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Stavanger immaginata da Ponte a Greve

STAVANGER IMMAGINATA DA PONTE A GREVE

Ieri sera, approfittando dell’unico fresco che l’estate (sempre, e non solo quando piace ai TG) regala in quel di Firenze in agosto, cioè dopo le 20, sono andato a fare il mio solito giro per Ponte a Greve e dintorni. La differenza è stata che l’ho fatto pensando all’organizzazione del prossimo viaggio in Norvegia, durante il quale, il 28 agosto, incontrerò i soci e lettori della Società Dante Alighieri di Stavanger, ridente cittadina nel sud-ovest del paese, dove tra l’altro vive la sorella della mia compagna Agnieszka, purtroppo mancata quasi quattordici anni fa.

Stavanger 1

Sarà stato questo pensiero, sarà stata la luce speciale del crepuscolo, che ho cercato di immortalare col mio cellulare in queste foto, ma mi sono venute in mente tante cose, che in buona parte hanno a che fare con quello che ho sempre scritto e sto ulteriormente elaborando nei miei nuovi lavori di narrativa. Le strade del mio quartiere, a metà tra il comune di Firenze e quello di Scandicci, avevano come non mai il sapore dell’Ognidove a cui mi richiamo spesso, o anche di una Terra di Mezzo sospesa tra tanti viaggi.

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Beatles, sogni e poetica

BEATLES, SOGNI E POETICA

Ieri notte ho fatto un sogno che collima con qualcosa che compare nel mio nuovo romanzo in corso di stesura, La via dell’altrove, e per la precisione (l’ennesima sincronicità) nel capitolo che oggi ho rielaborato battendolo al computer. Ovvero, il palazzo di Via Bezzuoli, a Firenze in zona Isolotto, dove ho abitato fino ai dieci anni di età (lo vedete nello screenshot che ho estratto da GoogleMaps) – e che pure ricorre in uno dei libri ancora inediti che ho finito quest’anno, il post-distopico Storia di uno straniero.

Beatles

Nel sogno salivo in ascensore insieme niente meno che ai Beatles. O meglio, a John Lennon, Paul McCartney e George Harrison (Ringo Starr avrà avuto da fare). Va detto che la sera prima avevo rivisto parte del documentario John Lennon a New York, ma vabbè.
Il punto è che dicevo loro che, pur considerandoli dei geni (paragonavo tipo John a Leonardo da Vinci e Paul a Michelangelo), il mio preferito era sempre stato George Harrison (ricordo qui il bellissimo articolo a lui dedicato da un altro Leonardo, l’amico Masi, su Postpopuli). E in effetti è vero.
John ci rimaneva un po’ male, mentre a Paul non sembrava fregare in modo particolare. George taceva dignitosamente.
Poi entravamo in casa e mia madre ci preparava una merenda, come ai vecchi tempi (e come ricordo pure nel nuovo romanzo).
Fine del sogno.

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Edvard Munch tra Follonica e la Norvegia (e “Il sorpasso”)

EDVARD MUNCH TRA FOLLONICA E LA NORVEGIA (E “IL SORPASSO”)

Mi trovo sospeso in un Ferragosto di relativa stasi fiorentina, di ritorno da Follonica e dal Ranch Hotel (sotto il colle di Scarlino), già sede, quasi un anno fa, di una presentazione di Da luoghi lontani, il concept-book di racconti che ho scritto con Carlo Cuppini e Sandra Salvato (per Arkadia Editore).

Dico “relativa stasi” perché in realtà sono in piena attività, con la traduzione del romanzo di Olivier Sorin Le nombril de Solveig giunta quasi a conclusione (lo troverete in libreria prima di Natale), gli splendidi versi del poeta serbo Dušan Gojkov che ho tradotto dall’inglese per il blog La Poesia e lo Spirito, dove sono da poco usciti, e naturalmente i miei libri in corso di stesura, ovvero il noir Ladro di stanze, in gran parte ambientato proprio al Ranch Hotel – anche se lì lo chiamo “Rancho”, in salsa sudamericana -, il romanzo di viaggio e critica socio-politica La via dell’altrove, di cui ultimamente vi ho parlato spesso, e il saggio narrativo Voci oltre il buio, sulle mie esperienze meditativo-spirituali.

Comunque, se il titolo di questo pezzo parla di Edvard Munch, il geniale e tormentato pittore norvegese, autore del celeberrimo quadro L’urlo, conservato nel Museo Nazionale di Oslo, e se l’ho collegato a Follonica, alla Norvegia (come del resto è ovvio) e a Il sorpasso, c’è un motivo. E il motivo sono in primis le foto che vedete qui, in gran parte scattate due sere fa al crepuscolo sulla spiaggia di Follonica vicino alla vecchia colonia marina (di cui avevo già parlato qua). Senza cercarlo, mi sono ritrovato davanti a un paesaggio dalle tinte e dalle atmosfere genuinamente munchiane – come in quella che raffigura di spalle il mio amico Francesco o nell’altra con le pozze lasciate sulla battigia dalla risacca.

Edvard Munch 1
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Mondo di dentro vs (o nonostante) mondo di fuori

MONDO DI DENTRO VS (O NONOSTANTE) MONDO DI FUORI

Ormai sono anni che lavoro sulla mia interiorità e, tra alti e bassi, disgrazie e fortune, posso dire di aver raggiunto, col prezioso aiuto di un naturopata straordinario come Andrea Cappelletti e il supporto spirituale di chi mi assiste al di qua e al di là del confine, un risultato importante: staccarmi dai condizionamenti del mondo e focalizzarmi su ciò che amo – scrivere, tradurre, studiare le lingue, suonare la chitarra, e viaggiare nella misura in cui ciò è funzionale e coerente rispetto ai punti che precedono.

Questo non mi esenta dai giramenti di scatole, soprattutto verso furbetti, ipocriti e veri e propri delinquenti (non mi riferisco solo alla sfera politico-lobbistica, quando è tale, ma anche a conoscenze private). Tuttavia, mi fa capire – ne parlavo poco fa con un amico – che anche i giramenti di scatole sono spunti o “lezioni” del destino per aiutarci in uno sviluppo personale che passa attraverso le cose del mondo, ma fondamentalmente non è “del” mondo, perché attiene alla dimensione dello spirito.

È la logica evangelica del “non estirpare la zizzania prima del tempo”, ma del concentrarsi piuttosto sul coltivare il tesoro interiore.

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La casa e il giardino di Francesco Petrarca ad Arquà (foto mia)
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Spirito della (e nella) traduzione/scrittura/musica

SPIRITO DELLA (E NELLA) TRADUZIONE/SCRITTURA/MUSICA

Ieri, a lezione dal Maestro Ganesh Del Vescovo, riflettendo su varie interpretazioni della favolosa Ciaccona in re minore BWV 1004 di Johann Sebastian Bach (che lui ha interpretato magistralmente, nella sua trascrizione, all’ultimo concerto fiorentino di una settimana fa circa), mi è venuto in mente precisamente in che senso la pratica della musica – e sopratutto di uno strumento difficile come la chitarra -, pur da dilettante qual sono, mi aiuta a calarmi ancor più a fondo e sottilmente tanto nella scrittura quanto nella traduzione.

Spirito

Ogni nota, come ogni parola, comporta la necessità di “trasferire”, che è un’attività comune alla scrittura e alla traduzione, come già ho avuto modo di enucleare durante i miei incontri universitari a Stoccolma e Uppsala a maggio insieme al mio traduttore svedese Johan Arnborg. Trasferire significa veicolare da un mondo (emozionale e concettuale) a un altro (verbale o musicale). In altre parole, proprio come un chitarrista deve dare a ogni nota il giusto timbro, volume ed eventuale accento (e, fondamentalmente, il giusto spirito), uno scrittore e un traduttore devono lasciar affiorare ogni parola non solo in base al loro significato, ma alla sensazione di (pro)fondo che vogliono evocare.

Quindi ha ragione l’amico e collega Leonardo Masi a scrivere che il traduttore è più un trascrittore che un esecutore strumentale, ma credo che, al contempo, sia – proprio come lo scrittore e lo stesso interprete musicale – una sorta di “medium” o di sensitivo, che deve far sentire gli altri esattamente come lui/lei sente il testo (o la musica) originale, o il suo stesso mondo interiore (quando ne è autore/autrice). Insomma, ci mette del suo, ma prima di tutto deve rendersi “trasparente”, il che non significa “assente” o privo di una propria voce, ma piuttosto un “tramite”.

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Francesco Nuti, un artista da ricordare

FRANCESCO NUTI, UN ARTISTA DA RICORDARE

Altra sincronicità: ieri sera ricordavo in chat con un amico un film del grande Francesco Nuti, Tutta colpa del paradiso, un piccolo capolavoro del 1985 in cui emerge appieno la sottile poesia di questo artista, ingiustamente dimenticato dallo star system e accantonato forse perché scomodo (perfino dopo la morte gli sono stati dedicati pochissimi passaggi televisivi dei suoi film). Stamani, mentre facevo colazione, l’ho trovato sul canale 34, con le note della bellissima canzone del fratello Giovanni Nuti Lovelorn Man.

Francesco Nuti
La locandina del film (da Coming Soon)
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Quel giorno d’estate

QUEL GIORNO D’ESTATE

Poi dice che gli scrittori che vanno a letto tardi si gingillano – un po’ come Joseph Conrad alla finestra secondo sua moglie, nella celebre storiella che gira da anni e che potrebbe anche essere del tutto inventata (v. qui).

Ieri ho fatto l’una di notte per vedere un film francese pressoché sconosciuto: Quel giorno d’estate (titolo originale: “Amanda”) di Mikhaël Hers, con vari attori tra cui Vincent Lacoste, Stacy Martin, la giovanissima protagonista Isaure Multrier e (in una parte minore) la più nota Greta Scacchi. Pellicola in tipico stile transalpino, con uno speciale gusto delle atmosfere e delle ambientazioni, e soprattutto un’eccezionale capacità di rappresentazione dei dettagli delle cose quotidiane nel – ed è un “nel” importantissimo – raccontare una tragedia. Ovvero, la morte della sorella del protagonista, madre di una bambina di 7-8 anni, e la scelta del fratello della donna (e zio della piccola), appena ventiquattrenne, di prendersi cura di lei.

Quel giorno d'estate
Foto della locandina italiana, tratta da Youtube
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Tesoro oltre l’ombra

TESORO OLTRE L’OMBRA

Credo che una delle frasi letterariamente più viscerali e rivelatrici di tutta la tradizione occidentale sia contenuta nel Vangelo di Matteo, al capitolo 13 (52):

“Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.”

Poche volte, assistendo alla messa come ieri (perché non sono uno di quegli scrittori che si vergognano della propria fede, ché a dichiararla “si rischia di passare da fessi”, come una volta ebbe a dire un noto editor a un evento a cui partecipavo), ho sentito una frase risuonare con me con tanta forza. È stato così proprio perché scrivo, e perché ho capito che quel tesoro – che è il “Regno dei Cieli” – è la centratura nel Sé di cui parlo sempre. E da quel tesoro, che si annida oltre l’Ombra – di cui uno scrittore (come tutti, del resto) non deve aver paura – scaturiscono nuove visioni inevitabilmente legate alle radici ancestrali dell’essere, alla sapienza originaria trasmessa dal “passato”, in un continuo afflato creativo – anche perché, sulla scala ultima delle cose (che è quella dalla quale lo spirito agisce nella realtà macroscopica), il tempo non esiste.

Tesoro

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Londra tra fumo, ricordi e avvenire

LONDRA TRA FUMO, RICORDI E AVVENIRE

Ieri ho visto per la prima volta per intero Fumo di Londra, il primo film da regista di Alberto Sordi, del 1966. Una commedia leggera e sottilmente amara, forse un po’ povera nella sceneggiatura ma intrisa di grande atmosfera (anche grazie alla splendida colonna sonora di Piero Piccioni e Bruno Nicolai) e di un senso di decadenza in atto, già colta quando la “Swinging London” era in pieno fervore – Sordi, del resto, è spesso stato “profetico” nella sua produzione da regista, basti pensare a film come Detenuto in attesa di giudizio e Tutti dentro, tanto per menzionarne due.

Londra

Ma, soprattutto, il film mi ha riproiettato nel cuore di un’Inghilterra che, dopo averla rivisitata (e vista cambiata) l’anno scorso, a distanza di molti anni dal mio programma Erasmus, ho riconosciuto come uno dei miei luoghi d’elezione, anche se sempre un passo dopo l’Irlanda, come sapete. E quel mélange specifico di entusiasmo vitale e malinconia Sordi nel film li ha colti alla perfezione, anticipando perfino lo “spirito Erasmus”, sia pur attraverso gli occhi di un uomo adulto e giunto a quell’euforia esistenziale ormai non più ragazzo.

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Ganesh Del Vescovo in concerto

GANESH DEL VESCOVO IN CONCERTO

Il concerto di Ganesh Del Vescovo di ieri sera alla Biblioteca di Sesto Fiorentino è stato un evento straordinario per diversi motivi. Pare quasi inutile dire “per la qualità e l’intensità dell’interpretazione”, ma non lo è. La retrospettiva sugli Studi di Heitor Villa-Lobos, seguita dallo splendido Preludio e Fuga 539 di Johann Sebastian Bach trascritto dal Maestro per chitarra (originariamente era per organo) e da una serie di pezzi di Ganesh – “Pioggia nel giardino” (un articolato e polisensoriale studio sul tremolo) e due nuovi pezzi della serie inedita “Paesaggi sonori” -, ha disegnato un arco completo di mente, cuore, visceralità e puro spirito.

Passando dall’essenza più profonda della classicità senza tempo di Bach – giustamente nella parte centrale del programma -, si è partiti dalla ricchezza passionale e melodico-sperimentale degli studi di Villa-Lobos (tra i quali spicca il n. 1, in mi minore, “figlio” del Preludio BMW 999 in do minore di Bach), fino ad arrivare alla sintesi di tutti questi elementi in chiave ulteriormente moderna e densa di una carica meditativa a mio avviso senza eguali dei “Paesaggi sonori”.

Qui, anche grazie a un’accordatura diversa, Ganesh Del Vescovo ha estratto dal suo strumento (il secondo suonato durante la serata, costruito dal Maestro liutaio Antonio Scandurra) un intero mondo, un vero paesaggio musicale, perché si tratta di un’articolata visione interiore. La musica di Del Vescovo sa descrivere e raccontare senza parole, suggerendo direttamente i significati che evoca attraverso le note, i fraseggi, i percorsi melodici, la ritmica e le suggestioni armoniche (v. anche qui e qui).

Ganesh Del Vescovo

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