Piacere e dovere

PIACERE E DOVERE

Sono anni che lavoro nel mondo di fuori e in quello di dentro, scrivendo, traducendo e approfondendo i miei percorsi meditativi e spirituali anche in sede di terapie olistiche. E, credetemi, è un lavoro diuturno, che mi impegna spesso anche nel sonno – e i cui esiti sto raccogliendo e raccontando nel mio saggio narrativo in corso di stesura Voci oltre il buio.

Piacere Praga
Uno scorcio praghese da me fotografato a fine aprile 2024

Alla fine, è buffo ma anche confortante rendersi conto che si riduce tutto a poche, semplici illuminazioni, come quelle che ho avuto negli ultimi giorni (e notti, ché la notte per me è sempre un momento cruciale). Non so che cosa mi abbia sbloccato, oltre al lavoro di cui sopra, che di solito va “a strappi” e fa emergere le risposte dapprima col contagocce, e poi, all’improvviso, con bruschi scrosci di rubinetto portano via qualunque incrostazione. Forse l’approfondimento (in vista degli eventi in programma a Firenze e a Marina di Pisa) della letteratura di Luciano Bianciardi, autore che sento molto affine a me per sensibilità, spirito critico e amore per la prosa semplice ma densa – oltre che per l’affetto per la Maremma, terra a cui sono legato anche per”ascendenza” materna (dato che mia madre ci fece le scuole medie e ebbe anche occasione di incrociare Bianciardi alla Biblioteca Chelliana di Grosseto). Non a caso, ho citato il grande autore anche nella mia recensione del bel romanzo di Donatella Sasso Piazza della Vittoria (Golem Edizioni, 2023), uscita ieri sul blog La Poesia e lo Spirito, dove ho sottolineato:

Piacere

“Per questi tratti quasi “neorealistici”, sia pur trasfusi nella nostra epoca, Piazza della Vittoria mi ha ricordato la grande tradizione italiana, che, diversamente da quanto qualche critico ha recentemente sostenuto, non è propria soprattutto del racconto, ma anche del romanzo, sia fatto di trama, sia di contenuti e atmosfere. Tradizione che ancor oggi – almeno qualche volta, come senz’altro in questo caso – sa proporre narrazioni dense di una pastosa linearità sul piano tanto stilistico quanto drammatico, tale da rendere con vividezza la noia e le speranze, le interessanti prospettive e i sostanziali tradimenti della società odierna, non meno bastarda di quella degli anni del Boom nel rivoltare in faccia a coloro che le avevano nutrite le speranze di una vita migliore. Finché non succede qualcosa per cui, se non soccombono, reagiscono. E Martina, la protagonista, il cui nome emerge in una fase avanzata del romanzo, è tra quelli che reagiscono. Anche perché, diversamente da celebri immigrati (sia pur interni) degli anni ’60, come il Luciano omonimo di Bianciardi ne La vita agra, viene aiutata da qualcuno che le fa scorgere una possibile luce. E sceglie di seguirla.”

Tutto questo ha profondamente a che vedere con le riflessioni che facevo all’inizio. Si tratta appunto della profondità della semplicità. Ed è la cosa più difficile, come il mettere a tacere la mente durante la meditazione, o in altri termini il lasciar prevalere il piacere (nel senso nobile del termine) sul concetto di “dovere”, dal quale l’intera civiltà occidentale è profondamente intossicata, tanto che a chiunque affaccia timidamente osservazioni come le mie di solito si ribatte: “Troppo facile, così sei egoista!”, oppure “Troppo comodo, non sai cos’è la vita!”, o ancora “Bisogna pensare agli altri!”. Ormai ci ho fatto il callo.

Ma il punto non è questo: scegliere il piacere significa scegliere chi veramente si è, individuare e attuare la propria vocazione, insomma, comprendere profondamente e tradurre in atto il comandamento nuovo di Gesù, che non è “Ama il prossimo tuo come te stesso”, ma Amerai il prossimo tuo come te stesso”, ovvero un indicativo, non un imperativo. Se ami te stesso, ovvero se attui ciò che il cuore ti dice, non trovando scuse in presunti “obblighi sociali” – che il più delle volte, stringi stringi, sono pretesti per non guardare in faccia e risolvere la propria incapacità di attuare ciò che il cuore detta, la propria inattitudine ad agire con consapevolezza e coraggio e la paura di affrontare il giudizio altrui -, ma accogliendo con fiducia e disponibilità la chiamata dello spirito.

Insomma, come sempre Gesù diceva ai suoi discepoli, lasciare tutto quello che avevano e seguirlo. E badate bene, questo è un messaggio che si applica tanto ai credenti quanto agli atei, perché le dinamiche interiori restano sempre quelle. Come Jung ci insegna, siamo tutto compartecipi di un inconscio collettivo che ci condiziona e, consolidandosi nell’archetipo dell’Ombra, ci spinge ad andare a avanti, a individuare le radici delle nostre scissioni (da noi stessi e dagli altri) e a ricomporre la nostra unità, con noi stessi e, di riflesso, con il prossimo.

Sì, perché, come proprio in questo periodo mi sto trovando a riflettere, la mancanza di coscienza della fondamentale unità (del Sé e col Sé) è la causa del dualismo che poi si traduce nel falso dilemma piacere-dovere di cui sopra. Al contrario, quando siamo centrati nel Sé e conosciamo e attuiamo quello che amiamo fare, anche il contemperamento con le esigenze di chi ci sta vicino, con le scadenze professionali e le varie incombenze della vita, viene spontaneo. E l’alternanza di stati emotivi di “pieno” e di “vuoto”, insomma il rischio di trovarsi o nel koros degli antichi greci (cioè il senso di “pienezza tronfia” che può produrre ate, ovvero “cecità” e insensibilità al prossimo, con la conseguente ybris, la “tracotanza”, come ben ci insegnava la Prof.ssa Ida Biondi al liceo classico), o al contrario in avvallamenti di depressione in cui siamo sostanzialmente in balia degli altri, viene meno, trascesa da un equilibrio che nasce dal naturale radicamento nel Sé, cioè nella vocazione tradotta in atto.

Questo naturalmente non significa vivere sempre “in discesa”, ma decisamente spiana la strada, livellando molti dossi e riempiendo molti fossi, e rendendo la vita un po’ meno un ottovolante emotivo, perché non è più imperniata sulle trappole della mente razionale, ma (tendenzialmente, e sempre più) sugli spunti immediatamente tradotti in atto provenienti dal Sé.