CITTÀ IN MOVIMENTO
Una delle frasi che meglio ricordo del primo libro che ho pubblicato, il saggio Letteratura del fantastico. I giardini di Lorien (Spazio Tre, 2004), è quella in cui, parlando delle sensazioni che dà il camminare attraverso Firenze, dicevo che è una città che va vissuta “in movimento”. Quello che intendevo era che, forse per la sua bellezza artistica, contemplarla stando fermo mi risultava (e in effetti mi risulta ancora) difficile, magari perché può innescarsi la sindrome di Stendhal, per cui è meglio non guardarla dritta negli occhi – neanche fosse la Gorgone! -, oppure perché, come una bellissima donna o una splendida statua, vuoi gustarla a trecentosessanta gradi, girandole intorno per cogliere ogni aspetto del suo splendore.

Be’, oggi, dopo quasi vent’anni di scrittura narrativa largamente imperniata sul tema della città – tanto che la studiosa polacca Karolina Kopańska sta lavorando a una tesi di dottorato su questi argomenti, con focus specifico sui miei libri, presso l’Università di Danzica -, posso dire che c’è dell’altro. Il motivo per cui sento Firenze e tutte le città dei miei libri camminandoci attraverso e concedendomi solo brevi soste contemplative, non è soltanto di natura estetica, ma presenta numerose sfaccettature, che hanno a che fare con le dinamiche interiori dei miei personaggi e con le loro risonanze cosmiche.
Che io scriva in prima o in terza persona, sto sempre attento a dare un’importanza primaria al mondo interiore dei personaggi. Ogni essere umano, infatti, non è un’entità statica, ma un essere in perenne trasformazione, sul piano biologico, emozionale e spirituale. Potrei definirlo, in questo senso, un “processo”. E in tutto ciò che vive è in perenne osmosi con l’ambiente circostante, che a sua volta si trasforma, per effetto degli agenti naturali e – soprattutto nella realtà urbana – dell’azione dell’uomo. D’altra parte, come ho avuto modo di sottolineare in vari articoli precedenti su questo blog, la fisica quantistica ha dimostrato che tutto esiste e si definisce in relazione a qualcos’altro. Analogamente, nelle profondità dell’animo umano e nel suo interfacciarsi con la dimensione “cittadina”, a volte paiono riverberarsi le grandi solitudini e le smisurate fusioni nucleari dei fenomeni cosmici.
In definitiva, si tratta dell’eterna dinamica di Luce e Ombra, che non ha solo dato il titolo a una raccolta di studi su J.R.R. Tolkien da me curata, ma è il vero filo conduttore di tutta la mia produzione letteraria. Che si tratti della lotta per difendere il mondo da un emergente potere oscuro, gestito da una multinazionale della Rete e dell’energia (come nei quattro libri della raccolta Internet. Cronache della fine), della ricerca della verità su un padre scomparso da parte di uno scrittore girovago (come in Viale dei silenzi) o dell’amore in viaggio tra l’estasi dell’incontro e lo strazio della perdita (come in Berretti Erasmus), tutti i miei protagonisti percorrono vasti territori europei ed extraeuropei, incontrando a ogni passo segni e risposte proprio nei luoghi e nelle vicende che essi hanno ospitato. E tutto questo nutre il loro magma interiore, costringendoli ad affrontare grumi di oscurità o suggerendogli sprazzi di luce.
Non solo, ma nella dimensione del cammino – e, nello specifico, del cammino urbano – i volti dei palazzi, le strettoie dei vicoli e le aperture delle piazze e degli specchi d’acqua e di natura danno il la a un’altra reazione specifica dei miei testi: ovvero, non il solo correlativo oggettivo (il rispecchiarsi dell’interiorità nei luoghi), ma il trasparire, dietro la superficie di ciò che i personaggi vedono, di altre visioni, appartenenti a vari altrove del loro passato. Così, per esempio, è per Roberto, il protagonista di Viale dei silenzi, che, camminando per le strade del centro di Varsavia in cerca di informazioni su suo padre, intravede, dietro i monumenti e il selciato delle strade della Città Vecchia, molteplici scorci della Firenze da cui è fuggito. Sempre Karolina Kopańska ha affrontato specificamente questo tema in una conferenza universitaria a cui ha partecipato nei mesi scorsi in Polonia.

Tutto questo aggiunge un ulteriore elemento di dinamismo – e quindi di movimento – al rapporto tra il personaggio e la città, perché al correlativo oggettivo di cui sopra si sovrappone la pluristratificazione temporale che vive nel personaggio e nella città stessa. In altre parole, Roberto intravede Firenze dietro Varsavia e così ripensa al suo tormentato passato familiare, ma insieme intuisce la presenza aleggiante dei fantasmi del passato comunista della città. Allo stesso modo un altro mio personaggio, Piotr, nel primo atto della quadrilogia della fine di internet, percorre Berlino di notte eludendo le guardie del nuovo regime e ripensa ai soldati nazisti e ai poliziotti della DDR che in precedenza avevano fatto di quelle stesse strade una prigione.
Ora, una riflessione che ho sviluppato negli ultimi tempi, ma che evidentemente era latente in me fin da prima, è quella sulla natura “inconsistente” del tempo e, al contempo, sul fatto che lo spazio – che in realtà è tutto ciò che esiste – ha una natura “frattale”, per cui ogni suo punto richiama e interagisce con qualunque altro suo punto (e con l’universo nel suo insieme). Si tratta dell’Ognidove, la dimensione a cui si accede tanto più direttamente e pregnantemente quanto più si è centrati nel Sé e perciò impegnati ad attuare la propria vocazione esistenziale. Ne consegue che il viaggio in genere – anche per me come essere umano costantemente in cerca -, e in particolare quello che forma l’oggetto di una narrazione, non è assolutamente una dimensione escapistica, ovvero di fuga dalla quotidianità – anche se introduce nella vita un utilissimo aspetto di varietà che apre la mente e il cuore -, ma un “quasi-pellegrinaggio”, perché innesca reazioni interiori a catena che collegano l’animo del personaggio-viaggiatore ad altri luoghi del presente e del passato, e nello specifico ai luoghi e alle stanze intime del suo itinerario terreno. (Sono temi assolutamente centrali nel concept-book Da luoghi lontani, che ho scritto insieme a Carlo Cuppini e a Sandra Salvato.)
A mio avviso, tutte queste interazioni dinamiche altro non sono che il riflesso, su scala umana e psichica, del concetto di “relazione”, che collega ogni componente tanto del mondo microscopico quanto delle grandezze cosmiche. Perché mai dovremmo pretendere di vivere in modo diverso da come la natura funziona su ogni livello di grandezza? Il movimento è quintessenza della vita, e allora fare esperienza della città – e del mondo in senso lato – con questa propensione dinamica, in cammino e con le antenne del pensiero (intuitivo e razionale) pronte a cogliere echi e consonanze con altro che ci riguarda, diventa un percorso autenticamente trasformativo, capace di plasmare la nostra stessa identità, “scattivandola” (come si direbbe in Toscana dei frutti mezzi marci) delle parti andate a male per far emergere il nucleo più autentico e succoso: appunto, il Sé.
In altre parole, affrontare così il cammino diventa un modo per individuare il Cammino e, da quel punto in poi, per vivere ogni luogo come se fosse – e come in definitiva è – Ogni Luogo.