LICEO KODÁLY, UNA BELLA RIVELAZIONE
Continuano i giorni della mia residenza letteraria a Pécs, e il libro va avanti, alternandosi a passeggiate (non così tante, ché il lavoro abbonda) per la città, in centro ma non solo. Con un appuntamento speciale che è avvenuto ieri: la visita e l’incontro con gli insegnanti e gli studenti del Liceo Kodály, il più antico in Ungheria per l’insegnamento della (e nella) lingua italiana, ma apertosi negli anni anche alla lingua spagnola, nonché alla musica e a varie attività teatrali.

La mattinata è iniziata con una chiacchierata nello studio della gentilissima Preside del Liceo (nella quale Károly, oltre a scattare varie belle foto, ha fatto da interprete, perché la signora parla ungherese e tedesco, e io possiedo solo rudimenti minimi del primo e scarsi del secondo), alla quale ha partecipato anche la docente di italiano che aveva promosso l’incontro, Zsuzsanna Ferenczi. Lei, in particolare, ci ha parlato della storia dell’istituto e dei suoi molteplici collegamenti con licei in varie parti d’Italia, nell’ambito del programma Erasmus (tra le varie città o cittadine ricordate, Palermo, Castiglion Fiorentino e Atri), oltre che del fatto che diversi dei loro corsi, anche di materie scientifiche, si tengono in italiano.

Quindi è seguito l’incontro con i ragazzi della classe della Prof.ssa Ferenczi, che – nonostante fosse l’ultima ora – sono stati attentissimi e curiosi durante la chiacchierata sui miei libri e il mio lavoro di scrittore, in particolare quello che sto svolgendo qui a Pécs. Raramente mi è capitato di trovare studenti sui sedici-diciassette anni così ricchi di interessi culturali. È decisamente un’altra percezione del mondo, anche giovanile, rispetto a quella a cui sono abituato. Sicuramente ha a che fare con la serietà e la dedizione della professoressa e dei suoi colleghi, ma non stento a ricollegarla anche a una società meno ricca di “distrazioni” come invece è quella italiana. Qui, come ho potuto vedere anche in Polonia e in diverse zone dell’Irlanda e della Svezia, percepisco una maggior semplicità nei rapporti umani, che non esclude l’uso degli smartphone e altre comodità che dalle nostre parti ci saturano fino a intossicarci, ma si àncora al fatto che le persone amano salutarsi, parlare e fare le cose insieme, ben più di quanto – oso affermare – avvenga ormai in Italia.

Chi mi conosce e mi legge sa che non lesino critiche al paese da cui provengo, e in particolare a Firenze, pur riconoscendo sempre la loro bellezza artistica e la ricchezza del loro patrimonio linguistico e culturale. L’avrete visto sia in Berretti Erasmus, sia in Viale dei silenzi e in Internet. Cronache della fine. E in fondo questo è uno dei motivi per cui amo viaggiare e fare residenze letterarie in giro per l’Europa e oltre: cercare modelli a cui ispirarmi nella scrittura e nell’approccio alla vita, che per me, socratico convinto, è fondamentalmente dialogo e confronto, con se stessi e con l’altro. Là dove questo riesce ancora ad avvenire entro cornici di civiltà, educazione e cultura, ma prima di tutto in un clima di amicizia e gentilezza, penso che “ci siamo”.

Insomma, con questa visita al Liceo Kodály mi sono reso conto che è ancora possibile vedere in una comunità un luogo (prima di tutto fisico, vivaddìo, non virtuale) di crescita personale e collettiva, e non di competizione e litigiosità (tanto meno del tipo da “leoni da tastiera”). E sono precisamente questi i valori di cui oggi c’è più bisogno.
Va da sé che tornare alla scrittura del mio romanzo di viaggio, dopo questa visita, è stato particolarmente appagante. In particolare, il tema del dialogo, al suo interno, si sta rivelando centrale, in ragione degli incontri che il mio protagonista-viaggiatore ha e avrà con numerosi personaggi lungo il suo cammino, che diventeranno appunto occasioni “socratiche” di un dialogo capace di innescare percorsi di autoconoscenza e di confronto col mondo.

Cosa sono infatti i luoghi – rimando anche al mio ultimo libro Da luoghi lontani, condiviso con Carlo Cuppini e Sandra Salvato – se non insiemi di costruzioni, natura e suoni articolati in parole che formano un alone culturale? Essi sono dunque frequenze – più o meno armoniche – con cui entriamo in contatto e interagiamo. In questo percorso esplorativo, il “correlativo oggettivo” è sempre dietro l’angolo, perché il mondo si palesa come un riflesso di noi stessi; ma anche il “correlativo soggettivo”, perché i luoghi, intesi come sommatorie delle persone che li abitano e li hanno abitati nel tempo, ci rimandano, con un meccanismo di risonanza a specchio, al nostro mondo interiore. Il viaggiatore – e tale è il mio personaggio e sono anch’io – vive in questa corrente energetica verticale mentre interagisce con i luoghi nello spostarsi orizzontalmente sulla carta geografica.
Ecco perché per me le lingue sono tanto importanti, anche quando non le capisco ancora quasi per niente, come l’ungherese. Perché comunicano ancor prima di riuscire a veicolare significati in forma verbale, e sono chiavi essenziali per cogliere la verità di un popolo e della sua cultura.