Casa interiore e case “di fuori”

CASA INTERIORE E CASE “DI FUORI”

Gli ultimi giorni, qui a Pécs, alla residenza di cui sono ospite, sono stati straordinariamente intensi. Prima di tutto sul piano del lavoro: il mio romanzo di viaggio – che si sta rivelando qualcosa di molto più complesso di quanto questa definizione potrebbe far pensare – sta prendendo corpo e forma, e già ho scritto molte pagine; inoltre, ho anche dovuto (per scadenze professionali) finire di revisionare un’ultima volta la mia nuova traduzione, il bellissimo romanzo Santuario di ombre dello scrittore cubano Amir Valle, che uscirà in Italia quest’autunno. Poi, anche sul piano degli incontri: due in particolare, con lo scrittore ungherese Tamás Horváth, che è anche presidente della Commissione Cultura del Consiglio comunale di Pécs, e con la giornalista Réka Mohay, che mi ha intervistato (in un ottimo italiano) per il quotidiano cittadino BAMA – nei prossimi giorni il pezzo uscirà sia sulla versione cartacea che su quella online.

casa interiore tavolini

Non sono andato molto in giro, se non per una puntata in centro e per delle rapide passeggiate nei dintorni dello Zsolnay Cultural Quarter, che mi sono fruttate le foto che qui vedete. Ma per lo più sono stato a sedere a lavorare, dividendomi tra casa, il caffè del Teatro delle Marionette e il parco Balokány Liget (e il suo bar nella rinnovata struttura a pagoda, alla cui ristrutturazione proprio Tamás Horváth ha contribuito).

Tutto questo, per dire una cosa fondamentale, che forse a tanti sfugge: per uno scrittore – e anche per un traduttore, dunque suppongo a maggior ragione per uno scrittore-traduttore – fare una residenza è sì vedere e sentire posti nuovi, e così trarre ispirazione per conciliare e caricare d’intensità il proprio lavoro. Ma è anche, anzi forse proprio per questo, tantissimo impegno – leggi: scrivere e/o tradurre “a manetta” (per chi fosse tentato di definirla “una vacanza”).

Tuttavia, precisamente questa riflessione mi offre lo spunto per un ragionamento importante, che tra l’altro è centrale anche nel romanzo che qui sto scrivendo: che cos’è casa, per uno scrittore, o almeno per uno scrittore-viaggiatore (ma in definitiva un po’ per tutti)? Quella del luogo da cui proviene, quella provvisoria del luogo in cui si trova a vivere per un po’ di tempo, o cos’altro?

casa interiore periferia

Certamente, per me casa non è la dimensione locale intesa come “fiorentina”, anche se di Firenze apprezzo tante cose (come tante ne critico). Ma nemmeno posso dire che tutti i luoghi in cui mi sono venuto a trovare nella mia vita mi abbiano trasmesso la sensazione di “casa”. Alcuni me l’hanno data sempre e fin dal primo istante; altri solo per un periodo, perché poi sono cambiati e mi hanno in qualche misura deluso; altri ancora, mai. Non starò a far nomi, anche se posso affermare, perché di questa residenza stiamo parlando, che a Pécs mi sono ambientato gradualmente (parliamo comunque di un arco di tempo di due settimane circa), e ora mi ci sento comodo, più o meno come quando, nella mia città di origine, scrivo o svolgo altre attività, anziché in casa, in un giardino pubblico. Insomma, in quella dimensione tranquilla mi sento a mio agio: mi “corrisponde” – o forse dovrei dire “mi riflette”.

casa interiore ciminiere

Penso che quest’ultimo verbo sia quello chiave, per lo meno in una visione del mondo, come quella che ho io, in cui tutto si richiama (ovvero è in perenne risonanza/entanglement (leggi pure: sincronicità) potenzialmente con tutto, per cui uno non si viene mai a trovare in un luogo, né fa mai un incontro, “per caso”, ma perché, per qualche motivo, gli “serve”, e non necessariamente in modo piacevole – magari, al contrario, per metterlo davanti a un suo problema, con conseguenti momenti di crisi. Capita, appunto, con le persone (si pensi a relazioni, belle o brutte, nate o finite in un particolare momento, senza un’apparente logica), ma anche con i luoghi o gli stessi libri. Ricordo di aver deciso di andare a Dublino per la mia prima vacanza-studio, nel 1998, per un’autentica “vocazione” interiore che non aveva alcun motivo apparente, e quello con l’Irlanda si è rivelato un incontro che mi ha cambiato la vita. Allo stesso modo, la prima volta che presi in mano Lo Hobbit di Tolkien, in biblioteca, lo riposi dopo averlo sfogliato senza particolare interesse. Circa due anni dopo, sugli stessi scaffali venni folgorato da Il Signore degli Anelli, che diede vita a tutto il mio percorso di scrittore.

casa interiore piazza 1

In Ungheria era tanto che desideravo venire. Non so se fosse il fascino delle sue campagne, la bellezza di Budapest, che avevo ammirato in televisione e nelle foto sulle riviste di viaggio e su internet, o forse il fascino misterioso della sua lingua. Ma sapevo che prima o poi ci sarei andato per un motivo particolare – esattamente come, da piccolo, percorrendo in macchina Via Pisana, a Firenze, ero rimasto incuriosito da quella strada laterale con dei campi verso il fondo, Via Bugiardini, dove, guarda caso, diversi anni dopo saremmo andati ad abitare.

Ora che sono qui a Pécs, ho capito qual era il motivo della mia “fascinazione ungherese”, e l’ha capito anche il mio personaggio, il cui percorso toccherà questa città, rivelandosi per lui una svolta interiore determinante, non solo nel senso della comprensione di se stesso, ma in quello della comprensione del proprio paese, l’Italia, sullo sfondo dell’Europa, nel quadro degli eventi degli ultimi anni ma, in fondo, di un arco di tempo ben più vasto, iniziato per lo meno tra gli anni ’80 e i ’90.

Tutto questo per dire che cosa? Che la “casa”, ovvero il luogo in cui l’identità riposa e dove si riesce a essere completi e centrati nel Sé, non è un luogo fisso né un luogo unico. Si tratta, piuttosto, di una tavolozza di possibilità – un po’ come la struttura subatomica della materia, e la stessa rete ipermicroscopica dello spaziotempo – che interagiscono con noi (e, per dirla coi fisici, “collassano”, ovvero, con gli psicologi junghiani, “si individuano”, nel momento in cui li guardiamo, cioè si viene a stabilire una risonanza tra loro e noi). Se è vero infatti, come ben sottolinea Fritjof Capra ne Il Tao della fisica, che tutto l’universo è una danza, ovvero è una continua effervescenza di possibilità che, interagendo tra loro, determinano la “realtà”, allora tutto ha una natura vibrazionale e una caratteristica frequenza, e dunque un suono. E i suoni, come ci insegna la musica, tendono naturalmente a entrare in relazione armonica (consonanza) o disarmonica (dissonanza) tra loro, e la successione di queste relazioni crea la “musica” (il discorso “melodico”), che potremmo leggere anche come la narrazione dell’esistenza, ovvero il tessuto della vita di ognuno. È così anche tra persone e persone, tra persone e oggetti e tra persone e luoghi. Perciò, di volta in volta, ci saranno persone, oggetti (e dunque anche libri) e luoghi che interagiranno maggiormente con noi, offrendoci preziose informazioni che potremo, se consapevoli, essere in grado di raccogliere.

casa interiore piazza 2

Già ho parlato delle numerose percezioni di Ognidove e Ogniquando che Pécs mi ha dato. Permettetemi di aggiungerne un paio: ieri lavorando nel parco, dove mi trovo anche adesso, mi sono arrivate folate percettive strettamente legate al qui e all’ora, ma anche ad altri luoghi e altri momenti della mia vita. Il laghetto al centro del parco emanava effluvi di stagno che sapevano esattamente del torrente Cordevole, ad Alleghe, sulle Dolomiti venete, dove mio padre andava a pescare quando ci passavamo le vacanze negli anni ’80 – come ben sa chi ha letto Da luoghi lontani. Al contempo, siccome c’era un bel sole caldo, ma unito a un venticello gradevole, e per un po’ – novità interessante, in questi giorni di invasione di scolaresche di tutte le età – non c’era rumore, sembrava veramente di stare sulla spiaggia in Versilia fuori stagione (o magari su una spiaggia lunga e deserta della Maremma, come a San Vincenzo o a Follonica). E la stessa sensazione mi ha raggiunto stamattina, quando, per compere varie, sono andato nello splendido centro di Pécs e ho preso un cappuccino a un caffè coi tavolini all’aperto sulla scenografica piazza principale (Széchenyi tér). Qui convergevano diverse risonanze: sempre la stessa di mare, e in più un’affinità (più che altro scenografica) con altre piazze monumentali, come il Rynek di Cracovia, dove, al netto della presenza turistica, si può ancora godere di attimi di pace e autentica contemplazione – a Firenze, l’ultima volta che mi è capitato è stato nel giugno 2020, alla partenza di un breve cammino con l’amico Francesco su un pezzo della Via (appunto) di Francesco, da una Piazza della Signoria ancora deserta dopo l’allucinante lockdown.

Sempre ieri, prima c’era stata una cosa ancor più strana: come dicevo, stavo completando l’ultima revisione della mia traduzione dallo spagnolo di Santuario di ombre di Amir Valle, per poi rigettarmi nella scrittura del mio romanzo. E stavo appunto rileggendo una pagina in cui l’autore descrive un percorso a piedi nella periferia dell’Avana, che due personaggi seguono per pedinarne un altro. Ricordo che, quando lo stavo traducendo, avevo da poco visitato il sito della residenza allo Zsolnay Cultural Quarter dove sarei andato a stare, ed ero rimasto colpito da come la descrizione di Amir si attagliava alla perfezione alle foto dei luoghi ungheresi che avevo appena visionato. Ieri, rileggendo quel pezzo mentre ero qui, non solo ne ho avuta la conferma, ma mi sono – dalla “finzione” letteraria – sentito riproiettato con forza, e quasi con prepotenza, nel qui e ora.

casa interiore fontana

Torno dunque alla domanda iniziale: cos’è “casa”? La mia risposta è: è appunto il qui e ora, che è quella singolare intersezione tra il luogo e il momento presenti (contingenti) e ciò che ci portiamo dentro, ovvero la nota (o l’accordo) specifico del nostro percorso. In sostanza, è un ponte tra mondi, ovvero, per mutuare un termine dalla gravità quantistica a loop descritta da Carlo Rovelli ne L’ordine del tempo, è un loop, che nella teoria sviluppata dal fisico italiano insieme al collega statunitense Lee Smolin è appunto uno degli “anellI”, o meglio delle linee, che legano tra loro in interazioni dinamiche i grani minimi di spazio-materia-energia che formano tutto ciò che esiste – e, pur essendo alla base una nube probabilistica indeterminata, si definiscono appunto nel relazionarsi reciprocamente (si veda anche il libro di Jim Baggott Quanti di spazio, edito da Adelphi) .

Insomma, casa è un luogo interiore in sé indeterminato, ma che si determina continuamente nell’interazione tra la nostra coscienza – che, per dirla con Federico Faggin, precede la realtà materiale – e gli angoli di spaziotempo con cui essa via via si sente in relazione (tanto da viaggiare per raggiungerli fisicamente).

Questo incontro – o, se vogliamo, questa illuminazione – io li ho vissuti a Pécs.