SUONO E PAROLA NELLE DINAMICHE CREATIVE

Per me il suono è fondamentale. Posso dire che la mia intera vita si basa su suoni o, in senso lato, vibrazioni. Tutto ciò che è emozione è infatti frequenza, dunque vibrazione, e ad ogni vibrazione è possibile associare un suono. E i suoni si articolano, dialogano, si intrecciano in contrappunti e controcanti sorprendenti.
Tutto questo torna, meravigliosamente chiaro e al contempo spaventosamente complesso, sia nello studio e nella pratica delle lingue (e anche nell’atto traduttivo), sia nella scrittura di un testo narrativo.
Ci sono sempre vari livelli che si sovrappongono, varie voci e motivi che “parlano” contemporaneamente, varie regole, percezioni, livelli di incisività del lessico e delle stesse strutture sintattiche e grammaticali che interagiscono tra loro, per esprimere un significato e veicolare un’emozione. E l’emozione, nell’arte, è la base imprescindibile.
Spesso bistrattata dagli intellettuali più freddamente accademici, l’emozione è invece il veicolo essenziale, perché inequivocabile, tanto che perfino gli animali e perfino le piante sono capaci di provarla, e loro non mentono mai.
Così, spesso, nei miei risvegli di primo mattino, mi trovo a cogliere le emozioni nella loro forma nuda (no, non solo quando faccio sogni erotici!). È come se intuissi i significati prima di qualunque parola e percepissi centinaia di filamenti che se ne dipartono, simili a materia che si formi a partire da una “platonica” idea immateriale, carica di molteplici potenzialità. Eppure, queste potenzialità vengono definendo un tessuto quasi necessitato, perché si richiamano a qualcosa che sto già scrivendo (quando non mi suggeriscono qualcosa di nuovo) e vanno immediatamente a collocarsi al punto giusto, come una carta in un solitario che viene bene, o un tassello in un puzzle che sta assumendo una forma riconoscibile.
Ecco perché penso che il lavoro più importante, per uno scrittore – e anche per un traduttore, visto che le migliori intuizioni arrivano seguendo canali analoghi -, sia pre-letterario, meditativo, spirituale. Solo nel silenzio arrivano le vere risposte, perché solo nel silenzio si rivela l’anima.
In pratica, il lavoro letterario è fondamentalmente un lavoro musicale. Niente è più universale della musica, che non ha confini (nonostante gli allucinanti ostracismi oggi opposti ai grandi compositori e musicisti russi, tanto per fare un attimo polemica) e precede qualunque lingua. Forse è per questo che oggi, per me, ha un senso profondo e straordinario poter studiare, per la prima volta, uno splendido pezzo del Maestro Ganesh Del Vescovo, Canzone per Chiara Shanti, espressione semplice e allo stesso tempo altissima (e tecnicamente ed espressivamente difficile, almeno per me) di un’ispirazione nitida e pervasiva.
Ascoltandolo la prima volta, l’avevo immediatamente sentito consonante con un romanzo italiano ancora inedito che stavo scrivendo e che ha contribuito a ispirare (tanto che alla fine l’ho dedicato a Ganesh), e ora, praticandolo da studente, mi rendo perfettamente conto del fatto che le varie voci interne a un componimento musicale sono appunto come quelle che danno il la a ciò che scrivo e in esso si manifestano a ogni singola riga.
In definitiva, penso che, sia che si scriva, sia che si traduca, sia che si tenti (cosa oggi quanto mai difficile) di interpretare le notizie del mondo, si debba sempre cercare questa sensazione: la compresenza di più strati, di più livelli interpretativi.