FRANCESCO IMPROTA RECENSISCE “LETTERE DELLE PIANTE AGLI ESSERI UMANI”
Ringrazio di cuore il Prof. Francesco Improta, grande critico letterario, per questa splendida recensione, la prima che esce su Lettere delle piante agli esseri umani di Sanja Särman, il libro di epistole che ho tradotto dall’inglese e dallo svedese, appena uscito per Ortica Editrice.
Potete leggerla integralmente su RPlibri, il blog letterario curato da Rita Pacilio, a cui va la mia gratitudine per l’ospitalità.
In uscita oggi per Ortica Editrice, Lettere delle piante agli esseri umani, dell’autrice svedese Sanja Särman, la mia nuova traduzione, da un insieme di testi (che sono epistole-e-racconti) in parte in inglese, in parte in svedese, pubblicati per la prima volta in lingua italiana.
Le piante comunicano davvero. In questo libro, infatti, in cui si entra direttamente nel pensiero e nel cuore della natura, che parla agli esseri umani impegnandoli in un dialogo in cui loro provano a risponderle.
Ne ho parlato oggi, venerdì 24 febbraio, tra le altre cose, su TVR-Teleitalia 7Gold e Teleregione durante un’intervista nel corso della trasmissione “Linea diretta”, condotta da Francesco Nidiaci, che verteva sul tema dei luoghi e del viaggio nei miei libri e nella mia attività di traduttore e amante delle lingue. (Ringrazio ancora tutta la redazione e in particolare la giornalista Sara Sgatti, che mi ha invitato).
Ecco la registrazione della puntata, che riguarda me a partire dal minuto 28:00.
Chi non vive in Toscana potrà seguirmi in diretta streaming dalle 15,30 sulsito dell’emittente.
SANJA SÄRMAN, “LETTERE DELLE PIANTE AGLI ESSERI UMANI”
Ora posso annunciare l’uscita, il 24 febbraio, per Ortica Editrice della mia nuova traduzione. Un libro speciale, diverso da tutti gli altri. Una raccolta di epistole che sono racconti che formano un singolarissimo romanzo della natura, retto da un filo conduttore sottilmente filosofico.
E’ già possibile prenotarlo qui, e dal 24 febbraio sarà disponibile in libreria.
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“Siamo le Piante, sosteniamo noi la biosfera. Dovreste essere grati per come i nostri rami si piegano verso il basso. Se non lo sarete, ci ucciderete. Tanto peggio per voi. Siamo troppo eleganti per pensare a ritorsioni. Accetteremo la morte. Siamo le Piante, e voi vivete solo grazie a noi.”
Ieri notte, affacciandomi per l’ennesima volta dalla portafinestra del salotto, mi sono detto che Via Bugiardini è una strada (presente anche nel mio racconto “Alleghe” in Da luoghi lontani) che somiglia al mio modo di concepire lo spazio: un Ognidove (sempre citando l’amico Davide Sapienza) che racchiude in sé infinite varianti e sfumature – di atmosfera, di lingue e di culture in senso lato. Ultimamente, completando la prima stesura del mioromanzo post-distopico – cui ho più volte fanno cenno su questo blog e sui social -, mi sono reso conto che tutto questo vi riecheggiava abbondantemente.
Via Bugiardini vista dal mio salotto (foto mia)
Ieri, poi, rileggendo il romanzo distopico di cui l’altro è il sequel (ovvero, sono una miniserie di due romanzi), ho trovato un riferimento di un personaggio femminile a una “lingua implicita” precedente tutte le altre, e fatta della stessa essenza del suono. Ecco perché penso che studiaremusica vada di pari passo con – e alimenti – lo studio delle lingue e la pratica della scrittura. Per me, almeno, è così.
Sono molto grato a Karolina Kopańska, dottoranda in Studi Letterari all’Università di Danzica, in Polonia, per questo bellissimo articolo in lingua italiana, che ha scritto su un tema “incastonato” nei miei romanzi distopici della serie della fine di internet raccolti in Internet. Cronache della fine(Galaad Edizioni): quello delle relazioni amorose e della loro crisi nel mondo ipertecnologico di oggi (e di domani), e anche della frequente scelta di tanti individui di perseguire un proprio percorso personale “a prescindere” dal coltivare relazioni.
L’articolo è uscito nella raccolta degli Atti di un convegno dell’Università di Łódź, dal titolo L‘arte di vivere, di sopravvivere, di rivivere, pubblicato da Wydawnictwo Uniwersytety Lodzkiego nell’autunno del 2022 e gratuitamente scaricabile qui a pag. 325.
“In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. (…)”
Oggi, commentando questo capolavoro, che per me è l’inarrivato vertice letterario, filosofico e spirituale della cultura occidentale (e non solo), Don Marco, mio parroco e grande amico, ha detto una cosa che è la quintessenza di tutte le mie meditazioni dell’ultimo periodo, e che sostanzia il Natale che sto vivendo, andando al cuore del concetto stesso di Rivelazione:
“Dio è la presenza che riempie di sé tutto lo spazio”.
Foto mia scattata sul ponte di Via Pisana sul torrente Greve, nel quartiere di Ponte a Greve, a Firenze
Di rientro dall’ottima fiera del libro di Roma Più libri più liberi, torno al lavoro e colgo subito l’occasione per segnalarvi tre mie recenti recensioni di libri che meritano tutta l’attenzione – e che vanno ad aggiungersi alla precedente, relativa alla biografia narrata di Giorgio Manganelli Aspettando che l’inferno cominci a funzionare, di sua figlia Lietta, edita da La Nave di Teseo.
La prima delle tre successive recensioni è quella de Il treno non si fermò a Kiev di Tito Barbini (ed. I libri di Mompracem), pubblicata su Lankenauta, dove potete leggerla nella sua interezza. Eccone intanto un estratto:
“LeggereIl treno non si fermò a Kiev di Tito Barbini (I Libri di Mompracem – Betti Editrice, 2022) è un’esperienza autenticamente trasformativa. Grande viaggiatore e autore di reportage di viaggio da tutto il mondo – che avevo già conosciuto leggendo Il fabbricante di giocattoli (Arkadia Editore, 2021) –, con questo libro non ha solo realizzato un’opera densa di ricordi e significati legati al tema e allo svolgimento dei suoi viaggi di esplorazione tra l’Europa e l’Asia, ma un testo di respiro filosofico e di grande ampiezza di orizzonti in senso politico, storico e antropologico.
Dal suo buen retiro sull’isola greca di Astypalea, nel Mar Egeo, l’autore toscano ripercorre molteplici viaggi del passato componendo un itinerario immaginario – ma verace e fortemente coinvolgente – sulla più lunga ferrovia del mondo, che da Oporto, con gli immancabili cambi, conduce fino a Ho Chi Minh, l’antica Saigon, capitale del Vietnam.”
Riporto qui i primi due paragrafi, rimandandovi al sitoper leggere tutto il resto. Ma soprattutto leggete il libro, veramente straordinario.
“Per me non è una cosa qualunque scrivere la recensione di un libro sulla vita del padre di un’autrice che, ai miei occhi, è prima di tutto un’amica e una mentore. Ancor più quando il di lei padre, che ho conosciuto tardi (ma non troppo, per fortuna) e in seguito ho letto e approfondito, anche se non ancora abbastanza, ha avuto, con almeno una delle sue opere – Discorso dell’ombra e dello stemma – un influsso determinante sulla mia sensibilità letteraria.
Ecco l’evento di cui ho parlato più volte su questo blog nelle ultime settimane. Sarà il 23 novembre alle ore 18,00 a Bottega Strozzi, la bellissima libreria nel cortile di Palazzo Strozzi (mappa qui), a Firenze, e sarà condotto da due grandi amici, lo scrittore e libraio Carlo Cuppini, e l’autrice e giornalista Sandra Salvato, con i quali quest’anno ho pubblicato il concept-book Da luoghi lontani(Arkadia Editore).
Parleremo però anche di tutti gli altri miei libri, usando come filo conduttore quei luoghi e quei viaggi – nel mondo e nella mente – che sono autentici protagonisti dei miei lavori.
In questi giorni, come sapete, sto portando avanti in parallelo vari lavori, tutti in qualche misura narrativi, ma con differenti gradazioni. Ciò di cui mi sto rendendo sempre più conto è che esistono motivi e atmosfere che ricorrono, pur in opere molto diverse tra loro.
Mi sto muovendo tra noir, (post) distopia, narrativa di viaggio e saggio narrativo, ma vedo e sento ricorrenze, corrispondenze ed echi trasversali che sono quasi sincronicità, e mi dicono che sto varcando il confine tra una poetica – ovvero (v. qui) lo stile e il complesso di temi e concetti che “definiscono” uno scrittore – e una molteplicità di voci di cui mi sento come ospite.
(foto mia)
Curiosamente, questo è proprio il tema al centro del mio saggio narrativo, che descriverà il mio percorso interiore tra vita passata, riflessioni del presente e scelte artistiche e vocazionali maturate nel corso della vita. Forse è per questo che mi sono accorto che, per un autore, avere una propria “poetica” non è il punto definitivo. In altre parole, se la poetica è la voce di quel singolo scrittore, che lo rende in qualche modo riconoscibile – proprio come avviene ai musicisti o ai registi, pur molto vari nella loro produzione -, essa non è un blocco unico, proprio come non lo è la materia, che nella sua struttura ultima è imprevedibile e indeterminabile relazione tra particelle che sono anche onde, ovvero increspature di un campo vibrazionale meramente probabilistico ed eternamente mobile. Così, nello stile di un autore ci sono molteplici correnti e tendenze, chiavi armoniche e folate concettuali che s’intersecano e richiamano vicendevolmente, in una danza di relazione che, proprio come avviene nel cosmo, “tiene tutto insieme” e, vista da una certa distanza, appare come una “poetica”.
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