FRANCESCO NUTI, UN ARTISTA DA RICORDARE
Altra sincronicità: ieri sera ricordavo in chat con un amico un film del grande Francesco Nuti, Tutta colpa del paradiso, un piccolo capolavoro del 1985 in cui emerge appieno la sottile poesia di questo artista, ingiustamente dimenticato dallo star system e accantonato forse perché scomodo (perfino dopo la morte gli sono stati dedicati pochissimi passaggi televisivi dei suoi film). Stamani, mentre facevo colazione, l’ho trovato sul canale 34, con le note della bellissima canzone del fratello Giovanni Nuti Lovelorn Man.

Come sapete, io i coccodrilli non li scrivo mai, ma mi piace ricordare gli artisti e i personaggi significativi, soprattutto se scomparsi all’improvviso e con mille domande sospese (come anche Sinéad O’Connor e Andrea Purgatori). Ma lo faccio dopo un po’ di tempo, quando capita l’occasione.
In generale, mi piace pensare (e credo) che tutti loro abbiano dato un segno importante di non-omologazione e cambiamento con la loro indipendenza di pensiero e la loro carica di creatività penetrante e fuori dagli schemi.
Francesco Nuti, in particolare, per me è sempre stato un po’ il Troisi toscano. Geniale nella sua semplicità, surreale e al contempo concretissimo, capace di fare sganasciare dalle risate in certe scene, e di far pensare e innamorare di atmosfere e situazioni in molte altre. E anche, alla fine della sua carriera cinematografica, di partecipare a un film diverso e scomodo come Concorso di colpa di Claudio Fragasso.
Nel 2020, in piena pandemia, dopo aver rivisto un altro suo grande film, forse il migliore insieme a Tutta colpa del paradiso, ovvero Stregati, sempre con Ornella Muti, avevo scritto sul mio profilo Facebook:
“Ieri notte, in uno di quei momenti di raccoglimento meditativo che la casa sa regalare, ho rivisto un film di quasi trentacinque anni fa, Stregati, di e con Francesco Nuti – un autentico genio, secondo me, il Troisi toscano, come ho sempre amato definirlo. Insieme a lui, una splendida Ornella Muti e un delicatissimo Novello Novelli, forse nella sua miglior interpretazione.
Stregati, ambientato in una Genova per lo più notturna e quasi deserta, sembra un film fatto apposta per il momento che stiamo vivendo. Si regge su atmosfere sottilmente surreali, e sull’assurdità di un amore che nasce in modo paradossale e maldestro, contro ogni convenzione e aspettativa. Sospeso tra rimandi bogartiani e la malinconia di un’Italia agli sgoccioli della stagione del benessere (e all’alba di quella della crisi), allude a un cercarsi senza potersi toccare, e a un toccarsi (cosa a noi oggi vietata) senza riuscire veramente a raggiungersi. E pare volerci dire che l’unico contatto che fa la differenza, anche in tempi diversi da quelli di adesso, è quello che parte da dentro, con noi stessi e con gli altri. Senza questo, tutto il resto (stretta di mano o abbraccio che sia) è solo esteriorità che lascia il tempo che trova.”
Oggi credo più che mai in quelle parole. Ma forse credo ancor più nel silenzio carico di significati e sentimenti di un poeta del cinema come Francesco Nuti. Un silenzio denso d’amore che trasuda dai paesaggi valdostani di Tutta colpa del paradiso, e dal legame mai confessato tra un padre e un figlio e tra lui stesso e la moglie di un altro (Ornella Muti) che vi sono raccontati. Un amore e un legame che non arrivano a imporsi, ma preferiscono defilarsi con tranquillità, per non turbare – anzi, per arricchire – la serenità di un luogo e delle persone che lo abitano. E per farcele desiderare profondamente.