Ponte a Greve nei miei libri

PONTE A GREVE NEI MIEI LIBRI

In questi giorni di vita di quartiere intonata all’indolente ritmo agostano, mi sono trovato, oltre che a lavorare intensamente ai miei libri e alle mie traduzioni, a passeggiare spesso (di prima mattina o sul far del tramonto, per sfuggire al caldo) nel mio quartiere, Ponte a Greve (al quale si riferiscono le mie foto qua sotto), ai margini sud-occidentali di Firenze – praticamente a un passo da Scandicci, dove spesso “sconfino” nel corso del mio giretto rigenerante. Così ho ripensato alle infinite volte che ho percorso queste strade, e a come questa, di fatto, sia per me più “casa” della Firenze dei monumenti del centro storico, dove vado raramente onde schivare traffico e casino, visto che ho la fortuna di poter lavorare a casa – od ovunque mi trovi, se è per questo.

Ponte a Greve 1

Tanto è vero che Ponte a Greve ha finito per entrare in molti miei libri, in genere come termine di confronto rispetto ad altri luoghi dove i miei personaggi vengono a trovarsi, oppure come spunto per iniziare viaggi della mente (o anche reali). Al punto che penso che sia vera la frase che un giorno dissi durante una presentazione libraria, e cioè che per me Firenze è “il mio luogo di residenza”. Al tempo la pronunciai perché sentivo di appartenere più ad altri luoghi, dove infatti tornavo appena possibile. E in parte è ancora così. Ma oggi mi rendo sempre più conto che la mia “residenza”, ma direi più propriamente il mio centro interiore, è nel mio lavoro. I luoghi che scelgo – o che mi chiamano, come spiego anche nel nuovo libro di viaggio che uscirà l’anno prossimo – in fondo sono sempre legati a questo e variamente funzionali al suo sviluppo (e parlo sia della scrittura, sia della traduzione letteraria).

Ponte a Greve 2

Ponte a Greve, però, proprio per la sua contiguità “geografica” rispetto a Via Bugiardini, dove abito e dove lavoro per la maggior parte del mio tempo (e che in effetti ne fa parte), e anche perché raccoglie passi e pensieri successivi o preliminari al mio lavoro, e ancora perché spesso ci scrivo all’aria aperta, nei gradevoli giardini pubblici che offre, è una residenza speciale: insomma, pur senza che io vi “appartenga” in senso stretto, è un po’ lo strato di base su cui va a innestarsi tutto quello che poi scrivo, il più delle volte ambientato anche in luoghi molto lontani.

Ponte a Greve 3

Ogni passeggiata lungo l’argine del torrente Greve, bordato da campi coltivati che sanno di un cose antiche (ieri ho visto una gallina che scorrazzava liberamente), oltre che uno “scarico” di tanta pressione mentale è una sorta di meditazione camminata, a contatto con la vegetazione fluviale, con i volatili che passano e si fermano spesso lungo le sponde del torrente e i cani che vengono portati a spasso nella zona. E mi sembra di scendere veramente al livello-base di me stesso, similmente a come ebbi occasione di scrivere durante l’infame lockdown in un articolo in italiano e in inglese uscito insieme ad alcune mie foto su Toscana Libri – e senza dimenticare l’altro mio contributo “di fiume” a I racconti dell’acqua, un’antologia collettiva a cura di Paolo Ciampi, pubblicata nel 2021 da Aska Edizioni.

Ponte a Greve 4

Così ho pensato di riunire alcune breve citazioni tratte dai miei libri, tutte ispirate da Ponte a Greve. Un piccolo omaggio a “casa mia”, pur ribadendo che casa mia è ovunque io mi trovi e lavori. Ma il mio lavoro parte inevitabilmente (e imprescindibilmente) da qui.

“Sai, la domenica era il giorno più duro. Una famiglia non ce l’avevo più: mio padre da qualche tempo era sparito e non si era fatto più sentire, e mia madre si era messa con un idiota della palestra dove andava a rassodare il culo. Uno di quelli che piacciono sempre e comunque, che si sentono immancabilmente a posto. Io vivevo da solo in un monolocale, ma la domenica andavo a pranzo da lei e da quel coglione, come se fossimo una famiglia normale. Poi tornavo a casa a piedi, facendomi tutti quei chilometri solo per disintossicarmi dallo schifo che avevo ingoiato. Passavo lungo la Greve, in un’epoca in cui, essendoci già il Sistema, i fili elettrici della vecchia rete di erogazione energetica penzolavano inutilmente e le vecchie torri metalliche sembravano mostri preistorici. Superavo a grandi falcate la passerella sul torrente e poi calcavo rabbiosamente la terra dell’argine, tirando pedate incazzate agli sterpi e ai sassi e schivando sguardi stupiti di uomini e cani a passeggio. Nel giardinetto pubblico di San Giusto c’erano sempre dei bambini che giocavano, e a volte s’intravedeva qualche coppietta di innamorati. Ma a me era tutto indifferente. Percorrevo quel tratto spoglio il più velocemente possibile; poi mi immettevo nella solitudine piatta di viale Nenni e mi lasciavo asfaltare dal vuoto che mi portavo dietro da sempre. Non vedevo molta altra luce nella mia vita, se non quella che proveniva dalla mia chitarra e dal futuro che poteva darmi. Prima, però, avrei dovuto tirar fuori tutte le note del mio passato. Una per una, fino all’ultima. Goccia dopo goccia, mi sarei dovuto sorbire l’amaro calice.”

(Internet. Cronache della fine, Galaad Edizioni, 2021, pp. 337-338)

“Mi sentivo svuotato, lontano da ogni risonanza di te, ma anche dalla pallida ombra di centratura che mi era parso di poter carezzare nelle ultime ore. Fissavo la fòrmica del tavolino di quella mensa popolare con al centro la circonferenza della scodella, e il suo profumo mi ricordava le fragranze di vegetazione marcescente che a volte coglievo camminando sull’argine della Greve, tra Firenze e Scandicci. Succedeva nei pressi di una villa schermata da un muro di alberi, che sapeva di segreti ambigui, di verità nascoste sotto strati di bugie accumulatisi negli anni. Poi, spesso, a interrompere quelle sensazioni giungevano i gridi di due uccelli esotici ospiti di quella tenuta. Uno bianco e uno grigio: come spiriti filosofici contrastanti che volessero spezzare il mio filo di pensieri intorbidati, generando, con un effetto-sorpresa, nuove prospettive.”

(Viale dei silenzi, Arkadia Editore, 2019, pp. 24-25)

“Passeggiavo lungo l’argine della Greve. Non vedevo o sentivo quasi niente, a parte il sentiero sotto i miei piedi, l’erba sui lati dell’argine e un pallido sentore d’acqua, al di là delle canne sulla riva.
Ero passato tante volte da quel punto, in giornate serene. Oggi la fitta foschia rendeva tutto una lavagna bianca. Ma in quel nulla stavo bene. Quella pellicola umidiccia mi aveva tolto dagli occhi un velo ben più spesso.
Per anni avevo desiderato andarmene, sentendo Firenze stretta, provinciale e superba. E me n’ero andato. Per viaggio, per studio e per lavoro. Ma soprattutto per amore. Anche se all’inizio, ancora, non potevo saperlo.
Sull’altra sponda, appena visibili, c’erano le case basse subito dopo la cascata. Erano vecchie, e dietro sorgevano i casermoni dell’edilizia popolare, che sembravano prigioni. In estate, quando il sole stava per tramontare, i panni stesi all’aria, mossi dal vento, sbattevano contro i sostegni metallici con un ritmo intermittente.
Oggi no. Era tutto fermo.”

(Berretti Erasmus. Peregrinazioni di un ex studente nel Nord Europa, Fusta Editore, 2020, p. 9)


“Memorie della mia casa buia, immersa nella penombra lunare, nei riflessi blu-cenere di un paesaggio che fuori ormai è spento, non fosse che per la luce elettrica dei lampioni.
Notte fonda, con il sonno che tarda ad arrivare e qualche idea che chiede urgentemente di essere messa sulla carta.
Ma io vedo quella finestra, da una parte del salotto, e devo almeno andare ad affacciarmi un’ultima volta. Guardo la strada deserta, con la scuola media e il suo cortile illuminato da luci giallastre, che sembra una piazza di Berlino Est prima del crollo del Muro. Non passa nessuno e deve far freddo, anche se siamo ancora all’inizio dell’autunno.
C’è un che di cosmico e definitivo in questo paesaggio, quasi che le immagini color pastello dell’ultima ora del giorno si fossero spogliate dei loro abiti, rivelando, sotto, un’anima nuda.
L’onda lunga dei ricordi lontani e dei sapori che mi hanno lasciato in bocca nell’arco di tutta la vita mi aleggia ancora intorno. Sembra che la mia memoria sia pronta a riceverli.”

(“Alleghe”, in Da luoghi lontani, Arkadia Editore, 2022, p. 51)