Traduzioni e rispetto

TRADUZIONI E RISPETTO

Tra ieri e oggi, facendo lo slalom fra la traduzione del romanzo francese in corso e la scrittura del romanzo La via dell’altrove, ho ripreso la pratica dello svedese e del polacco ascoltati e parlati, mediante canali Youtube dedicati e conversazioni via Skype con amici madrelingua che vivono all’estero. Una sana abitudine da me acquisita nell’osceno periodo dei lockdown – forse l’unica cosa buona che ne abbia ricavato, oltre alle tante pagine scritte in quei mesi a questo tavolo (v. prima foto).

Traduzione tavolo

Così ho riflettuto su come, per le lingue, valga la stessa cosa che vale per la chitarra classica: le “regole” contano, ma senza la pratica (dei pezzi come delle conversazioni della vita reale) servono a poco. O meglio, possono bastare per tradurre, un po’ come quando al liceo si facevano le versioni di latino e greco antico (lingue puramente teoriche), ma non per vivere. Perché le lingue, come la musica, sono cose vive. E, in definitiva, anche la traduzione, come la scrittura, beneficia moltissimo dell’abitudine di parlare gli idiomi che ne sono oggetto: il risultato è più naturale, perché entri maggiormente nello spirito dell’ambiente da cui quel testo proviene.

Eppure, esattamente come la musica, il processo dell'”ascolto parlante” va avanti per un bel po’ a singhiozzo. Ricordo che, quando prendevo le prime lezioni di svedese, anni fa, non capivo pressoché una mazza, e altrettanto poco riuscivo a dire. Oggi (quando già traduco professionalmente dallo svedese, come sa chi ha letto Lettere delle piante agli esseri umani di Sanja Särman, edito da Ortica editrice), comprendo e parlo la lingua piuttosto agilmente (non voglio gasarmi troppo, ma sono contento).

In questo momento sto vivendo la stessa dinamica col tedesco (di cui prima della pande-fu*****-mia avevo seguito due corsi a Firenze): negli ultimi mesi, e soprattutto nelle ultime settimane, l’ho ripreso con una certa continuità, anche grazie allo spunto del mio recente viaggio mitteleuropeo. Riesco a dire ancora poco – anche se so più di quello che so esprimere -, dunque procedo tra vari tentativi di espressione in dialogo con me stesso (anche mentre faccio le mie camminate lungo il torrente Greve – che vedete nella seconda foto qui sotto -, quando non mi guarda nessuno) e gli studi e i ripassi delle regole grammaticali e sintattiche.

Traduzione Greve

In generale, nella vita ho fatto tutto così, buttandomi e imparando, paradossalmente più fuori della scuola che lì, anche se lì ho studiato tanto. E non parlo solo di cultura, ma di esperienza in genere (alla faccia di chi, in più situazioni, ha tentato di scoraggiarmi).

Così è stato nell’ultimo viaggio tra Croazia, Ungheria e Austria (più un veloce transito in Slovenia), che mi ha messo a contatto con tre lingue che mi affascinano e che lambisco ripetutamente da tempo e aspiro a far mie, con la gradualità che è la miglior garanzia di un risultato, quando non si hanno fretta o scadenze.

Perché dico questo? Oltre che per farmi ganzo, perché vorrei far presente a tanti che mancano di considerazione per il lavoro dei traduttori e degli interpreti, oggi più che mai necessari (ben oltre le minchiate sulla sostituzione in atto da parte delle IA), che queste professioni nascono da una passione viscerale, un’autentica vocazione, e che meritano un rispetto totale da parte di editori, agenzie e clienti di ogni sorta. E il rispetto va sì guadagnato col saper fare, ma anche preteso, per esempio rifiutando tariffe ridicole o prove di traduzione truffaldine (come a me è successo di recente, cascandoci solo perché la cornice dava tutta l’impressione di essere seria).

Oggi traduco da sei lingue (e, a quanto pare, niente affatto male, tanto che a settembre riceverò il Premio La Quercia del Myr come Traduttore dell’Anno), e in futuro diventeranno nove, che piaccia o meno a furbetti e “scoraggiatori” espressi dello stesso sistema compiacente che ha accettato i ricatti del GP e annessi e connessi.

Perciò, in un impeto di sdegno che covo da circa una settimana, ribadisco che questo lavoro va difeso tutelandone l’onorabilità attraverso passione, studio, dedizione e, last but not least, giusta pretesa di rispetto.