TRADUZIONE LETTERARIA E INTUIZIONE

Ieri, interessante illuminazione cross-linguistica, mentre procedevo nella mia traduzione dallo svedese. Si parlava di una luce di fiamma flackande, ovvero “che va un po’ qua e un po’ là”, in una notte di tregenda – att flacka significa “vagabondare”. Una mia partner linguistica mi ha fatto notare che, data la scena e lo stato d’animo del protagonista, si doveva pensare a una fiamma quasi morente sotto i colpi del vento, ma che a tratti si riprendeva.
Niente, non mi veniva una traduzione più precisa della (debole) “irregolare”.
Poi, all’improvviso, mi è arrivata l’illuminazione in inglese: faltering. E il bello è che lì per lì non avevo in mente il significato esatto della parola, ma solo il suo generico alone semantico.Vado a controllare sul dizionario e leggo: “vacillare”, “infiacchirsi”. Quindi la traduzione, perfetta, era “vacillante”, con il retrogusto di infiacchimento che è precisamente il “quasi spegnersi” della fiamma a cui aveva fatto riferimento la mia amica.
Morale: ho capito che, quando si traduce, si maneggiano cose materiali (gli oggetti e le parole che li designano), ma l’oggetto reale della traduzione letteraria – e questo vale anche quando si scrive – è l’alone di “energia-spirito” di quegli oggetti, che la parole, anche in lingue diverse e a prescindere dalle eventuali affinità etimologiche, trasmettono al traduttore (e allo scrittore). Si traduce sempre da uno spartito interiore, perciò è esattamente questo che va estratto dal dentro e traposto nel fuori, o prelevato da una lingua e innestato nell’altra.
Al di là della vexata quaestio del “tradurre o tradire”, è proprio questa sorta di metempsicosi (o, se vogliamo, evocazione) semantica il punto autenticamente nodale della traduzione letteraria e della scrittura.