Piazza del Carmine

PIAZZA DEL CARMINE

L’altra sera, di ritorno da uno dei miei tandem linguistici in presenza (ché va bene farli su Skype, ma di persona è più divertente), come tante volte ho attraversato il quartiere fiorentino di San Frediano – caro al maestro Vasco Pratolini, già ricordato nel mio articolo che ho ripostato l’altro giorno – e mi sono trovato a passare per Piazza del Carmine. Oggi la si può ammirare nel suo armonioso vuoto, ben diversamente da com’era fino a relativamente pochi anni fa, quando un parcheggio sempre gremito ne occupava la parte centrale. Così com’è adesso, invece, riesce sempre a “far pulito” dei miei pensieri e a evocarmi scene, sensazioni e ricordi.

Tutto questo non succede per caso, dato che mio padre ci abitò in un periodo che, se ben ricordo, andò dal tempo della seconda guerra mondiale a buona parte degli Anni Sessanta (nella mia foto, è la casa sulla sinistra, mi pare all’ultimo piano, sull’angolo, la seconda dove stette). E comunque era nato lungo Borgo San Frediano e visse pure in una casa all’incrocio tra questa strada e la via che conduce alla piazza, ma che già si chiama “Piazza del Carmine”.

Insomma, l’altra sera, percorrendo trasversalmente la piazza, ho fatto caso a come, senza neanche rendermene conto, io abbia ambientato qui varie scene di ben tre dei miei romanzi ancora inediti, ovvero Territori interni, La prossima notte e Storia di uno straniero. Trame molto diverse tra loro, ma con questo luogo in comune, e più in generale con il tema del viaggio al centro del proprio sviluppo – com’è tipico un po’ di tutta la mia produzione (lo vedrete ancora a febbraio, quando uscirà un mio libro molto particolare sul viaggiare).

Evidentemente, i luoghi hanno una loro energia. Riescono, come del resto tutto nel nostro universo entangled, a risuonare con noi, o almeno con alcuni di noi in particolare, suggerendo spunti e possibili percorsi di sviluppo. E anche se a Firenze tanta parte delle strade e delle piazze è dominata dalla perenne marea di turisti, ci sono delle zone, o meglio ancora dei punti, in cui l’affollamento si dirada, lasciando emergere onde di quella sottile energia ambientale che è il sedimento della storia. San Frediano, tra il Carmine (chiesa universalmente nota per la Cappella Brancacci, con gli affreschi di Masaccio), Piazza Tasso e Porta San Frediano, è così. Poi si procede verso ovest in direzione di Piazza Piattellina e Via dell’Orto, con le traverse Via di Camaldoli e Via del Leone (dov’era la scuola elementare del babbo). E in queste parentesi di silenzio si respira ancora un po’ la Firenze di una volta.

Vi starete chiedendo se questa non sia nostalgia. Non direi. La nostalgia non è un sentimento che mi appartiene, se non nella misura in cui la si può definire come quella sottile pattina di rimpianto per buone possibilità che nel tempo non hanno preso campo, compresse com’erano dalle circostanze esterne. Ecco, diciamo che io prendo atto di queste “riserve”, dove gli aloni benefici del passato sopravvivono come gli indiani d’America, per farmene ispirare per nuove storie dell’oggi.

Credo che questo sia il modo migliore per contrapporsi alla massificazione del gusto, di cui il turismo commerciale è l’espressione più evidente e fastidiosa. Ed è anche il mio modo (personale, se volete) di onorare coloro che fisicamente non ci sono più. Ci ho pensato in questi giorni di ricorrenze. Penso che più di una visita a un cimitero (pur rispettabile, anche se io non le amo perché sento troppo) giovi, oltre alla preghiera, il lavoro consapevole, volto a portare avanti un’eredità morale e civile. E certi luoghi, come Piazza del Carmine, servono anche a ricordare questo.