Paesaggi irlandesi

PAESAGGI IRLANDESI

Sempre nell’ottica di una riflessione sui luoghi come centri di ispirazione poetica, voglio oggi ricordare i paesaggi irlandesi, al centro di tanta parte dei miei testi narrativi, sia quelli pubblicati, sia quelli non ancora editi. In particolare, Dublino e la contea del Donegal, nel Nord-Ovest della Repubblica d’Irlanda, ricorrono nella seconda parte del mio romanzo psicologico Viale dei silenzi (Arkadia Editore), che, attraverso la problematica vicenda di uno scrittore fiorentino che cerca il padre scomparso quattro anni prima a Varsavia e poi transitato da Berlino, scende nel mistero del fascino magico, anzi squisitamente spirituale – sospeso tra le tradizioni druidiche, il cristianesimo e l’incanto della Natura – dell’Isola di Smeraldo.

Paesaggi irlandesi
Una paesaggio di Buncrana, nel Donegal, in una mia foto

Ecco qui un passo (pp. 107-108) che mi piace citare, dove viene descritta una parte della cittadina di Buncrana:

“Poi la strada piegò verso l’entroterra, indietreggiando rispetto alla riva, e apparvero le prime case di Buncrana. Villette monofamiliari bianche e una chiesa, pure bianchissima. Era un ambiente così diverso da Dublino e dal resto dell’Irlanda che ricordavo. Un micro-universo a parte, che fin dalle primissime immagini rivelava un senso suo proprio, in sé compiuto ma altresì poroso, aperto ad accogliere. Un luogo d’acqua e aria, nel quale l’auto noleggiata da Erin si insinuava come un braccio in una manica liscia e senza ingombri.

Lei continuava a tacere, quasi fosse meravigliata dal trasmutare di tutto quel bianco in una varietà di colori – dapprima con case isolate dai tetti blu che ricordavano quadri di Edward Hopper, poi con l’esplosione trasversale del corso, stretto tra due file di edifici gialli, verdi, arancioni e di altre tinte contrastanti. Il mondo umido di poco prima si era asciugato, lasciando emergere un’anima calda e asciutta, un tepore inaspettato, spiazzante, simile a un perdono insperato.

Arrivammo alla piazzetta centrale senza che né lei né io pronunciassimo parole. Eravamo rapiti da quell’incantesimo, e forse ognuno, separatamente, impegnato in un dialogo intimo con Buncrana. Erin, peraltro, sembrava sapere dove andare. Io mi limitavo a osservare. La vidi procedere oltre un supermercato e inoltrarsi ancora lungo la strada principale, che, dritta, si allungava verso filari di altre case basse. A quell’altezza il paese pareva finire, ma poi scorsi una via che prendeva a sinistra. Fu lì che lei svoltò. Superò un breve ponte in pietra su un ruscello e continuò verso un’abitazione isolata, con un piccolo parcheggio in ghiaia. Rallentando, vi fece ingresso e si fermò.”

Indubbiamente, i miei ripetuti viaggi in quella terra meravigliosa che sento come mia seconda patria mi hanno portato a cogliere questo sottile incanto – non lontano da quello delle tolkieniane foreste elfiche – anche nella quotidianità, come succede nei romanzi di tanti scrittori irlandesi contemporanei, pur fortemente focalizzati sulla realtà, con i suoi drammi e le sue deflagranti comicità – penso soprattutto a Frank McCourt, William Trevor, Roddy Doyle, Joseph O’Connor e Catherine Dunne (che ho avuto il piacere di incontrare due volte e di intervistare su “Anticorpi letterari” con la giornalista Valeria Bellagamba e lo scrittore italiano Max O’Rover, fondatore del portale Italish e del San Patrizio Livorno Festival, cui pure mi aveva invitato nel 2020).

Paesaggi irlandesi
Il General Post Office lungo O’Connell Street a Dublino (foto mia)

In Viale dei silenzi, però, e in parte anche nel capitolo dedicato a Dublino nel mio memoir di viaggio Berretti Erasmus (Fusta Editore), ho cercato di aggiungere anche le impressioni di grande trasformazione ricavate dalle mie più recenti esplorazioni irlandesi, col progressivo crescere del benessere e del relativo fermento, a volte perfino eccessivo. Ecco una citazione dalle pagg. 125-126:

“Nel tornare verso la fermata dell’autobus in O’Connell Street, incontrammo, davanti al General Post Office – quello della nota rivolta del 1916, sedata nel sangue e rievocata dal film Michael Collins di Neil Jordan –, The Spire, l’altissima guglia metallica installata nel 2003 nel punto in cui, fino al 1966, c’era stata la colonna di Nelson, che l’IRA aveva fatto saltare in aria. Ora qui c’era un incredibile fermento di vita e un crogiuolo di lingue e di razze, accompagnato dall’onnipresente odore di fritto proveniente dalle varie paninoteche e friggitorie della zona. La gente stava in coda alle fermate, ma non col rigore dei britannici. Il traffico era lento e rumoroso.”

Sui paesaggi irlandesi – e in particolare su Dublino, Birr (una cittadina nella contea di Offaly dove ho fatto una breve residenza letteraria e un reading, presso Tin Jug Studio), Schull (un paesino del West Cork dove ho fatto un’altra residenza) e vari altri luoghi dell’isola, sono tornato in due romanzi ancora inediti, dove l’Irlanda è o un luogo d’ambientazione centrale, o un luogo ricordato, oltre che in una raccolta di racconti ambientati tra l’Irlanda e la Toscana. Tutte opere che spero possano vedere presto la luce editoriale. Ma no, non si tratta di un’ossessione. Al contrario, è un filo diretto con vibrazioni musicali e atmosferiche che collimano perfettamente col mio profondo. L’Irlanda è quasi “la” mia sincronicità.

Paesaggi irlandesi
Una veduta della baia di Schull (foto mia)

Per me è stata determinante anche nei miei studi (parte della mia tesi di laurea in Legge riguardava il diritto irlandese, e la mia lingua inglese si è formata in gran parte qui). Posso dunque affermare che è al centro del mio percorso ancora adesso, anche in ragione del fatto che in Irlanda la Natura – mia prima maestra – parla con un’intensità del tutto rara, capace di irradiare e ricentrare, armonizzando anche i rapporti umani – qui speciali, data la straordinaria cordialità degli abitanti.

È anche così che i luoghi acquisiscono un’energia propria e un’autentica personalità, che li rende “personaggi”, imponendomi, con l’immediatezza delle sensazioni che evocano, di restituirli in modo diretto e penetrante non soltanto con vivide descrizioni, ma anche e soprattutto con l’emanazione quasi spontanea, dalle pieghe dei paesaggi irlandesi (e non), di storie con esse consonanti, in cui il lettore possa riconoscersi appieno.