Traduttore letterario inseguendo i suoni

TRADUTTORE LETTERARIO INSEGUENDO I SUONI

Oggi ho aggiornato la mia pagina sul sito per traduttori Proz, che non visitavo da un sacco di tempo, e mi sono reso conto sia del lungo percorso compiuto finora nella professione di traduttore letterario – che prima di tutto è un’arte -, sia di com’è difficile riassumerne il senso in una griglia di dati che servono a presentarti in sede professionale.

Come ho illustrato in alcune interviste che mi sono state fatte nel tempo (per esempio qui, qui, qui e qui, in relazione, tra le altre cose, all’autobiografia di Kamala Harris Le nostre verità, rilanciata questa estate da La Nave di Teseo, e al Premio “La Quercia del Myr”, risalente al settembre 2023), il punto dell’essere un traduttore letterario per me consiste prima di tutto nella fascinazione per il suono.

Traduttore letterario

Negli ultimi tempi ho ridotto il numero di traduzioni non strettamente letterarie precisamente per questa ragione. Mi sono reso conto che la forbice tra la precisione letterale richiesta dai testi tecnico-legali e commerciali e la flessibilità e la musicalità insite in quelli letterari si stava divaricando fin troppo. Al punto che il pericolo era o di essere impreciso nel tradurre i primi, o di risultare “sciapo” nel tradurre i secondi. E francamente questo è un rischio che non posso correre, anche perché la percezione delle sfumature semantiche ed emotive insite nelle righe dei poeti e degli scrittori (anche quando si tratta di tradurre saggi autobiografici come quello della candidata alla presidenza degli Stati Uniti o quello dello stesso presidente ancora in carica Joe Biden Promesse da mantenere – che tra l’altro scopro adesso essere pure disponibile come audiobook) fa parte di un percorso più ampio e complesso che seguo in primis come scrittore e come persona (v. qui e qui), e che non potrei mai abbandonare perché fa tutt’uno con quello che sono (v. anche questa mia clip e poi questa).

Questa è un’altra ragione per cui considero il mio rapporto con le lingue un cantiere aperto, soggetto al costante esercizio della pratica. Troppo spesso, nelle qualifiche inerenti a un traduttore letterario (o anche tecnico, se è per questo), si dà importanza primaria ai titoli accademici, alle qualifiche o ai riconoscimenti. Non che non abbiano valore, beninteso. Però valgono il giusto, se la pratica delle lingue non è pressoché quotidiana. E per pratica intendo in primis la conversazione e la lettura, (anche) come spunti per approfondire la conoscenza della grammatica, ma principalmente come punti di partenza per affinare la sensibilità rispetto alle scelte lessicali. Per questo sono grato a tutti gli amici di diversi paesi con cui parlo quasi settimanalmente via Skype o GoogleMeet, e al mio quaderno di appunti su frasi, espressioni idiomatiche, costruzioni sintattiche, reggenze dei verbi e delle preposizioni, che nasce appunto da quelle conversazioni e senza il quale perderei tanto del mio potenziale come traduttore letterario.

Certo, l’essere scrittore mi aiuta a immaginare meglio intuitivamente la resa di quello che il testo originale propone in un’altra lingua. Tuttavia, è solo la pratica a permettermi di capire, se non al volo, almeno più velocemente e in profondità il senso e, appunto, le risonanze di quell’opera, trasfondendole nel testo italiano – che sarà inevitabilmente qualcosa di diverso, perché si tratta appunto della lingua italiana, ma porterà con sé echi di quella originale. E in questo sono grato anche agli autori con cui sono personalmente in contatto, come lo scrittore cubano Amir Valle, che mi ha sempre offerto importanti chiarimenti sul significato di espressioni gergali dei quartieri marginali dell’Avana, che mi hanno consentito di tradurre al meglio, tra gli altri, il suo romanzo Il santuario delle ombre (Golem, 2023). E, inoltre, l’autrice svedese Sanja Särman per il suo libro Lettere delle piante agli esseri umani (Ortica, 2023).

Quello della resa degli “echi” è appunto l’esercizio che sto facendo in questi giorni, sia traducendo (dalla versione americana) un poeta delle Isole Far Øer – ma avendo a disposizione l’originale in faroese, che almeno in parte decifro grazie anche alla “sponda” di un’altra lingua dello stesso ceppo, lo svedese -, sia iniziando a cimentarmi con un classico della letteratura svedese che spero di essere presto incaricato di tradurre in una sua opera importante e “tosta”.

La sintesi della poesia e la pregnanza della prosa dei due rispettivi autori mi stanno mettendo alla prova anche e soprattutto dal punto di vista del ritmo, che nelle lingue nordiche è molto diverso dall’italiano, sia da quello delle risonanze interne delle parole, suggerite proprio dai loro suoni. Il ritmo e i suoni suggeriscono infatti atmosfere e quasi (direi musicalmente) dei “microtoni” che il traduttore letterario deve riuscire a far passare, almeno in parte, un po’ come uno scrittore deve saper rendere anche le sfumature di significato veicolate dalle intonazioni della voce che immagina (o conosce) nei suoi personaggi.