecco perché trovo che le fiere commerciali librerie (come Più Libri Più Liberi a Roma, Testo a Firenze o il Salone del Libro di Torino, che sono quelle che di solito frequento) siano un momento importante non solo dal punto di vista dei contatti professionali che possono fruttare a un autore o a un traduttore, ma proprio come elemento di prova del fatto che, ogniqualvolta si parla di scrittura (anche sub specie di attività di traduzione letteraria), si parla di lavoro, esattamente come quando si parla di giornalismo o di altre attività intellettuali.
A ciò si aggiunge la circostanza che queste fiere permettono a chi normalmente vive le proprie giornate (sia pur beatamente) isolato dalla “pazza folla”, di immergersi in un caravanserraglio creativo eppur concretissimo, che rappresenta un momento di felice confronto con colleghi e altri professionisti del settore, che la frenesia della quotidianità spesso impedisce.
Coincidenza vuole che questa fase intermedia tra la Fiera di Roma e, appunto, Testo, che si svolgerà alla Stazione Leopolda tra il 23 e il 25 febbraio, quest’anno costituisca per me un momento di grande fluidità di lavoro. Non solo perché, come sapete se seguite questo blog, la scrittura dei miei due romanzi (e soprattutto de La via dell’altrove) e del mio saggio narrativo Voci oltre il buio in corso di preparazione procede spedita, e le nuove traduzioni sono in fase di pubblicazione (ricordo il da poco uscito Träbild di Christian Stannow per Ortica Editrice) e presto inizieranno a essere presentate in giro. Il motivo è anche un altro: fin da Roma, ho avuto la netta impressione, che confido possa crescere passando per Testo a Firenze e approdando poi al Salone del Libro torinese, che finalmente il mercato editoriale, dopo le ristrettezze del periodo pandemico e della fase immediatamente successiva, stia ripartendo a pieno regime.
Su Testo, in particolare, va poi detta una cosa: la sua impostazione “per temi” sottolinea bene il carattere operativo dei tanti mestieri dell’editoria, da quello di autore a quello di traduttore, dalla redazione dei testi alla loro diffusione commerciale, passando per la grafica, il marketing e altre sfaccettature professionali di questo settore. Viene cioè fuori quello che dicevo all’inizio, ovvero che il fare cultura attraverso i libri è lavoro nel senso pieno del termine. E che la lettura, la scrittura, la traduzione e – come spesso sottolineo anche sul mio canale Youtube – lo stesso studio delle lingue e la relativa pratica, sono attività trasformative, ancor prima che “creative”, funzionali a una produzione concreta di opere e di iniziative d’incontro e scambio che hanno una grande forza propulsiva come generatrici di ricchezza e indotto. Anche se con una gradualità che non è certo quella dei mestieri “di massa”, come il turismo, che dopo il crollo pandemico è ripreso andando subito alle stelle.
Tuttavia, sappiamo bene come come il turismo di oggi sia “mordi e fuggi”, standardizzato e ritualizzato secondo le logiche del consumo, e non fatto di consapevolezza e approfondimento – proprio le dimensioni che sono invece al centro dei mestieri che mi onoro di svolgere, di scrittura e traduzione, e di tanti altri rientranti nel novero editoriale, i cui risultati si vedono più con il passare del tempo, se si hanno la pazienza e la costanza di coltivarli quotidianamente.
Testo, poi, ha la particolarità di destinare lo stesso spazio – un ampio tavolo – a tutti gli editori partecipanti, il che rappresenta senza dubbio un altro elemento d’interesse, perché azzera, almeno formalmente, le differenze tra le major e le piccole case editrici, che spesso spiccano per la grande qualità della loro offerta. Ciò va a riequilibrare l’impressione che a volte si ha di essere “riusciti” come operatori del settore solo se si interagisce con le “big”, mentre è vero che ciò che fa la differenza sono, a prescindere dalle dimensioni aziendali, la serietà e la professionalità – precisamente le qualità che chi scrive e traduce (non per hobby) mette in ogni singola parola, frase e pagina.
L’auspicio è dunque che la progressione Roma-Firenze-Torino (paradossale inversione dell’ordine cronologico delle capitali italiane) rappresenti realmente una fase di crescita e realizzazione non solo per me, ma per tutti i colleghi che operano ispirandosi a questi principi di fondo – e che sono coloro che più di tutti spero di ritrovare sia a “Testo” a febbraio, sia al Salone a maggio.