Ho appena completato la traduzione (dalla versione americana diRandi Ward) di una bellissima raccolta di versi del poeta delle Isole Fær Øer Kim Simonsen, che uscirà l’anno prossimo con la casa editrice I libri di Mompracem.
Tradurla in italiano (anche attingendo dal testo originale faroese, “mediato” dalle affinità che presenta con lo svedese, e grazie all’aiuto di Randi) e scriverne la prefazione sono state tra le mie esperienze di analisi del testo più profonde e interessanti degli ultimi anni (insieme alla traduzione di Lettere delle piante agli esseri umanidi Sanja Särman), e fonti esse stesse di preziosi spunti per le mie nuove ricerche sospese tra fisica, filosofia e letteratura, che mi porteranno ad proseguire in nuovi lavori le riflessioni condotte nel mio saggio narrativo (ancora inedito) Voci oltre il buio.
Ieri, insieme al mio traduttore svedese Johan Arnborg, ho tenuto la mia prima conferenza su traduzione letteraria e scrittura presso il Consiglio degli Studenti della Facoltà di Lingue romanze e antiche dell’Università di Stoccolma.
Ringrazio moltissimo Theo e tutti gli studenti che hanno organizzato l’incontro, e posto alcune foto dell’evento, che è andato benissimo, con ottima partecipazione da parte degli studenti, molto coinvolti e partecipi, con domande interessanti e capaci di ispirare. (Non li vedrete nelle immagini solo perché l’Ateneo ha norme rigorose in materia di privacy.)
Un momento della conferenza insieme a Johan Arnborg (foto scattata dalla studentessa Josefin)
Vorrei condividere qui l’oggetto della riflessione condotta con loro e con Johan, che servirà da riferimento anche per il secondo appuntamento universitario, in programma il 5 maggio alle ore 14 presso l’Unione degli Studenti della Facoltà di Studi Letterari dell’Università di Uppsala (Engelska Parken, sala 6-0023) e, spero, anche per altri event simili qui e altrove. Inoltre, mi fornirà ulteriori spunti utili per il mio saggio narrativo sulle mie esperienze meditative e spirituali e, auspicabilmente, per un futuro saggio sulla traduzione.
Le riflessioni di questi giorni, riassunte soprattutto negli ultimi due post (v. qui e qui), mi hanno portato a fare un salto in avanti mentale ma anche pratico, nell’impostazione e nella stesura dei miei vari lavori in corso, ovvero la mia serie post-distopica sull’auspicata fine della società del controllo, quella noir ambientata tra Toscana e Umbria, il nuovo libro di viaggio alla ricerca di un significato nascosto, tra l’Italia e l’Europa, e soprattutto il mio saggio narrativo sui miei percorsi interiori, che diventerà una sorta di bio-autografia, come si suol dire, sulla mia vita e il mio rapporto in divenire con la dimensione dello spirito.
Questo mi ha portato a riflettere sui generi letterari, che, fin da quando ho iniziato a scrivere, componendo diversi saggi sulla letteratura di J.R.R. Tolkien – l’ultimo dei quali, in realtà, è una curatela-traduzione-compartecipazione a una raccolta di studi italo-inglese dal titolo Tolkien. La Luce e l’Ombra(Kipple Officina Libraria) – per me sono sempre stati diverse modalità di approccio all’unica realtà, fisico-energetico-spirituale, ovvero all’Holos che è tutto ciò che esiste. Non diversamente, in questo, dai generi musicali o dagli stili pittorici.
LUIGIA SORRENTINO, “PIAZZALE SENZA NOME” (SAMUELE EDITORE)
Qualche giorno fa, sul blog Lankenauta, è uscita la mia recensione diPiazzale senza nome (Samuele Editore), la nuova silloge poetica di Luigia Sorrentino. Ne riporto qua sotto la parte iniziale, cogliendo anche l’occasione per ricordare che Luigia è la fondatrice e amministratrice dell’ottimo blog “Poesia, di Luigia Sorrentino”, che adesso sta lottando per rimanere aperto e al quale va tutta la mia solidarietà. Nel tempo, Luigia ha sempre sostenuto il mio lavoro, e con lei ho una speciale intesa umana e artistica.
“La poesia di Luigia Sorrentino è sempre stata caratterizzata da un’osservazione analitica delle pieghe dell’animo umano, capace di scendere a tale profondità da risvegliare e interpellare i suoi archetipi di fondo – quelle matrici essenziali del suo carattere che spesso schermano e ingabbiano la sua vera identità, impedendogli di spiccare il salto verso la realizzazione del Sé (ovvero il miglior potenziale individuale). Una di tali matrici, e delle più forti, è il dolore – insieme alla paura dello stesso. Piazzale senza nome, la nuova silloge dell’autrice, è un’esplorazione di questi territori condotta “senza anestesia”. Alternando testi in versi a brevi prose liriche, entrambi evocativi di momenti di strazio e di prova, conduce attraverso una sorta di itinerario guidato – in effetti, la si potrebbe vedere proprio come una sorta di meditazione guidata – nelle nicchie di tormento che l’essere umano cerca sempre di evitare, ma che solo venendo guardate in faccia possono essere portate a consapevolezza e smettere di bloccarlo nella sua evoluzione.
deve andare mani abbandonate e sole – il polso non si sente più – il respiro precipita nel vuoto la corsa chiude il suo ritorno
stringergli la mano
nella calma materna corre tutta la vita
(pag. 21)
E poi:
il fazzoletto di lino imbevuto nell’acqua, il dito passato sulle labbra lo abbevera oscenamente l’antico silenzio di notti affamate
nel compiersi della fine l’emergenza è un corteo di torture
(pag. 22)
E ancora:
gli ultimi gesti sconfinano nella gravità sempre più giù
la testa contro il petto impressa sul torace la faccia l’ultima vena si è fermata
morire con gli occhi offuscati oltre le labbra compulsiva sofferenza senza risposta
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